venerdì 2 settembre 2011

Manovra Bunga


di Marco Travaglio

Non sono cattivi. Sono peggio: sono buffoni. Nel suo spettacolo di due anni fa, Corrado Guzzanti nei panni di Tremonti, anzi Tvemonti, spiega meglio di qualunque editoriale il modo di governare l’economia del nostro governo: “Abbiamo stanziato 30 miliardi per gli ammortizzatori sociali, 30 miliardi per le imprese, 30 miliardi per i pensionati”. Domanda l’intervistatore: “Quindi 90 miliardi?”. E lui: “No, 30. Io vado dai sindacati e dico: vi do 30 miliardi, ok? Segnate che ve li ho dati. Ora però me li porto via un attimo e vado dalle imprese: vi do 30 miliardi, ok? Segnate che ve li ho dati. Ora però me li riprendo un momento e vado dai pensionati: vi do 30 miliardi, ok? Segnate che ve li ho dati. Ora però..”. Obiezione dell’intervistatore: “Ma questo è il gioco delle tre carte”. Tvemonti: “No, delle 30 carte... Comunque, se non le bastano 30 miliardi, facciamo 40: tanto per me è uguale”.

Non sapeva, Corrado, che stava descrivendo nei minimi particolari, con due anni d’anticipo, la manovra una e trina del 2011. Il nuovo gioco dell’estate, molto più avvincente dell’hoola hop, del freesbee e del cubo di Rubik: fai anche tu la tua manovra.

Da quando l’Europa e i mercati ci hanno imposto di prendere atto, con appena tre anni di ritardo, che c’è la crisi e bisogna fare qualcosa, i buontemponi che ci governano si son messi d’impegno e han fatto una manovra da 47,9 miliardi, perlopiù a scoppio ritardato, a Papi morto (entrerà in vigore nel 2013, quando questo governo non ci sarà più): ticket sanitari, tagli ai ministeri, alle detrazioni fiscali e ai trasferimenti agli enti locali, rapina agli statali.

È luglio. Il tempo di leggerla e riprendersi dalla ridarella e a ferragosto Merkel, Sarkozy e Trichet diramano un diktat: i miliardi vi servono subito, o li tirate fuori o la Bce smette di comprare i vostri titoli di Stato e l’Italia, nel 150° dalla nascita, diventa un’espressione geografica.

I simpaticoni si rimettono all’opera e partoriscono alcune idee geniali: via 38 province e centinaia di piccoli comuni (“52mila poltrone in meno”), eurotassa sopra i 90mila euro, taglio dei Tfr, licenza di licenziamenti, anticipo delle misure postdatate di luglio. Totale: 55 miliardi. È un decreto, va subito in vigore. Per firmarlo Napolitano interrompe precipitosamente le ferie e ripiomba a Roma con le pinne, il fucile e gli occhiali.

Tutto è bene quel che finisce bene. Se finisse. Ma, ripensandoci, i burloni scoprono che non gli è venuta tanto bene nemmeno quella, di manovra. Tre giorni fa si riuniscono ad Arcore, nei locali del bungabunga, intorno al palo della lap dance, e ne fanno un’altra. Tanto i mercati, spiritosi, capiranno. Via l’eurotassa e i tagli ai comuni, congelato il taglio delle province (spariranno tutte, ma solo con legge costituzionale, cioè mai; già che ci siamo, si dimezzeranno pure i parlamentari e ogni famiglia avrà diritto a una batteria di pentole antiaderenti, massì, ci vogliamo rovinare).

L’idea, balenata per pochi istanti, di adeguare l’età pensionabile all’invecchiamento della popolazione e agli standard europei scompare subito, essendo incompatibile con l’età media e la prostata dei riformatori.

In compenso se lo prendono in quel posto quei putribondi figuri che hanno studiato e riscattato gli anni di università e di naja: così imparano, la prossima volta invece di andare all’università o a militare vadano a puttane.

Mancano all’appello dai 5 ai 15 miliardi, ma tanto noi italiani siamo furbi, mica ce ne facciamo accorgere. L’indomani però, riguardando meglio la manovra, i buffoni scoprono che si può far di meglio. E la rifanno. Alle 11.30 di ieri Sacconi e Calderoli annunciano che sparisce pure il divieto di riscatto dell’università e della naja. Il buco cresce di un altro miliardo e mezzo, ma che sarà mai.

Purtroppo si scordano di avvertire Brunetta, che a mezzogiorno, lievemente asincrono, conciona sulla riforma delle pensioni di anzianità. Quando lo viene a sapere, tenta il suicidio lanciandosi dal marciapiede.

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