venerdì 30 settembre 2011

Peggio di B. ci sono solo i suoi pasdaràn


di Flavia Perina

Caro direttore, dice Silvano Moffa che anche Sciascia si sarebbe ribellato ai professionisti dell’antimafia che vorrebbero sfiduciare Romano.

Dice Ignazio La Russa che la Borsa tedesca ha perso il 50 per cento in vent’anni, poi si scopre che è il contrario ma chissenefrega.

Dice Gianfranco Rotondi che Berlusconi è “un santo puttaniere” e che i cattolici del Pdl non sono in imbarazzo perché “è la superiorità dell’Occidente cristiano sul moralismo che misura l'affidabilità di un politico sulla sua condotta privata”.

Dice Antonio Leone che il cardinal Bagnasco parlando di “aria ammorbata da comportamenti licenziosi” non si riferiva a Berlusconi ma ai parlamentari separati, e forse anche ai preti pedofili.

Dice Franco Frattini che Valter Lavitola a Panama non stava con lui, è arrivato per conto suo e si è imbucato alla cena ufficiale prevista dalla missione senza che nessuno se ne accorgesse.

Dice Marcello Veneziani che Berlusconi intercettato gli ricorda Ezra Pound in gabbia nel campo di concentramento americano di Coltano.

Dice Gianni Alemanno “mai più Minetti nei listini regionali” altrimenti “offendiamo il Pdl e Silvio Berlusconi”.

Precisa Roberto Formigoni che la Minetti non l’ha scelta lui perché il listino lo fa il partito.

Specifica l’eurodeputata Lara Comi che lei non è come la Minetti né come “le altre” promosse dal Pdl, va alle feste del premier, ma “ha dieci anni di gavetta politica”.

Replica il capogruppo europeo del Pdl Mauro Mauri che queste sono “dichiarazioni lesive della dignità della persona” che “causano danno al partito e al Paese” perché anche “le altre” sono degnissime persone “e bene ha fatto il partito a scegliere persone provenienti da esperienze differenti che sono il riflesso di una multiforme società civile”.

Potrei andare avanti per cento righe, ma la fotografia di un eventuale futuribile immaginario Pdl senza Berlusconi mi sembra molto chiara già così, e non è un bel vedere.

In molti stanno ragionando sul futuro “partito popolare italiano”, una specie di riedizione democristiana che dovrebbe rimettere insieme i pezzi del centro dopo la caduta del sovrano.

Altri prefigurano la ricostituzione di una destra post-aennina, salvando il salvabile delle filiere dei Colonnelli tritate dal Cav. Poi c’è il solito convitato di pietra, il “partito degli industriali” o dei tecnici, di Montezemolo o della Marcegaglia, che dovrebbe avvalersi di spezzoni di politica raccolti dalle macerie del berlusconismo.

Sono molto scettica. E comincio a pensare addirittura che Berlusconi sia migliore del partito che guida, che i fedelissimi siano più irrecuperabili del loro guru-padrone.

Certo il premier, se fosse al posto degli Scajola o degli Alemanno, dei Formigoni o degli aspiranti neo-dc, non si sarebbe lasciato sfuggire l’attimo: avrebbe messo su una squadretta sul modello Scilipoti e avrebbe giocato la sua partita. Qui, invece, la capacità di rischio e il coraggio sono pari a zero. E fanno un po’ ridere i titoloni dei grandi quotidiani che presentano ogni sussurro come una dissociazione, ogni bisbiglio come uno smarcamento, ogni riunioncina di corrente come una vigilia rivoluzionaria . Il Popolo della libertà senza Berlusconi non è buono a far niente, solo a recitare il rosario del “Mattinale” (il mitico bignamino della maggioranza) nel pastone del Tg1 o nei talk-show. Uno dopo l’altro sono stati illusi di essere i preferiti del sovrano, quelli che avrebbero avuto un ruolo privilegiato nella transizione pilotata verso il nuovo Pdl del 2013. Hanno sfigurato la loro immagine pubblica per questo. E oggi, nel giorno del compleanno del sovrano, scoprono chi conta davvero nell’anticamera del re: Valter Lavitola, che allo scoccare della mezzanotte gli ha fatto il regalo più gradito, un alibi a tutto campo dalle navi a Panama fino alle ragazze di Tarantini. E la promessa di nuove rivelazioni su Fini. Altro che chiacchiere e voti di fiducia.

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