lunedì 5 settembre 2011

A Pigi, ma che stai a dì?


di Marco Travaglio

In quello che il capo del governo definisce autorevolmente “Paese di merda”, è normale che autorevoli giornalisti non sappiano di che parlano. E finiscano per confondere le idee ai lettori, anziché chiarirle. Uno di questi, plurirecidivo, è Pigi Battista, che in un videocommento sul Corriere.it si esercita ancora una volta su un tema a lui tanto caro quanto sconosciuto: la giustizia.

L'incipit è già tutto un programma: “Oggi vorrei difendere Berlusconi”. E sai che novità. Titolo: “Dire ‘Paese di merda’ non è reato”. E chi l’ha mai sostenuto? Boh.

Battista afferma che la telefonata non andava pubblicata, anzi non andava proprio riportata nell’ordinanza di arresto “visto che non contiene nessun reato specifico”. Poi ne dà lettura sventolando Libero (il Pompiere l’ha accuratamente nascosta in prima pagina), per definirla “uno sfogo”, “una chiacchiera privata” e prendersela coi soliti “addetti alla severità” che hanno osato criticarla. E, citando il Foglio, accusa il governo di violare a sua volta la privacy dei cittadini facendo pubblicare i “nomi dei contribuenti”, il che a suo dire prelude a una norma che “obbligherà i sindaci a mettere online gli orientamenti sessuali dei loro cittadini” (cosa c’entrino gli orientamenti sessuali – fatti assolutamente privati – con le tasse che si pagano non si pagano allo Stato – fatti assolutamente pubblici – lo sa solo lui).

Ma torniamo a bomba, anzi a balla: a parte il fatto che i reati li giudicano i giudici e non i Battista, non è scritto da nessuna parte che le telefonate “rilevanti” per un arresto debbano contenere notizie di reato. Lo sa chiunque abbia fatto per mezza giornata il cronista giudiziario. Dunque non Battista. Ma gli sarebbe bastato leggere l’ordinanza del gip Amelia Primavera, che spiega perché ha riportato quella telefonata di B. all’utenza panamense di Lavitola alle 23:14 del 13 luglio con una scheda Wind intestata a tale Ceron Caceres, peruviano (telefono e sim forniti da Lavitola per comunicare al riparo da orecchi indiscreti...): “La rilevanza della conversazione discende dal fatto che la stessa attesta non solo quella speciale vicinanza di cui si discorreva, ma anche la natura dei rapporti intrattenuti tra il Berlusconi e il Lavitola, attivo e riservato ‘informatore’ su vicende giudiziarie che, benché riguardanti terzi, appaiono di specifico e rilevante interesse dello stesso Berlusconi”.

I due, ricattatore e ricattato, si danno del tu. E il ricattatore sa molte cose che potrebbero nuocere al ricattato: Lavitola “discorre soprattutto di procedimenti giudiziari, in particolare di quello sulla ‘P4’ nonché ad altri riguardanti fatti accaduti a Bari e di cui il Lavitola sembra avere notizie”. B. dà l’impressione di sapere che Lavitola è intercettato (infatti l’indagine è stata rovinata da una fuga di notizia di Panorama, che guardacaso appartiene allo stesso premier): si dipinge come un giglio di campo e comunica al maresciallo in ascolto e al ricattatore di non essere ricattabile, né sulle escort né sulla P4 (“della P4 non me ne può importare di meno, perché io sono trasparente, pulito, non c’è nulla che mi possa dar fastidio. Non faccio niente che possa essere notizia di reato, quindi sono tranquillo. L’unica cosa che possono dirmi è che scopo. Quindi mi mettono le spie dove vogliono, mi controllano le telefonate, non me ne fotte niente”).

Infine il ricattato annuncia che vuole espatriare lontano dal “Paese di merda” dove si indaga sui suoi reati attivi e passivi e dove l’ultimo che passa tenta di ricattarlo.

Altro che “sfogo” o “chiacchiera privata”. Solo un Battista può pensare che questa telefonata sui ricatti al premier non sia rilevante per un’indagine che ipotizza ricatti al premier: “Che Paese è quello in cui una conversazione senza alcun reato viene resa pubblica?”. Già: e che Paese è quello in cui un autorevole giornalista dice tante corbellerie? La risposta, autorevole e definitiva, l’ha data il presidente del Consiglio.

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