martedì 13 settembre 2011

"Sono disperato", lo sfogo del "mantenuto" del premier


Il presidente del Consiglio tenuto sotto scacco, quasi “in ginocchio”, da chi conosce i suoi segreti. Un capo del governo che dice al telefono ad uno dei suoi presunti ricattatori: "Basta, vado via da questo paese di merda, sono nauseato". E il suo denaro destinato a comprare il silenzio di persone che egli percepisce come potenziali pericoli. Così si spiegano, secondo l'accusa, i 500mila euro versati a Valter Lavitola e destinati a Giampaolo Tarantini, già procacciatore delle escort per il premier sotto inchiesta a Bari, più “lo stipendio” mensile di 20mila euro, più il fitto della residenza romana destinata al solo Tarantini.

Esplode lo scandalo più insidioso sulla corte dei “mantenuti” del presidente. L'accusa: estorsione. Parte offesa, lo stesso presidente del Consiglio. Su richiesta dei pm di Napoli Vincenzo Piscitelli ed Henry John Woodcock, a Roma finiscono in carcere Giampaolo Tarantini e sua moglie Angela Devenuto, detta anche Nicla o Ninni. Sfugge invece alla cattura Valter Lavitola, l'uomo già indagato nell'ambito dell'indagine napoletana sulla P4. "Sono all'estero per lavoro", fa sapere lui. Si tratta dell'editore del giornale “Avanti!”, oggi accusato di essere il burattinaio delle tangenti del premier, ma già noto come l'artefice della campagna di stampa sulla vicenda Montecarlo, diretta contro il presidente della Camera Gianfranco Fini. Indagati anche due personaggi legati a Lavitola: suo cugino Antonio Lavitola e Fabio Sansivieri, l'uomo che distribuiva il denaro intascato.

Nelle 105 pagine dell'ordinanza emessa dal gip Amelia Primavera, spicca la lunga telefonata del premier, datata 13 luglio scorso, con Lavitola. Lo stesso Lavitola procura al capo del governo alcune schede intestate a cittadini sudamericani, e Berlusconi da quelle utenze che ritiene non intercettabili, discute con lui di Bisignani, di Gianni Letta ("è l'uomo più onesto che conosca"), della loggia P4 ("è lontana da me cento chilometri"), della decisione sul risarcimento alla Cir di De Benedetti (“una cosa troppo terribile mi hanno fatto, una rapina basata su due giudici talebani di sinistra”). Berlusconi si lascia andare anche a uno sfogo: "Io sono assolutamente tranquillo, a me l'unica cosa che mi possono dire è che scopo. Mi mettono le spie dove vogliono, non me ne fotte niente, io tra qualche mese me ne vado per i cazzi miei".

Ma nel provvedimento di custodia cautelare colpiscono anche le numerose e inquietanti conversazioni tra Lavitola e Tarantini, che addirittura litigano sul denaro già spillato o da spillare ancora a Berlusconi. Tarantini sospetta infatti che Lavitola stia distraendo per sé i 500mila euro ottenuti dal premier e da girare ai coniugi baresi. E sbotta: "Ma sono coglione io?... Allora Sabina ha una casa che sembra la Onassis, ma l'hai vista? Dieci milioni. Ma l'hai vista? Sembra finta, quella casa... Poi Mora e Fede, hai visto? E io sono il coglione?". In un'altra accesa telefonata Tarantini dirà, riferendosi al denaro da estorcere al premier: "Io a lui gli voglio dire una cosa, mi voglio mettere di fronte e gli voglio dire: "Presidè, io non c'ho una lira, sono disperato, sto facendo 'sta cazzo di operazione... nel frattempo, per favore, mi vuoi mantenere come Cristo comanda, senza avere rotture di coglioni di nessun genere?" Mi deve dire: no? Io non ci credo". E Lavitola prova a rabbonirlo: "Gianpà, quello cosa ti deve dire, ti deve dire: "Lo sto facendo", com'è vero che lo sta facendo". Non abbastanza, evidentemente.

Emerge anche che Tarantini ha incontrato due volte, riservatamente, il presidente del Consiglio. E soprattutto che in ballo, come arma da usare per estorcere altri capitali, c'è la vicenda del processo a Bari: “Gianpi” dovrà assolutamente evitare il patteggiamento, che comporta la condanna certa per Tarantini e il sollievo per il premier, allarmato dai contenuti ritenuti potenzialmente “catastrofici” di quegli atti di Bari. Lavitola detta a Tarantini la linea: "Gli devi dire che il patteggiamento non lo fai, e solo se te lo chiede lui (Berlusconi, ndr) in ginocchio". Berlusconi, intanto, interpellato da "Panorama", che aveva anticipato l'intera istruttoria, ha sostenuto: "Ho solo aiutato una famiglia che ha drammatiche difficoltà economiche". Ma ora il premier potrebbe essere ascoltato come testimone dalla Procura di Napoli.

Un'inchiesta che si intreccia e, per certi aspetti, spiega ciò che era rimasto nell'ombra in alcuni retroscena di parallele inchieste. Tarantini, ad esempio, sottolinea che Niccolò (Ghedini, ndr) lo avrebbe "messo nel panico, due anni fa", cioè quando esplode l'inchiesta sulla D'Addario. Un quadro che tira dentro anche le condotte, al vaglio dei magistrati, dei difensori di Tarantini e dello stesso premier. Un contesto di tinte così fosche che, come scrive il giudice per le indagini preliminari, "tira in ballo la stessa trasparenza delle istituzioni".

01 settembre 2011

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