di CARMELO LOPAPA
"Provino a cacciarmi, se ne hanno la forza". La trincea di Giulio è una barricata eretta al "fronte" di Washington, tra ministri economici del G20 e vertici del Fmi alle prese con la crisi globale. Resiste, Giulio Tremonti, all'assedio con il quale in quelle stesse ore lo cingono da Roma i pretoriani del Cavaliere. Chiaro che quella sfilza di peones e dirigenti che chiedono la sua testa accusandolo dell'assenza al voto su Milanese, prende le mosse da un input del presidente del Consiglio. L'inquilino di via XX Settembre ha la conferma di essere stato "sfiduciato" quando al risveglio, alle sette del mattino negli Usa (sono le
Tremonti chiama sottosegretari e collaboratori al ministero dell'Economia e rassicura. Se in questo caos il presidente del Consiglio non si fa da parte, è la tesi, non vede la ragione per la quale dovrebbe farlo lui. "Io sono qui a lavorare per l'interesse del Paese e Silvio che fa? Mi vuole sfiduciare? Se ne ha la forza mi cacci, provino a farlo, se ne sono capaci" è lo sfogo del ministro con i pochi che hanno avuto modo di parlargli. Sicuro di sé anche perché consapevole di quanto Berlusconi stesso e il suo governo rischino di essere travolti dall'eventuale siluramento del responsabile dell'Economia, tra borse che rimbalzano, titoli al ribasso e spread schizzato oltre i 400 punti. Per non dire del Quirinale che, in una fase così delicata e critica, sarebbe per nulla propenso a sostituire in corsa Giulio Tremonti per affrontare un salto nel vuoto o addirittura un interim. Il professore di Sondrio dunque continua a tessere la sua tela. E a coltivare i suoi rapporti internazionali. Un breve incontro con il direttore generale dell'Fmi Christine Lagarde, poi il suo collega israeliano. Come nulla fosse.
Nelle stesse ore, a Roma, il presidente del Consiglio tesse altro genere di tele, con l'obiettivo dichiarato di disarcionarlo, o meglio, di costringerlo alle dimissioni. Ma intanto deve fronteggiare l'accerchiamento - non solo quello delle inchieste - che si fa sempre più asfissiante. La leader degli imprenditori Marcegaglia torna ad attaccare il governo, a invocare il cambiamento, pronta ormai a guidare la "rivolta" di Confindustria ("Salviamo noi l'Italia"). Berlusconi, raccontano, è furente dopo l'ultimo exploit: "La presidentessa è a fine mandato. Pensa al suo futuro in politica e di poter diventare il leader che il centrosinistra sta cercando" è il commento velenoso che gli attribuiscono. Certo, l'accerchiamento il governo lo avverte eccome, "c'è una elite lontana dal popolo che lavora contro il governo" va ripetendo Maurizio Sacconi anche alla kermesse Pdl organizzata da Alemanno alla quale partecipa con Alfano nel pomeriggio.
Ma in cima alle preoccupazioni del Cavaliere c'è soprattutto Tremonti e la risoluzione del rapporto. Non ne avrà parlato giusto con Sabina Began - 90 minuti nella residenza del premier - ma è il nodo al centro dei colloqui che seguono a Palazzo Grazioli con Angelino Alfano e poi con Renato Brunetta. Berlusconi lascia trapelare, non a caso, che i decreti per il rilancio dell'economia sono già in gestazione a Palazzo Chigi, che il ministero nei fatti è "esautorato". Ma si prepara alla guerra intestina, convinto com'è che "tanto Giulio non lascerà, perché sa bene che con le dimissioni uscirebbe di scena per sempre".
E così, ha tutto il sapore della provocazione, che non dell'effettivo tentativo di convincere l'interlocutore, il sondaggio riservato fatto nelle ultime ore con Vittorio Grilli, direttore generale del Tesoro. L'invito affinché accetti il dicastero di via XX Settembre viene rivolto dallo stesso Berlusconi e da Gianni Letta, nell'eventualità remota che il ministro getti la spugna. Grilli, uomo forte di Tremonti - scavalcato dal direttore generale di Bankitalia Fabrizio Saccomanni nella corsa alla successione a Draghi alla guida di Palazzo Koch - avrebbe cortesemente declinato la proposta, com'era prevedibile. Ma il fatto che sia stata avanzata è risuonato come l'ennesimo avvertimento all'indirizzo del ministro. Come pure lo è la girandola di nomi che dal quartier generale di via dell'Umiltà hanno iniziato a far girare ventilando una successione: da Maurizio Sacconi ad Antonio Martino. Pedine improbabili.
Tremonti resta dov'è, quasi a ripetere quel "hic manebimus optime" già proclamato il 13 luglio scorso. Sempre più isolato, questo sì, ora che anche la sponda leghista appare meno solida per lui. Raccontano i dirigenti di via Bellerio che l'assenza al voto su Milanese abbia sorpreso e amareggiato anche il Senatur, che pure ha dovuto ingoiare il rospo al cospetto della sua base. "Giulio è stato scandaloso" è lo sfogo al quale si è abbandonato Umberto Bossi, amico di sempre del ministro. Tremonti resiste. Ma al rientro a Roma tutto sarà più difficile.
(24 settembre 2011)
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