mercoledì 12 ottobre 2011

Ecco come la prescrizione breve farà morire il processo Mills



di PIERO COLAPRICO

IL PROCESSO MILLS, per fare un esempio sportivo, non è una maratona, è come una gara dei cento metri: è, era e sarebbe un processo semplice. Invece, per quello che è successo e sta accadendo anche in queste ore, può diventare un caso da manuale di giurisprudenza. Un caso, da studiare nelle università come una metafora del potere che non vuole affrontare a viso aperto i processi.

Oggi, infatti, comincia una discussione importante e anche sorprendente nella sede della Commissione giustizia del Senato. Bisogna accelerare, mettersi ventre a terra, correre: è l'ordine. Tutto il dibattito riguardava le intercettazioni telefoniche e nessuno a Palazzo Madama se l'aspettava, ma questa nuova fretta viene accettata perché serve soprattutto a uno. A
Silvio Berlusconi. La cosiddetta "prescrizione breve" è necessaria per salvare il nostro premier dal rischio di una condanna. "Brutta" sul piano dell'immagine. Gravissima nei fatti: se avviene, lo considera come uno che ha corrotto un testimone di giustizia.

Di questa affannosa "prescrizione breve" in discussione oggi non esistevano più tracce sull'orizzonte politico. Perché è stata riesumata così rapidamente? Per comprendere la paura (un po' folle) di Berlusconi e dei suoi legali basta più che "conoscere", "riconoscere" la valenza di alcune date.
La prima è fondamentale. Oggi in Italia la prescrizione si è già abbassata grazie alla cosiddetta Cirielli, che servì - ricordiamo - ad aiutare Cesare Previti, braccio destro di Berlusconi, ex senatore, condannato per corruzione in atti giudiziari.

Conti alla mano,
la prescrizione per il processo Mills scatta nel febbraio 2012. Vale a dire questo: se non si arriva all'emissione della sentenza entro questa data, il processo si dissolve (prescrive) esattamente come la Carrozza di Cenerentola a mezzanotte. Per molto tempo, le difese del premier erano riuscite ad allungare il brodo dei testimoni, portando gente che non ricordava, non sapeva, ma parlava e parlava. Finché il 19 settembre scorso, il tribunale milanese dice no al tandem Ghedini-Longo e decide di sforbiciare la lista testi.

Fissa per il
24 ottobre l'interrogatorio dell'avvocatone inglese un po' in disgrazia David Mills. E per il 28 c'è l'interrogatorio dell'imputato Berlusconi. Non è finita. Ecco già stabilite - attenzione - sei udienze a novembre. Si può dunque arrivare alla sentenza, e ben prima del fatidico secondo mese dell'anno prossimo: non ci sono dubbi.
Occorre adesso - per leggere la filigrana di questa storia, che ci racconta parecchio dell'Italia di centrodestra e di come ha governato - un'altra manciata di "date-Mills". Tutto è, in realtà, sotto gli occhi di tutti.

La richiesta di rinvio a giudizio viene firmata dal sostituto procuratore Fabio De Pasquale nel lontano
10 marzo del 2006. Riguarda due imputati: il legale inglese Mills, che si era occupato del comparto estero di Mediaset e dei conti off shore della famiglia Berlusconi, e lo stesso Berlusconi. Il 30 ottobre dello stesso anno, il giudice Fabio Paparella li rinvia a giudizio: prima udienza il 13 marzo 2007 e primo blocco nell'estate dell'anno dopo, quando (23 luglio 2008) il Parlamento approva il "lodo Alfano".

Il cosiddetto lodo rende reale e concreta l'idea peregrina che i cittadini non siano uguali di fronte alla legge (come vuole la nostra Costituzione), ma che alcune cariche vengano come "angelicate": non possono contaminarsi con gli obblighi delle leggi penali. I giudici del tribunale sollevano, com'è ovvio, il conflitto (27 settembre 2008) e mentre David Mills s'incammina solitario lungo la via del processo, Berlusconi saluta e sparisce dall'aula.

L'inglese, senza lo scudo parlamentare, ottiene la condanna in primo grado. Segue condanna in appello a
quattro anni e mezzo. Anche per i giudici della Cassazione "il reato si è consumato". Mills però non paga con il carcere: per lui è scattata la prescrizione italiana. Nel frattempo, quello che era il suo coimputato prosegue nei dribbling alla magistratura: se il 7 ottobre 2009 il cosiddetto lodo Alfano viene (come merita) cestinato, se il 29 novembre dello stesso anno Berlusconi torna imputato, gli avvocati chiedono e ottengono di aspettare le motivazioni della sentenza Mills. Per i giudici va bene, nel frattempo viene confezionata l'altra "arma letale": il 7 aprile 2010 il centrodestra approva il "legittimo impedimento". Chi ha da fare per il bene della cosa pubblica (lasciamo perdere ogni commento su come il premier abbia trascorso una non trascurabile parte del suo poco tempo) manda un "certificato" e può saltare il processo come uno studente salta la scuola.

Può essere? Il tribunale (
16 aprile) solleva daccapo la questione, daccapo la Corte costituzionale (come qualunque padre di famiglia) dà torto ai berlusconiani: il processo Mills riprende.

Siamo a un lustro dalla fine dell'indagine preliminare: siamo all'11 marzo di quest'anno e viene riesumata la storia dei 600 mila dollari che dalla holding del premier vanno nelle tasche (estero su estero) dell'avvocato inglese Mills. Contrariamente al passato, adesso Berlusconi, imputato unico, vuole "esserci". Riesce a far passare l'idea che
"di lunedì" può sedere alla sbarra. Il calendario preparato da Livia Pomodoro, prima donna in Italia ad essere presidente di Tribunale, sgrana un rosario di lunedì.

Il processo cammina con passo di lumaca, investiga sulla questione basilare: se Berlusconi sapesse o non sapesse che la sua azienda ha pagato Mills non certo per meriti legali, ma perché non rivelasse quanto sapeva di "losco". Lo stesso Mills, incalzato dal rigoroso fisco inglese, in un'ormai famosa lettera a un importante collega, scriveva: "Mi sono tenuto in stretto contatto con le persone di B. (...) Sapevano bene che il modo in cui avevo reso la mia testimonianza (non ho mentito, ma ho superato curve pericolose, per dirla in modo lieve) avesse tenuto mr B fuori da un mare di guai, nei quali l'avrei gettato se solo avessi detto tutto quello che sapevo".
La questione non è da "cento metri"? Dal 19 settembre scorso, da quando i tempi processuali sono tornati "normali", la soluzione sembrava avvicinarsi. Ma con Berlusconi c'è spesso un "ma".

Ed eccoci così alla nascente legge sulla prescrizione breve. Che cosa vuole? Senza entrare in dettagli complessi, possiamo sintetizzare così il calcolo, sapendo che il massimo della pena prevista per
corruzione in atti giudiziari è oggi di otto anni.

La legislazione attuale, dopo la Cirielli-Previti, stabilisce che la condanna sparisce nel nulla quando è trascorso un periodo di tempo preciso. Dev'essere pari alla condanna massima prevista, più un quarto: otto anni (la pena) più due (un quarto di pena) fa dieci anni (quelli che scadono il prossimo febbraio).

Ora che il processo Berlusconi-Mills è alle battute finali, l'ipotesi del centrodestra - proprio da oggi in discussione al Senato, con 150 emendamenti dell'opposizione - regala
uno sconto ulteriore a chi è incensurato: alla pena massima prevista bisogna aggiungere un sesto. Nove anni e quattro mesi invece di dieci. Poco? Tanto?
È quel "pizzichino" che basta per il processo Berlusconi-Mills e per rivitalizzare il premier. Se il testo passa al Senato, a fine ottobre il parlamento può votarlo: se accade, farà "abortire" di fatto la sentenza, qualsiasi essa sia. È davvero un caso da manuale, un inedito legislativo assoluto. E una logica politica esiste: dopo l'avvio del processo Berlusconi-Ruby, dopo la lettura delle telefonate del premier sull'"Italia paese di merda", una condanna, se ci sarà, può diventare la goccia che fa traboccare il vaso delle diplomazie.

Il nostro presidente del consiglio non può permetterselo, è chiaro. Ma forse nemmeno noi come Paese possiamo permetterci una leggina che ammazza così tanti processi per ucciderne uno: possiamo domandare perché Berlusconi non si difende mai nel merito delle accuse?

A margine, due circostanze.
Una è "interna": a denunciare un'"amnistia permanente" è stato Giuseppe Cascini, segretario dell'associazione nazionale magistrati. Teme "almeno un milione all'anno" di processi dissolti. Basta un giro nei tribunali per appurare che le condanne si sfarineranno, che le vittime non saranno risarcite. Vogliamo questo?

La seconda è internazionale: l'Onu chiede maggiore severità agli Stati in materia di corruzione e lo stesso sostiene la Commissione Europea, soprattutto in questo periodo di "colletti bianchi" che mettono in ginocchio i risparmiatori. Noi, in Italia, perché andiamo nella direzione opposta?

(12 ottobre 2011)

Nessun commento: