venerdì 21 ottobre 2011

Ha ucciso l'Italia, e pure l'italiano


Il linguaggio berlusconiano ha talmente intriso di sé questo povero Paese, da aver inquinato anche il modo di esprimersi di chi gli si oppone. Compresi alcuni suoi avversari in ottima fede, come Vendola e Pisapia

di Marco Travaglio

(20 ottobre 2011)

Facciamo finta che Berlusconi sia già caduto: e dopo? Mentre fervono i preparativi in vista di possibili schieramenti, alleanze, leader e programmi (pochini, in verità), è forse il caso di dare un'occhiata a come parla chi si candida al dopo. "Le parole sono importanti", urlava Nanni Moretti. E Gustavo Zagrebelsky e Gianrico Carofiglio hanno dedicato saggi illuminanti alle parole sequestrate dalla neolingua di Arcore.
Gli specialisti concordano sul fatto che, prepensionato Prodi e purtroppo scomparso Padoa-Schioppa (l'unico che ebbe il coraggio di elogiare pubblicamente il dovere di pagare le tasse come "una cosa bellissima"), l'unico leader che è sfuggito al padrone delle parole, inventandosi un linguaggio radicalmente alternativo, è Di Pietro. Pure Bersani ogni tanto ci prova, anche se non finisce mai le frasi e talvolta paragona il suo partito a una "ditta" (forse influenzato da Penati).

I più berlusconiani a parole, dopo esserlo stati a lungo nei fatti (dal 1994 al 2006), sono quelli dell'Udc. Il loro esponente istituzionalmente più altolocato, il vicepresidente del Csm Michele Vietti, casiniano di ferro, in due recenti interviste a "Panorama" e alla "Stampa", infila una serie di parole d'ordine berlusconiane da Guinness. Parla di "uso improprio delle intercettazioni" (quando? Dove? Da parte di chi?).

Sulle competenze incrociate dell'inchiesta nata a Napoli sui ricatti al premier, farfuglia di "guerre tra procure" e "pm gelosi" (ma nessuna procura ha sollevato alcun conflitto di competenza con altre). E attribuisce le molte inchieste sui politici alle "frizioni tra politica e giustizia" (anziché notare che in Italia molti politici delinquono). Quando poi esce dal lessico berlusconiano, notando che "in altri paesi i politici indagati scelgono normalmente di fare un passo indietro", si dà la zappa sui piedi: fu proprio il suo partito, tre anni fa, a portare in Parlamento Cuffaro, imputato di favoreggiamento mafioso, e Romano, indagato per concorso esterno in associazione mafiosa. Idem quando deplora la legge sulla prescrizione breve perché già "la mannaia della Cirielli del 2005 ha drasticamente tagliato i tempi di prescrizione": infatti la ex Cirielli, nel novembre 2005, la votò anche l’UDC, Vietti compreso.
Ma il paradosso dei paradossi è che le parole d'ordine berlusconiane sfuggano di bocca persino agli uomini più in vista della cosiddetta "sinistra radicale". A fine luglio Nichi Vendola, in una stravagante intervista a "Panorama", si profuse in elogi per il premier: "E' sempre stato affettuoso nei miei confronti. Quando è morto mio padre, mi è stato davvero vicino". E aggiunse: "L'idea che per cambiare un ciclo si debba coltivare odio verso chi incarna il potere non funziona più". E chi è che ha infilato nella politica i sentimenti, con la pretesa di essere amato e l'accusa alla sinistra di odiarlo? Ma Berlusconi, naturalmente. Del resto il 24 marzo 2009 il compagno Nichi aveva già definito il Cavaliere "un individuo geniale","un self made man che riesce a costruire un'intera epopea della vita culturale nazionale", "un prototipo di uomo nuovo" da "criticare" ma "non demonizzare" perché "ha vinto, prima che nelle urne, nei sogni e negli incubi degli italiani". Tutte cose che non occorre ripetere, perché le dice già Berlusconi di sé.

Persino Giuliano Pisapia, simbolo della presunta "rivoluzione milanese", nel libro "Due arcobaleni nel cielo di Milano", se ne esce con una bizzarra difesa della legge bavaglio contro le intercettazioni e la cronaca giudiziaria: "La campagna contro la legge bavaglio è sbagliata... Troppo spesso, a seconda dell'orientamento politico, vengono pubblicati determinati atti e non altri. Ti sembra giusto?". Dunque, par di capire, tanto vale occultarli tutti. A leggere certe baggianate, sorge spontanea la stessa domanda che accompagna le esternazioni di Ghedini, Longo, Pecorella & C: parla il politico o l'avvocato? Già, perché come i suoi suddetti colleghi, nemmeno Pisapia ha mai pensato di chiudere lo studio legale durante la sua lunga attività parlamentare. Qualcuno, volendo uscire dalla neolingua arcoriana, potrebbe persino parlare di conflitto d'interessi.

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