sabato 8 ottobre 2011

LA LUNA, MOHAMED E LA SUA SCIMMIA


AMEDEO BLASI
SILVIO BIONDI

LUIGI MORSELLO*

Vi sono tre modi di raccontare il carcere:

1) scrivere di massimi sistemi;

2) scrivere memoriali;

3) raccontare le esperienze dei detenuti vissute in uno o più carceri e osservate da operatori attenti e sensibili.

Questo libro sembra sfuggire agli schemi in quanto mescola nella narrazione le esperienze dei due autori con quelle dei detenuti nell’ambito di un solo carcere: Rimini.

I due autori vi lavorano. Silvio Biondi è un Assistente Capo di Polizia Penitenziaria con oltre 20anni di esperienza, Amedeo Blasi è un sociologo che vanta in famiglia un nonno e un padre operatori penitenziari ed anche due zii paterni. Uno specialista che ha respirato aria di carcere da più generazioni.

Gli autori stessi definiscono il loro lavoro “racconti” e racconti sono, brevi, tanti racconti brevi.

Accenno ai primi due del libro.

LA CHIAVE. Titolo evocativo ma ingannevole. È l’incipit del libro, un racconto che dà immediata la percezione dell’atmosfera di tutto il libro e proietta il lettore comune all’interno di una comunità ancora percepita, talvolta non a torto, come chiusa, oscura e minacciosa, tale da incutere paura e serve a comprendere la personalità di uno dei due autori, Silvio Biondi. Egli descrive e racconta una sua giornata-tipo di lavoro in una delle sezioni del carcere, ricevendo le consegne dal collega Mattia, chiaramente di origine campana, che fatto il turno notturno.

Protagonista del racconto non è una persona o più persone ma un oggetto inanimato: la Chiave.

Il carcere è il suo Regno, la sua utilizzazione scandisce le giornate ininterrottamente, con un diradarsi nelle ore notturne.

Gli agenti in servizio non impugnano un’arma la Lei, la Chiave. Ne hanno almeno due, attaccate al cinturone, che tintinnando fra loro segnano il camminare del personale.

Questo suono viene percepito dai detenuti e dal personale come fastidioso e noioso, altre volte innesca sogni ad occhi aperti. Quando il mazzo di chiavi cade sul pavimento i detenuti sentono solo il suono della caduta, questo suono innesca fantasie, fantasticheria ad occhi chiusi, atmosfere di desideri, aspirazioni che svaniscono bruscamente quando gli occhi si riaprono.

In questo racconto realtà e fantasia si mescolano con pennellate sapienti e sfumature poetiche.

IL NAUFRAGIO. Titolo evocativo ma non ingannevole. Il naufragio inteso come fenomeno della vita degli esseri umani.

Silvio Biondi ha adottato una bambina colombina, una adozione a distanza, ha in tasca una lettera della figlia adottiva da tre giorni, forse non si decide a farsela tradurre (è scritta in lingua spagnola che Silvio non conosce), ma una mattina, quella mattina diluvia, un temporale che provoca un fuggi fuggi generale dallo Spaccio Agenti verso le rispettive destinazioni. Silvio decide di farsi leggere la lettera, incarica un detenuto spagnolo, Pablo, il quale si accinge all’opera e lo fa riga dopo riga, ma riga dopo riga cambia umore, si fa serio, pensoso. La bambina si trova in una missione cattolica in Colombia, la dirige un prete cattolico, padre Hernando, che la raccattata per strada, sola e abbandonata, costretta a vivere di espedienti, a sopravvivere.

Pablo spiega che quella lettera gli ha fatto riviverla sua parabola umana, una parabola discendente che dall’abbandona della madre lo ha portato a vivere sulla strada senza avere la fortuna di incontrare un padre Hernando, una parabola discendente di miseria, degrado, reati che lo fanno finire in carcere.

Questo il libro è costruito così, tanti pezzetti di realtà e di umanità che contribuiscono a realizzare un grande affresco nel microcosmo di una sola realtà carceraria.

È da leggere e rileggere, non è una lettura facile, pur essendo la scrittura limpida e lineare, perché esce dagli stereotipi della letteratura specifica e ambisce a non essere una lettura di nicchia.

* ispettore generale dell'amministrazione penitenziaria

2 commenti:

Amedeo ha detto...

tanti sono i modi di prefare uno scritto ma questo intervento del dottor Morsello è un abito, un abito paricolare che veste d'annucio il lavoro, che lo annuncia al lettere, lo mette subito davanti al libro, lo prepara a leggere. Prima lo incuriosisce offrendogli il terno delle opportunità, quindi lo stuzzica dichiarando la possibilità di una quarta prosa verso cui ci si deve orientare per comprendere. ma ecco che Morsello non prefà ma entra nell'oikos direttamente; così, è da dentro questa casa degli affetti che ora parla e dice della chiave e del naufragio. Termina il suo affettuoso intervento con la più ineffabile lode in neretto, con l'invito che cattura il mistero, chiamando la nostra " Luna " , caro Silvio, cosa che "esce dagli stereotipi della letteratura specifica e ambisce a non essere una letteratura di nicchia" ... bhe: aletheia, dottor Luigi Morsello
Amedeo Blasi

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

Grazie Amedeo, ma hai messo a dura prova il mio (inesistente) greco: Non lo fare più! :-) Io non sono un uomo colto ma un direttore di carceri in pensione! :-)