giovedì 20 ottobre 2011

Strappo istituzionale


di EUGENIO SCALFARI

STA per accadere un fatto di estrema gravità, riguarda la nomina del nuovo governatore della Banca d'Italia, successore di Mario Draghi che tra nove giorni sarà insediato alla guida della Banca centrale europea "nonostante sia italiano", come dissero informalmente la Merkel e Sarkozy quando nel giugno scorso quella scelta fu approvata all'unanimità dal Consiglio dei capi di governo dell'Unione europea.

È appunto dal giugno scorso che se ne parla. Si tratta infatti di un atto complesso con tre attori: il presidente della Repubblica che firma il decreto presidenziale di nomina,
il presidente del Consiglio cui spetta il diritto di proporre il nome del candidato e il Consiglio superiore della Banca d'Italia che è chiamato ad emettere il suo parere, obbligatorio ma non vincolante.

Finora il governatore è sempre stato scelto all'interno della Banca d'Italia salvo per l'appunto la nomina di Draghi che avvenne perché l'allora governatore Antonio Fazio era stato rinviato a giudizio sulla questione della scalata della Banca Antonveneta da parte dei "furbetti" e "furboni" del quartierino, come allora furono chiamati.

Ma nonostante i mesi trascorsi e le ripetute sollecitazioni del Quirinale, il tempo passava invano e la proposta di Berlusconi non arrivava. La causa è nota: il ministro dell'Economia,
Giulio Tremonti, aveva un suo candidato nella persona di Vittorio Grilli, già ragioniere dello Stato e attualmente direttore generale del Tesoro, cioè principale collaboratore di Tremonti, Marco Milanese a parte. Si contrapponevano dunque l'attuale direttore generale della Banca d'Italia, Fabrizio Saccomanni, che rappresenta la continuità dell'Istituto e gode della fiducia di Draghi, a Vittorio Grilli che anche lui ha buoni titoli nella sua biografia personale.

Con un handicap tuttavia non da poco: Tremonti ha più volte e pubblicamente motivato la sua propensione a favore di Grilli perché ritiene che la Banca debba essere una propaggine del ministero del Tesoro soprattutto nel campo della politica bancaria, in quella importantissima della Vigilanza e infine nelle valutazioni della politica economica del governo che il governatore formula almeno due volte l'anno, il 31 maggio nel corso dell'assemblea generale dell'Istituto e a ottobre nella Giornata del Risparmio. Insomma, un capovolgimento totale dello spirito della tradizione e del ruolo assegnato alla Banca d'Italia fin dall'epoca in cui fu fondata, Ventennio fascista a parte. Va ricordato che del ministro del Tesoro la legge che disciplina la nomina del governatore non fa affatto menzione. Si tratta dunque in questo caso d'una
vera e propria interferenza che il presidente del Consiglio ha subìto e subisce per la strutturale debolezza in cui è finito il governo-fantasma che si ostina a presiedere.

Per questa ragione il tempo ha continuato a passare fino a quando il calendario non ha fatto arrivare la data limite, ma a questo punto è emersa un'altra complicazione. Con l'uscita di Jean-Claude Trichet dalla presidenza della Bce la Francia resta senza alcun rappresentante nel direttorio di quella fondamentale istituzione europea, mentre l'Italia ne ha addirittura due: Draghi e Bini Smaghi.

Il problema era già stato esaminato a giugno. Bini Smaghi aveva dato pubblica assicurazione a Sarkozy che si sarebbe dimesso dalla Bce il giorno stesso dell'insediamento di Draghi. Contemporaneamente aveva informato Berlusconi del suo interesse al governatorato della Banca d'Italia ricevendone, a quanto si sa, una risposta interlocutoria.

Arrivata ormai la scadenza Bini Smaghi avrebbe fatto sapere che se la sua richiesta non verrà accettata intende rimanere alla Bce fino a quando il suo mandato non sarà scaduto, cioè per più d'un anno ancora. Sarkozy a questo punto intende sollevare il caso alla prossima riunione del Consiglio dei ministri europeo e minaccia ritorsioni contro il governo italiano.

Oggi Berlusconi farà la proposta al Consiglio superiore della Banca d'Italia e, a quanto si è saputo ieri, dovrebbe proporre proprio Bini Smaghi - anche se mentre scriviamo circolano voci su un suo possibile ripensamento - , invocando la forza maggiore di evitare un conflitto con la Francia ma soprattutto sottraendosi alla scelta imposta da Tremonti.

La soluzione Bini Smaghi è pessima soprattutto perché frutto d'un ricatto vero e proprio: resta a Francoforte se non gli si dà via Nazionale.
Mettere alla guida della Banca d'Italia un personaggio che rischia di suscitare una guerra diplomatica tra l'Italia e la Francia definisce compiutamente la figura morale e politica d'una simile candidatura. Non a caso ieri Bersani e Casini hanno diffuso un comunicato in cui auspicano una scelta del governo che rispetti l'autonomia e le competenze interne dell'istituto. Una decisione che non tenga conto di ciò avrebbe tra l'altro come immediata e probabilissima conseguenza la dimissione di gran parte del direttorio della stessa Banca d'Italia in un momento di estrema delicatezza della situazione economica e finanziaria del Paese.

Non sappiamo ovviamente quale sarà il parere del Consiglio superiore dell'Istituto e ancor meno sappiamo quale sarà l'atteggiamento del presidente della Repubblica. Ricordiamo a questo punto che il parere del Consiglio superiore, pur non essendo vincolante, è tuttavia di grande rilievo istituzionale. Per quanto riguarda il Capo dello Stato, la sua non è una controfirma "dovuta" su un atto del governo ma una firma apposta ad un decreto di sua diretta emanazione.
Il diritto di proposta spetta a Berlusconi, ma Napolitano ha pieno diritto di rifiutarlo se lo ritiene inopportuno e chiedere una proposta alternativa.

Questo è l'ennesimo nodo che arriva al pettine a causa del governo che ci sgoverna ed è l'ennesima causa di degradazione dinanzi al concerto delle Nazioni europee che ci ignorano e ci sbeffeggiano. Il tutto in una fase in cui l'appoggio della Bce al nostro debito argina a fatica la pressione dei mercati sui nostri titoli di Stato e sulle nostre banche.

(20 ottobre 2011)

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