venerdì 25 novembre 2011

Corsa disperata per salvare l’euro. In tre mosse


DEVE MUOVERSI LA BCE, POI EUROBOND LEGGERI E SUBITO DOPO L’UNIONE FISCALE, TEDESCHI PERMETTENDO

Adesso che la crisi dei debiti sovrani ha raggiunto la Germania non c’è più tempo: l’asta dei bund tedeschi di mercoledì è andata per metà deserta. Perché?

La Germania non era il più solido dei Paesi Ue?

Anche ieri i bund tedeschi hanno mantenuto un rendimento superiore al 2 per cento, un pessimo segnale.

Gli investitori vedono due scenari: uno in cui la Germania non salva nessuno, e si prepara a soffrire per la recessione e forse l’uscita dall’euro dei partner commerciali deboli come la Grecia, e l’altro in cui all’ultimo momento Berlino rinsavisce e decide di salvare l’euro, addossandosi notevoli costi.

NEMMENO i cosiddetti speculatori pensano che Angela Merkel rimarrà ferma mentre tutto crolla e quindi cominciano già a farle pagare il credito un po’ di più, incorporando i futuri sviluppi. Ma non è detto che abbiano ragione. Forse davvero l’euro è spacciato.

Sul modo di salvare la moneta unica ormai ci sono pochi dubbi. Basta leggere le 35 pagine del documento di discussione sugli “Stability bond” presentato mercoledì dal presidente della Commissione Ue José Barroso per farsi un’idea.

Prima mossa: serve un intervento di “back stop”, come si dice in gergo. Una barriera tra gli investitori e il loro panico, qualcosa che scoraggi definitivamente chi scommette sul crac dell’euro. Il Fondo salva Stati Efsf ha in pancia circa 200 miliardi da spendere, troppo pochi per arginare i 1800 del debito pubblico italiano in circolazione. Il Fondo monetario non può muoversi in autonomia e non è neppure certo che abbia le risorse. Resta solo la Banca centrale europea di Mario Draghi che dovrebbe agire come “prestatore di ultima istanza”: se Paesi come l’Italia che, in prospettiva hanno conti accettabili, oggi non riescono a trovare credito è per colpa del panico dei mercati. Meglio quindi sostenere dichiaratamente senza limiti quello Stato per superare il momento difficile ed evitare che una difficoltà momentanea diventi bancarotta. Ma la Germania si oppone, teme di perdere il controllo sulla politica monetaria e che si stampi tanto denaro da generare inflazione e permettere agli Stati spendaccioni di uscire dalla crisi senza abbastanza austerità.

SE ARRIVASSE l’aiuto della Bce in questa forma, con un’interpretazione estensiva del suo statuto, poi servirebbero subito gli Eurobond. Lo schema minimo elaborato dalla Commissione, che non richiede un cambiamento dei trattati europei, prevede che i Paesi in difficoltà sul mercato come Spagna e Italia possano sostituire parte del debito già emesso con titoli garantiti pro quota (in base a quanto versano per la Bce) dagli altri Stati membri. Il nuovo debito prodotto in futuro risulterebbe comunque molto caro, ma si fermerebbe l’effetto valanga che sta rendendo sempre più insostenibile l’indebitamento attuale di molti Paesi. Un brivido ha percorso i mercati quando Angela Merkel, da Strasburgo, ieri ha scandito: “Gli Eurobond cercano di livellare la competitività mentre invece bisogna dire quello che si deve e non si deve fare per riconquistare la fiducia”. La filosofia tedesca è riassunta così: “Se tutti convergeranno insieme si può centrare l’obiettivo o ci indeboliremo tutti, dobbiamo arrivare ai tassi che c’erano prima della crisi”. Quindi sacrifici, austerità e recessione e poi tutto tornerà come prima della crisi. Però è ormai opinione condivisa che i mercati non siano impazziti all’improvviso ma si siano lentamente risvegliati, accorgendosi che la Grecia e l’Olanda sono pur sempre due Paesi diversi anche se hanno la stessa moneta e quindi devono pagare diversamente il credito.

NON SI TORNERÀ mai all’antico, a meno di non fare davvero un’Unione fiscale, come chiede anche la Merkel (ma solo per prendere tempo) in cui le manovre di bilancio le decide solo Bruxelles. Quello che in Italia abbiamo visto da quest’estate, tra lettere della Bce e del governo alla Commissione, è solo l’antipasto. Se l’euro dovesse sopravvivere e si arrivasse all’Unione fiscale, poi si porrebbe però il problema della democrazia: a che titolo la Commissione, che non è neppure eletta, decide tutto? Ma forse è inevitabile scontrarsi con questo tema. Anche gli Stati Uniti d’America sono nati da una rivoluzione al grido di “no taxation without representation”. Forse di lì passano anche gli Stati Uniti d’Europa.

Ste. Fel.

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