mercoledì 2 novembre 2011

Fermare la deriva


Un Paese alla deriva. È questa l'impressione che diamo all'Europa e ai mercati che continuano, come ieri, a punirci. Ricordiamoci che, con i titoli al 7 per cento, la Grecia e l'Irlanda sono saltate. Ieri a New York e a Londra erano in molti a scommettere su un nostro fallimento. Dobbiamo fare il possibile per evitarlo. Tutti insieme. L'Italia che lavora e fa il proprio dovere non lo merita.

Il governo ha le sue responsabilità. Gravi. Anche se la crisi è globale. Dal 5 agosto, quando venne inviata la lettera della Bce all'Italia, nulla è stato fatto sul versante della crescita. L'effetto della manovra di 59,6 miliardi è in parte svanito per l'esplosione del costo del debito, in parte è ancora da realizzare. Troppi gli annunci, molte le marce indietro. Numerosi i litigi. Inspiegabili i comportamenti. Il premier straparla sull'euro, poi si corregge. Dare la colpa alla Grecia non basta, anche se Atene sceglie un referendum scellerato. Il ministro dell'Economia, Tremonti, non scrive la lettera d'intenti all'Ue e ostenta un visibile distacco. I suoi colleghi di governo e di maggioranza ne chiedono ogni giorno la testa. E chi la lettera l'ha scritta (Brunetta) si compiace dell'emarginazione del collega-rivale. Bossi blocca ogni riforma della previdenza e si inventa, alla sagra della zucca, le gabbie pensionistiche regionali. I destini personali prevalgono su quelli generali. La paura di perdere voti su quella di perdere il Paese.

L'opposizione, salvo rare eccezioni, è apparsa nei giorni scorsi più preoccupata delle idee di Renzi e della forma bizantina delle primarie che di dimostrare con proposte concrete di avere una cultura di governo europea. Le reazioni, ieri sera, all'appello alla responsabilità nazionale del capo dello Stato, sono apprezzabili. Ma non c'è un elemento della lettera della Bce che trovi totalmente d'accordo la triade di Vasto (Bersani, Di Pietro, Vendola).

Il tempo di Berlusconi è finito. La resistenza del Cavaliere non ha più senso. Rischia di travolgere il suo partito - che dovrebbe spingerlo a lasciare - e soprattutto il Paese. La crisi è economica, ma anche politica legata alla sua persona. Doveva annunciare prima che non si sarebbe ricandidato e chiedere elezioni anticipate. Come la Spagna. Oggi ha davanti a sé una sola strada. Presentarsi al G20 di Cannes con provvedimenti eccezionali, immediati, ma soprattutto credibili. Con atteggiamenti individuali di governo all'altezza della drammaticità di queste ore. Dimostrare che siamo una nazione capace di onorare i propri impegni, perfettamente solvibile, affidabile. Comportarsi, insomma, da statista. Almeno all'ultimo miglio. Dall'esito, deludente, del vertice di ieri sera non si direbbe. Oppure rendere possibile subito, con un gesto responsabile, un esecutivo di emergenza - anche a guida di un esponente della maggioranza - che concordi con l'opposizione i tempi e i modi per scongiurare il pericolo di un fallimento e l'onta internazionale di vedere il Paese con il cappello in mano.

Ferruccio de Bortoli
02 novembre 2011

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