martedì 8 novembre 2011

La resistenza del Cavaliere




Quando Silvio Berlusconi vinse la sua prima elezione, siccome cambiava sempre parere, smentiva, diceva e disdiceva, lo battezzai per celia «Cavalier Traballa». È stata una delle mie peggiori trovate. Il Cavaliere è restato in sella, salvo brevi intermezzi, per diciassette anni e ancora non dà mostra di volersene scendere. Eppure stavolta, come raccontano le cronache politiche di questi giorni, traballa davvero. Ma, se volesse lasciare la presidenza del Consiglio, come dovrebbe fare? Qual è la procedura per liberarsi del fardello del potere? Prima ipotesi: Berlusconi chiede la fiducia in Parlamento, non la ottiene, va subito al Quirinale dal presidente della Repubblica e chiede nuove elezioni. Proprio subito, illico et immediate .

Ma in tal caso dubito che il capo dello Stato gliele conceda. Perché la nostra Costituzione richiede che prima di indire nuove elezioni il presidente della Repubblica debba accertare se nelle due Camere esistano altre possibili maggioranze di governo. Ma sento già le dichiarazioni di stizza di Fabrizio Cicchitto e altri portavoce: ma questo sarebbe un infame «ribaltone»; la nuova maggioranza, se ci fosse, sarebbe costituita da «traditori» della volontà popolare, da venduti.
Spero che il capo dello Stato si infischierà della dottrina del ribaltone (che tra l'altro non esiste in nessun altro ordinamento costituzionale). Dunque non è detto che, caduto Berlusconi, non possa seguire un nuovo governo di «tecnici» (per esempio presieduto da Mario Monti). So bene che per gli onorevoli in carica un governo dei tecnici sarebbe esecrando perché li spoglierebbe (temporaneamente) dei loro emolumenti e privilegi. Ma l'attuale stato di sfascio dei nostri partiti di sinistra non rassicurerebbe né il Paese né il resto del mondo. Perché noi italiani siamo ormai dei «sorvegliati speciali». Berlusconi promette ma non mantiene, dice ma non fa. E «sorvegliati speciali» resteremmo anche se il governo fosse sostenuto dall'alleanza Bersani-Di Pietro-Vendola.

Avevamo detto della prospettiva delle elezioni in tempi ravvicinati. Con l'occasione mi permetterei anche di suggerire al presidente di far cancellare sulla scheda elettorale l'indicazione del premier già bellamente stampata. Se si vuole davvero offrire all'elettorato una scelta seria, allora accanto al nome del candidato devono esistere due caselline per dire «sì» oppure «no». Si può essere di destra eppure non volere Berlusconi, o di sinistra e non volere Vendola. Questo può sembrare un punto di poco momento, ma invece fonda l'interpretazione presidenzialista e al contempo «direttista» della nostra Costituzione. Meno male che Silvio c'è oppure meno male che non ci sia più?

Giovanni Sartori
06 novembre 2011

2 commenti:

nina ha detto...

E' sempre cosa buona e giusta sapere cosa ne pensa G. Sartori.
grazie
Nina

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

E' un grande politologo.