venerdì 4 novembre 2011

LA TIVVÙ È SALITA SULLA GRU


Prima puntata del nuovo programma di Santoro “È la nostra rivoluzione democratica e pacifica”

di Carlo Tecce

Voglio uno stadio pieno”, disse con il progetto ancora su carta. Ecco il Maracana di Michele Santoro con le sue torri in acciaio e i ragazzi dentro, le gru che reggono due cartelloni, il palco nudo che tiene insieme chi guarda, chi parla, chi ascolta. Sul ritornello dei “Soliti” di Vasco Rossi, ecco Santoro che cammina piano, si ferma. Ecco l'applauso, e si comincia: “Caro Biagi, caro Montanelli, so che siete molto in apprensione. So che siamo stati molto diversi, ma so che ci state seguendo con molta passione in questo momento. Non se ne può più di resistere, resistere, resistere. Ha ragione Monicelli: bisogna fare la rivoluzione. Questa è la nostra piccola rivoluzione. Né di destra né di sinistra, ma civile, democratica e pacifica”. Il giornalista indica il pubblico: “Abbiamo centomila sottoscrizioni. Avete acceso queste luci, adesso potete accendere se volete Adriano Celentano, Daniele Luttazzi, Serena Dandini”, e ringrazia il Fatto che ci ha creduto. Ecco l'intervento di Marco Travaglio; Vauro incappucciato che annuncia catastrofi e tragedie: “Sono il padre della santa indignazione”, e via con la prima razione di vignette.

ECCO che per una partita, che cambia le regole televisive, s'arriva presto. In gruppo con zaino in spalla, panini e acqua. Seguendo liturgie e scaramanzie, tempi e ritmi con i spettatori trasformati in comunità. Quella di Servizio Pubblico. Fermata metro di Cinecittà, traffico all'ora di punta, Andrea corre per le scale con Matteo, Gianluca, Laura e Paolo. Scherza, per esorcizzare il passato: “Che dite, stasera telefona il direttore generale Mauro Masi?”. Masi ha smesso (per sempre) con la Rai, Santoro per il momento. Il programma è in scena. Non c'è un editore che verifica scaletta e ospiti. Non c'è più l'ossessione di circolari legali, esposti a presunte Autorità di controllo. Qui c'è un cantiere che funziona già: la televisione oltre la televisione, attraverso una multi-piattaforma che mescola Facebook, il satellite di Sky, il digitale terrestre, i siti di quotidiani, una radio. Servizio Pubblico è un po’ ovunque per sfuggire al controllo e per riaccendere quel circuito di emittenti regionali schiacciate dal duopolio Rai-Mediaset e spolpate con l'esproprio del governo per liberare le frequenze telefoniche. Nei corridoi che avvolgono lo studio c'è tensione, non timore. Addio quei lunghi ostacoli che minavano la partenza di Annozero. Le ansie: ora chiama Masi, ora arriva l'Agcom, ora il deputato del Pdl (il mitico Francesco Paolo Sisto) carica per farsi inquadrare. Le paure: dovete rispettare l'orario di chiusura, dovete cronometrare l'intervento del politico di destra e del politico di sinistra. Paranoie che imprigionano viale Mazzini e le televisioni generaliste. La redazione completa le ultime riunioni, la regia prova le telecamere, e poi Vauro sale in camerino. È il segnale che manca poco. Studenti liceali parlano con mamma e papà, spiegano che studieranno domani, un po’ di più: “Mamma, siamo arrivati in anticipo. Sai è la prima volta. Domani sto sempre a casa, sabato nemmeno esco”. Giovanni e Bianca sono sardi, erano a Bologna per Raiperunanotte e Tuttinpiedi: “Oggi è il traguardo, anche la nostra festa”. Luca è nuovo: “Confesso, ero berlusconiano. Adesso non sono di sinistra, ma sono convinto che la libertà di espressione sia il bene più importante per una democrazia. Per questo sono qui”.

Il rapporto con il pubblico è quel senso di “stare in mezzo e in alto”, quel gruppo di sedie fra i piloni. I ragazzi che osservano – dai piani superiori – come si “licenzia la casta”, il primo titolo per la prima puntata. Perché senza quel pubblico, così aderente anche fisicamente al programma, questa sera di “rivolta del telecomando”, per dirla con Santoro, mai ci sarebbe stata.

C'È CHI cerca e chiede come diavolo si può rescindere l'abbonamento con la Rai, c'è chi ha versato 10 euro per vedere di nuovo Santoro, Travaglio e Vauro in televisione. Sono centomila telespettatori, sono un milione di euro raccolto. Quelle sedie di legno, al centro di un muro di gente e di metalli mostrano che, nei giorni di titoli di Stato e debiti impazziti, nemmeno quaggiù si sta comodi. Lì ci sono l'imprenditore Diego Della Valle, che arriva in anticipo; il sindaco Luigi De Magistris; Luisella Costamagna, Franco Bechis e Paolo Mieli che devono fare le domande; Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo che raccontano il vizio di casta. E poi Valter Lavitola in collegamento, il latitante-faccendiere che trafficava con il sostegno del Capo. Che forse, oggi, avrebbe bisogno del suo estro fuori regola e fuori legge.

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