mercoledì 2 novembre 2011

Ma il pacchetto anti-crisi è ancora in alto mare: tensioni nel governo


UGO MAGRI

Berlusconi non se ne va, anche se ieri mattina una mezza voglia pare l’avesse. Di sfoghi del genere («basta così, chi me lo fa fare, quasi quasi vi saluto tutti e me ne vado...») gli amici troppi ne hanno sentiti in questi mesi, ormai nessuno si scompone più. Solo che stavolta l’accento era più sincero; e in fondo, davanti alla crisi che si prospetta, il timore di passare alla storia come l’«Uomo del disastro» farebbe tremare le ginocchia a chiunque. Già prima di mezzogiorno, però, il premier s’era ripreso. E a scuoterlo pare che molto abbia contribuito Letta, in contatto già di primo mattino con Bonaiuti per far smentire che davvero si possano prendere sul serio le battute del Cavaliere quando dice in giro «farò comprare i titoli di Stato da Putin», oppure «battezza» Bini Smaghi come possibile successore di Tremonti...

Con l’euro che sprofonda, e noi sotto la frana, non è il momento delle boutade. Ma soprattutto, ha insistito Letta, non si può mettere altro tempo in mezzo. Berlusconi è stato costretto a dare segni di vita col comunicato di metà mattina (il presidente del Consiglio «segue l’evoluzione dei mercati, le scelte del governo verranno applicate con determinazione, rigore e tempestività»), quindi a cambiare i suoi programmi della giornata: niente più siesta pomeridiana e poi partita del Milan in televisione, ma partenza per Roma subito dopo pranzo. Si è sentito a lungo con la Merkel, ha provato a rassicurare Napolitano che non resterà con le mani in mano, a sera s’è chiuso in conclave con i ministri per decidere il da farsi.

Anche qui, fonti autorevoli sostengono che le pressioni per fare un punto siano giunte da
Tremonti e da Calderoli. Temendo un «golpe» in seno al governo, altri ministri si sono precipitati appena in tempo, Romani addirittura dall’India. Che cosa ci dobbiamo aspettare da questo «brain trust»? Il nome suonerà pomposo, «decreto Europa». Sarà più modestamente un’insalata russa di misure «a costo zero» perché di soldi da metterci non ce n’è. Dunque semplificazioni, «sburocratizzazioni», delegificazioni, un pacchetto di nuove norme destinato a comprendere (è materia cangiante di ora in ora) regole per gli appalti e defiscalizzazione per le infrastrutture, forse addirittura un via libera allo smaltimento del patrimonio immobiliare pubblico, sebbene a questo proposito lo scetticismo dei tecnici governativi sia tanto.

Pare che molti beni da mettere all’asta non risultino neppure censiti al catasto, in altri casi non sono precisati il valore e la rendita, cosicché venderli risulterebbe un’operazione ad alto rischio amministrativo.
Siamo ancora all’anno zero. La «ciccia», quella vera, non è stata decisa. Si intende procedere all’accordo con la Svizzera per ricavare qualche miliardo dai capitali fuggiti all’estero, come hanno fatto Gran Bretagna e Germania. Ma più se ne parla senza costrutto, e più i denari prendono la via di altri paradisi fiscali, tipo Singapore. Dei «licenziamenti facili» si parlerà a maggio, sempre che il governo sia ancora in piedi.

Nella testa del premier continua a ronzare l’idea del condono, o meglio di «accertamento concordato»: chi è stato preso con le dita nella marmellata può cavarsela pagando un tot, anziché l’intero. Tremonti è contrarissimo, di qui le voci (false) che sia sull’orlo delle dimissioni. Lui e la Lega, viceversa, non disdegnerebbero affatto qualche tassazione patrimoniale, ma lì Berlusconi è irremovibile. Il suo problema è solo far vedere al mondo che sta bruciando le tappe. Ha proclamato nella riunione notturna che lui vuole il timbro del Parlamento entro novembre.

Per far prima, può darsi che venga accolta l’idea di Gasparri, agganciare il vagone delle nuove misure alla legge di stabilità. Un emendamento apposito verrebbe presentato la settimana prossima nella Commissione Bilancio di Palazzo Madama, e il 16 novembre il Senato metterebbe il timbro. Secondo notizie raccolte dall' agenzia Ansa, smentite dal Tesoro, il Cavaliere vorrebbe pure un decreto e un disegno di legge; sennonché Tremonti, il quale teme un assalto alla diligenza durante l’esame parlamentare, si sarebbe fin qui opposto con tutte le forze spalleggiato da Calderoli. Berlusconi sarebbe arrivato al punto di minacciare l’autoaffondamento del governo, se la sua linea non fosse passata.
Fatto sta che, finito il vertice, Giulio e Silvio sono scesi insieme in ascensore, dandosi appuntamento a stamane come se niente fosse.

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