giovedì 10 novembre 2011

Opposizione alla democristiana




di Luca Telese

La più grande manovra da manuale di baleneria democristiana, la deposizione dell’autocrate, il colpo finale. E subito dopo il rovesciamento, l’incertezza, il disagio una fumata nera. Ieri la giornata più epilettica di questo inizio secolo, a Montecitorio, comincia con un capolavoro nel segno dello scudocrociato, e si chiude con una vertigine di incertezza nel segno della grande coalizione che non quaglia, dell’appello dei governissimi virtuali che vengono archiviati prima ancora di nascere.

A metà mattina tutti scommettono sul governo Monti, di sera salgono le quotazioni di Amato.

L’immagine di questi due giorni di battaglia che resterà è quella del messaggino “fantasma” di Roberto Formigoni a Roberto Rao, il giovane leone dell’Udc che ha tessuto tutti i fili della manovra: “Era ora”.

Messaggio immortalato dalla tribuna dal teleobiettivo di qualche fotografo, poi smentito dagli interessati: “Ma io il telefonino di Formigoni nemmeno ce l’ho...”. Ma intanto è storia: “Ci dovete fare un monumento!”, dice con un sorrisone Beppe Fioroni in Transatlantico, e vuol dire che il monumento va fatto agli eredi di Aldo Moro per la demolizione della maggioranza berlusconiana.

Ha ragione. È come se l’operazione in due tempi ieri non abbia funzionato, perché i guastatori democristiani hanno portato a termine la loro missione con chirurgica efficacia quando si trattava di distruggere, mentre i costruttori centristi non sono riusciti a fare altrettanto quando si trattava di ricostruire.

Era necessaria una mozione di sfiducia? Bisognava andare oltre la surreale invenzione berlusconiana, quella delle “dimissioni eventuali”.

È stato Napolitano a fregare Berlusconi, oppure il contrario? Nel primo pomeriggio prima riunione del gruppo del Pd. Arriva un Pier Luigi Bersani molto laconico. Non dà istruzioni dettagliate, non c’è dibattito, forse il segretario del Pd ha paura che i mercati aperti possano risentire di eventuali discrezioni.

Bersani dice solo: “La situazione è drammatica. Mancano poche ore...”. Poche ore a che? Al default, immaginano tutti. Si torna in aula, mentre i capigruppo di tutte le opposizioni, da Bocchino a Franceschini, chiedono unitariamente che il voto sia anticipato al weekend. Oggi c’è un’asta di Bot che potrebbe andare deserta.

Si usa l’argomentazione della bancarotta per fare pressioni sulle colombe del Pdl. Radio Transatlantico dice che Verdini e Letta stanno chiedendo in ogni modo a Berlusconi di partecipare a un governo istituzionale e lui non ci crede. Che Monti non accetta di reggersi su una pattuglia raccogliticcia di ex pidiellini. Le pure e dure vicine al leader, come Mariarosaria Rossi e Daniela Santanchè assicurano quasi in coro: “Noi teniamo duro, si andrà al voto”. E la sottosegretaria: “Anche il comunicato di Napolitano dice questo”. Parole che influenzano anche il centrosinistra. Perché dalla tenuta dello zoccolo duro berlusconiano dipendono le sorti di un eventuale governo istituzionale.

Livia Turco è granitica: “Noi non dobbiamo votare nulla, non partecipare al voto della legge di stabilità, è la cosa giusta, come abbiamo fatto con il rendiconto dello Stato”. L’ex ministra del Pd non ha dubbi: “Abbiamo bisogno di tempo, per un nuovo governo. Almeno due giorni. Ci sarà uno smottamento fra i berlusconiani, vedrete”.

Ride Nicola Cosentino: “Quando vedranno che non perdiamo un pezzo cosa faranno? Come la trovano una maggioranza qui dentro?”.

Ancora la Turco: “Non siamo incerti noi. Ma Berlusconi se ne deve andare via davvero. Dentro questo Parlamento tutti hanno l’idea che sia ancora qui. Quando dopo il voto si sarà dimesso, allora arriveranno tutti i suoi deputati. E la linea delle elezioni anticipate si dissolverà”.

Di prima mattina gira per il Transatlantico Claudio Scajola. È lui il capo ipotetico del partito frondista, anche lui ex democristiano, come i due parlamentari finiti nel centralino di Roberto Rao: Stagno d’Alcontres, e Stradella. Ed è con un altro ex democristiano, Isidoro Gottardo che se la prende: “Mi dicono che tu vuoi andare al voto!”, si indigna. Gli ex An quadrano le loro truppe, dopo una riunione Fabio Rampelli è marmoreo: “Vorrà dire che faremo opposizione dura al governo dei banchieri”. E a sera arriva la voce che “i ministri colomba”, di Liberamente, Frattini e Gelmini compresi potrebbero “restare” in un governo Letta, o Amato. Monti farebbe il superministro economico.

Ma tutto è ancora magmatico.

A sera Di Pietro imbocca il corridoio della Corea scuotendo il capo: “Io il governissimo, o il governo istituzionale non lo voto. Resto fuori. E credo che si debba andare alle elezioni e vincere”.

Fino all’ultimo Bersani aveva questa idea, ma i balenieri postdemocristiani e D’Alema pensano l’opposto. Ancora Rao: “Lunedì il governo ci sarà”. Ma i mercati aspetteranno i tempi della politica?

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