martedì 29 novembre 2011

Perché vincono gli evasori


di Corrado Giustiniani

I mezzi per recuperare 125 miliardi di tasse l'anno ci sarebbero. Quello che manca è la volontà politica. E alla fine, un condono tira l'altro

(29 novembre 2011)

Impossibile proporre nuovi sacrifici, e magari nuove imposte, senza assestare un colpo ai furbi che non pagano le tasse. Per propinare l'amara medicina, Mario Monti dovrà rivestire il cucchiaio con la glassa dell'equità, e la lotta all'evasione sarà forse il più importante banco di prova per il nuovo premier. Certo, nessuno può pretendere che, con il poco tempo a disposizione, arrivi a scalare il picco dei 125 miliardi di imposte evase annualmente (la stima è della Confindustria). Ma che riesca a piazzare qualche chiodo per una via ferrata di medio periodo, questo sì. Perché oggi, visto che il fisco può analizzare cinque annualità di imposta (e dunque pescare in un mare di 625 miliardi di evasione), i 10 miliardi e mezzo di euro recuperati nel 2010 appaiono davvero pochi.

LA MONTAGNA INCARTATA.
"In realtà, se togliamo interessi, sanzioni e minutaglie come gli errori nelle deduzioni mediche, è tanto se si arriva a tre miliardi di ricchezza nascosta recuperata", osserva Raffaello Lupi, professore di Diritto tributario a Roma Tor Vergata. La stima della Corte dei Conti, nel Rapporto 2011 sul coordinamento della Finanza pubblica, non si discosta molto: il recupero di imposta evasa sarebbe circa la metà di quello vantato ufficialmente dal direttore dell'Agenzia delle Entrate, Attilio Befera. Ma anche partendo da 10 miliardi di recupero, se si considera che sono cinque le annualità recuperabili, di questo passo, ci vorrebbero almeno 60 anni per arrivare in vetta. Come mai? Ci mancano i Walter Bonatti del caso? Non abbiamo corde e moschettoni? O quei monti sono nascosti da una malefica cortina di vapori velenosi che ostacola ogni ascensione tanto che, se per caso un governo ci si avventura, il successivo fa un rapido ritorno al campo base? Proviamo a capirlo.

I MEZZI CI SONO . Strumenti tecnici e risorse umane per indurre gli evasori a più miti consigli, ne avremmo. L'Anagrafe tributaria, nata quasi cinquant'anni fa, è una banca dati di dimensioni mostruose, che contiene tutte le dichiarazioni dei redditi - circa 40 milioni ogni anno - le transazioni immobiliari, gli atti di successione, le operazioni doganali, è collegata col catasto e con le utenze Enel e Telecom, ed elabora 200 milioni di documenti l'anno. Ora tutti i dati sono nei computer dell'Agenzia delle Entrate, che ha festeggiato all'inizio del 2011 i suoi dieci anni di vita, è dotata di grande autonomia e di 32 mila dipendenti (non più di 15 mila, però, addetti ai controlli sostanziali). Inoltre, il fisco può disporre dei militari della Guardia di Finanza, 60 mila in tutto, un terzo dei quali impegnati sulle tasse. Ma allora, perché i risultati sono così scarsi?

CONDONO CONTINUO. E' il più grave handicap del fisco italiano. A causa sua, la lotta all'evasione si blocca, a volte, per anni interi. Come è accaduto con il condono fiscale del 2002: un colpo di spugna che ha cancellato tre anni di attività degli uffici e ripulito la "fedina fiscale" di evasori incalliti. Ma in quel condono è accaduto qualcosa di ancora più grave: poiché per sottrarsi ai reati tributari bastava versare la prima rata, molti si sono fermati lì. E il 20 per cento delle somme dovute non è mai arrivato, con il risultato che si è aperto un buco di 4-5 miliardi di euro rispetto alle previsioni di incasso. Lezione inutile: a luglio, è stata partorita l'ennesima sanatoria del governo di centro-destra sulle liti pendenti per le controversie sino a 20 mila euro. L'aspettativa di sempre nuovi condoni (anche sotto mentite spoglie: dichiarazione integrativa, chiusura liti pendenti, deflazione del contenzioso) è un disincentivo potente a pagare le tasse, un inquinamento letale di sistema. Si cura in un solo modo: inserendo il divieto di condoni fiscali nel testo della Costituzione.

MAL DI SCUDITE.
E' una variante del condono che si applica a chi mette i soldi in Svizzera e nei paradisi fiscali. Il primo scudo, del 2001, riservato a grandi capitalisti che avevano i soldi all'estero, ha fatto venire l'acquolina in bocca ai medio-piccoli, che hanno iniziato a portare fuori dell'Italia soldi in nero (basta arrivare a Lugano), in attesa di un immancabile nuovo provvedimento. Sono loro ad aver colto in pieno la chance dello scudo ter di Tremonti, che garantiva anonimato e un mini-pagamento del 5 per cento. In questo modo 180 mila contribuenti hanno regolarizzato 104,5 miliardi di euro, che al fisco hanno fruttato appena 5 miliardi. In 65 casi su cento i valori "scudati" sono stati inferiori a 250 mila euro.

ANEMIA DA CONTROLLI.
Su poco più di 700 mila controlli sostanziali effettuati nel 2010 dall'Agenzia delle Entrate, ben 317 mila sono stati del tipo automatizzato. Nella grande maggioranza piccole omissioni, per lo più dovute a errori o dimenticanze, chiamate in gergo "36 bis e ter", dall'articolo che le contempla. Gli accertamenti veri e pesanti non sono più di 200 mila: possono passare dunque fino a 25 anni senza che un esponente del popolo delle partite Iva (che sono circa 5 milioni) cada sotto le grinfie del fisco.
sanzioni-placebo. Ma cosa rischia chi viene sottoposto ad accertamento? Il pagamento dell'imposta evasa per quell'anno (o al massimo per due, poi i controlli si spostano verso altri contribuenti), più una sanzione che, in caso di adesione all'accertamento, con Vincenzo Visco ministro era pari al 25 per cento, e che Tremonti ha prima dimezzato al 12,25 e poi, nel 2010, rialzato al 16,66. "Non c'è però soltanto la sanzione irrisoria", osserva Salvatore Tutino, consulente scientifico del Centro Europa Ricerche di Giorgio Ruffolo, "è l'imposta stessa su cui si calcola la sanzione che, nella trattativa col fisco, può essere ridotta". In alcuni casi anche del 50 per cento.

SCONTRINI NO. C'erano una volta le verifiche sulla mancata emissione di scontrini e ricevute fiscali. Adesso non vanno più di moda: dal 2009 al 2010 si sono ridotte del 28 per cento, da 64.500 alle 46.300. Parola della Corte dei Conti. Annullata la norma che imponeva la chiusura temporanea dell'esercizio, con tanto di affissione sulla saracinesca del provvedimento, per tre scontrini non emessi anche in una sola giornata. Oggi le violazioni debbono essere almeno quattro nel giro di cinque anni, e commesse in tempi diversi. In pratica, non si chiude mai.

CON LA FERRARI IN GARAGE.
Dal 2007, da quando è stato abolito il segreto bancario, il fisco ha uno strumento potentissimo: l'anagrafe dei rapporti finanziari, che contiene i dati su tutti i conti correnti e gli investimenti mobiliari degli italiani. Denunci poco? Guardo quanto hai in banca e quanto investi in Bot, e ti concio per le feste. Peccato che praticamente non venga utilizzato. Le indagini finanziarie, nel 2010, sono state appena 9 mila 371, nemmeno lo 0,2 per cento di tutte le partite Iva. Di questo passo, ci vorrebbero sei secoli per avere la sicurezza che bussino a tutti i conti. L'anagrafe dei rapporti finanziari è come una Ferrari tenuta in garage, perché il segreto è stato rimpiazzato da una micidiale trafila burocratica: l'impiegato deve chiedere il permesso al direttore regionale delle Entrate (e lì la pratica si ferma un bel po'); se l'ottiene, la banca ha 30 giorni per rispondere: rinnovabili. E così passano i mesi.

EVASIONE CONTRATTATA
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Ovvero gli studi di settore, che dovevano funzionare su dati di fatturato forniti dalle categorie professionali. Sono entrati in vigore nel 1998 e oggi si ammette che sono stati un fallimento. Una sorta di "minimum tax" che ha fatto recuperare ben poco e che si è accanita contro i soggetti più deboli all'interno delle professioni.

SUPERISPETTORI ADDIO.
Nel 1981, su proposta di Franco Reviglio, erano nati gli 007 del fisco, chiamati a indagare sulla grande evasione e anche a controllare che gli uffici del ministero da un lato, e la Guardia di Finanza dall'altro, facessero il loro mestiere nel migliore dei modi. Ma il Secit, così si chiamava il servizio dei superispettori fiscali, non è mai andato a genio ai ministri che sono seguiti a Reviglio. Così nel 2000-2001, con la riforma che ha dato vita all'Agenzia delle Entrate, Vincenzo Visco li ha allontanati dalla grande evasione, togliendo loro anche il controllo degli uffici e riducendoli a semplici esperti. Nel 2008 Giulio Tremonti ha completato l'opera, abolendo il Secit.

DECIDE LA POLITICA
L'intera macchina dei controlli è mossa dalla direttiva annuale del ministro. Un singolo funzionario non può di testa sua salire su uno yacht e indagare sul proprietario. E, se un ristoratore non gli dà la ricevuta, non può fare altro che muoversi come un cittadino qualsiasi, denunciandolo alla Guardia di Finanza. La quale, a sua volta, non ha alcun obbligo di tenerne conto, ma a discrezione può inserire il segnalato in un calderone ove attingere attuando la direttiva del ministro, oppure in una piccola quota di "controlli d'iniziativa" riservati alle Fiamme Gialle.

EVASORI & ELETTORI.
L'evasione fiscale muoverebbe in totale almeno 10 milioni di voti. Eppure l'81,7 per cento degli italiani la ritiene inaccettabile, secondo un'indagine condotta dal Censis per conto del Collegio nazionale dei dottori commercialisti. "Un governo che volesse davvero debellarla, dovrebbe decidere subito due misure: vietare il cash per tutti i pagamenti a professionisti dai 100 euro in su, e ripristinare l'elenco dei clienti e dei fornitori introdotto da Visco nel 2006 e poi soppresso da Tremonti", consiglia al nuovo governo Oreste Saccone, animatore del sito www.fiscoequo.it ed ex dirigente dell'Agenzia delle Entrate. Tutte queste somme dovrebbero finire in un conto dedicato all'attività professionale. Attualmente la tracciabilità dei pagamenti (bonifici, carte di credito, assegni non trasferibili) è obbligatoria solo dai 2.500 euro in su e senza che vi sia un conto dedicato. L'elenco clienti e fornitori, ovviamente telematico, potrebbe evitare che un imprenditore o un professionista rilascino al cliente una regolare fattura, ad esempio per 500 euro, ma poi non la registrino o lo facciano solo per 50 euro, confidando nella scarsa probabilità di incappare in un controllo incrociato. Con l'elenco telematico, invece, l'evasione verrebbe intercettata automaticamente dall'Anagrafe tributaria, attraverso l'incrocio tra i dati dell'elenco dei fornitori e di quello dei venditori.

CONTRASTO DI INTERESSI.
Sta perdendo appeal un vecchio sogno: concedere al contribuente di dedurre tutte le sue spese, dal falegname all'avvocato all'idraulico, costringendo costoro a rilasciare un documento fiscale. Se la deduzione fosse totale, il gettito fiscale crollerebbe, senza essere compensato dal recupero di evasione. Perché? "Se guadagno 1000 e dimostro costi per 800", spiega Ruggero Paladini, docente di Scienza delle Finanze alla Sapienza, "alla fine verranno tassati solo i 200 euro che non ho speso". Alla gran parte dei contribuenti, dimostra Alessandro Santoro, autore per Il Mulino di "Evasione fiscale, quanto come e perché", conviene accettare lo sconto che il professionista gli propone, 120 in nero anziché 150 con la ricevuta; solo per chi ha aliquote marginali dal 43 per cento in su conviene viceversa insistere per la fattura: mille euro di spese dal medico, per esempio, produrrebbero una minore imposta di 500.

CON L'AIUTO DELLA SCUOLA.
I servizi sociali che funzionano male continueranno a fornire un alibi potente per non pagare le imposte, e pare tuttora inossidabile la convinzione espressa negli anni Cinquanta dal grande scienziato delle Finanze Cesare Cosciani: per gli inglesi un evasore è un reprobo; per gli italiani è un furbo. L'equità fiscale richiede dunque un impegno di lungo periodo. "Perché allora non far iniziare sui banchi delle scuole medie la lotta all'evasione?", suggerisce Tutino, "inculcando nei ragazzi l'articolo 53 della Costituzione: tutti sono chiamati a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva". E' davvero il minimo che si possa sperare.

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