giovedì 17 novembre 2011

PROPRIO IL GUARDASIGILLI GIUSTO PER I SONNI TRANQUILLI DI B.


Per la Severino le intercettazioni sono “inefficaci”

di Giampiero Calapà e Rita Di Giovacchino

Ha difeso proprio tutti. L’Eni, l’Enel, la Telecom, la Sparkle, la Total e la Rai. E ancora Francesco Rutelli, Azzurra e Francesco Gaetano Caltagirone, Giuseppe Consolo, Roberto Formigoni, Lorenzo Cesa, Anna La Rosa e la moglie di Bruno Vespa, Augusta Iannini. Quindi è perfetta per ricoprire la carica di ministro della Giustizia: Berlusconi se n’era accorto prima di Monti, tanto che Paola Severino era già stata tra i papabili per sostituire Angelino Alfano (anche se poi le è stato preferito Nitto Palma).

A 63 anni è la prima donna ministro della Giustizia ma non è questo il suo unico primato. Avvocato penalista tra i più famosi, pro rettore della Luiss, ma anche docente di diritto penale e amministrativo nella medesima università della Confindustria, ha saputo costruire su di sé, tassello dopo tassello, il perfetto identikit della donna di potere. Dal 1997 al 2001 è stata, prima donna in assoluto, vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura militare, e poi docente nella Scuola allievi ufficiali dei carabinieri. Ricca e potente, proprio mentre rivestiva quell’incarico ha dichiarato un reddito di 3,3 miliardi di vecchie lire, primato dei manager pubblici nel 1998. Napoletana, sorriso stampato e ricci selvaggi di chi non ama il parrucchiere, l’avvocato Severino approda in via Arenula con quello che si dice un curriculum “di peso”. Ad illustrarlo sono i nomi dei suoi clienti più famosi, in modo rigorosamente bipartisan e trasversale agli schieramenti politici.

Scelta saggia che le consente oggi, nelle alchemiche scelte del professor Monti primo ministro, di sedere sulla poltrona più scottante della transizione post-berlusconiana.

NEL 1996–’97 ha difeso Romano Prodi dall’accusa di abuso di ufficio nel processo sulla vendita della Cirio. Il fondatore dell’Ulivo l’aveva scelta perché lavorava nello studio di Giovanni Maria Flick, guardasigilli del governo Prodi, posto che oggi è chiamata ad occupare proprio lei. I tempi della giustizia sono lunghi e a volte si intrecciano, ma l’avvocato Severino sa guardare lontano. Nel 1995 ha assunto su opposta sponda la difesa del legale della Fininvest Giovanni Acampora, accusato di corruzione in atti giudiziari nel processo Imi-Sir, poi fuso con il Lodo Mondadori, che ha visto Carlo De Benedetti e Silvio Berlusconi, fronteggiarsi nella “guerra di Segrate” fino alla sconfitta di quest’ultimo, condannato poco prima della caduta al maxi risarcimento di oltre 5 miliardi di euro. Fatto è che il marito Paolo Di Benedetto viene nominato nel 2003 commissario della Consob proprio da Berlusconi, ma il “cursus honorum” della moglie non accetta etichette. Colpo su colpo, la Severino non ne sbaglia uno. È stata legale di Cesare Geronzi nel crac Cirio, una delle sue poche sconfitte: il banchiere fu condannato a quattro anni e all’interdizione per altri quattro dai pubblici uffici. Alcune strade si incrociano nei corridoi del potere romano. La sua si è incrociata con quella di Francesco Gaetano Caltagirone. L’occasione è stata l’inchiesta di Perugia su Enimont, la “tangentopoli romana”. Perché anche l’imprenditore più importante di Roma (e più “liquido” di Italia) ha finito per affidare a lei i suoi affanni giudiziari. Un legame che si trasforma presto in amicizia, tanto da diventare anche avvocato del Messaggero, curando con impegno perfino le cause per diffamazione a mezzo stampa dei giornalisti della testata.

Cosa che non gli ha impedito di continuare a collezionare altri illustri clienti: dall’ex segretario generale del Quirinale Gaetano Gifuni nel processo sulla gestione dei fondi di Castelporziano all’ex sottosegretario alla Giustizia Giacomo Caliendo, coinvolto nell’inchiesta sulla P3 per rapporti troppo ravvicinati con uno dei promotori della “società segreta”, il famigerato Pasqualino Lombardi. Come faccia Paola Severino a fare tante cose è un mistero , ma l’affollarsi dei molti incarichi nel suo studio in Prati, quartiere centrale di Roma, non le ha impedito di togliersi qualche sfizio cultural-mondano, partecipando a processi teatrali in cui ha difeso anche Galezzo Ciano, genero di Mussolini. Nelle aule vere, però, ha rappresentato le comunità ebraiche nel processo al nazista Erich Priebke.

LA FORZA della Severino è questa: tenersi lontana dalle diatribe politiche. Che siano il conflitto di interessi, il ruolo del pm o le carriere separate dei giudici, ha sempre preferito tenere un basso profilo. Sul web si trova traccia, però, di un convegno dell’Anm (11 marzo 2009), tema: le intercettazioni, che per lei “si rivelano spesso inefficaci sul piano probatorio”. In quota Udc, anche per via della sua amicizia con Azzurra Caltagirone e Pieferdinando Casini, è una scelta trasversalmente perfetta nel “governo di unità nazionale”.

Chi meglio di lei può scansare le mille trappole che il ventennio berlusconiano ha disseminato sulla giustizia? A cominciare dalla fuoriuscita di Berlusconi non soltanto dalla vita politica, ma anche dalle aule giudiziarie.

3 commenti:

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

MI sembra che il contenuto dell'articolo non giustifichi il titolo dato allo stesso. Non mancherà di verificare in futuro la fondatezza dei sospetti.

chicchina ha detto...

Sono d'accordo anch'io,meglio aspettare per giudicare.Io poi vedo bene la sua presenza,come donna,in un ministero tanto importante.
Ciao,Luigi,un po che non ci leggiamo.

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

Ciao, passerò presto. Ho avuto un po' da fare, il nonno!