martedì 8 novembre 2011

«Se proprio devo morire lo farò in Aula»


Ammette per la prima volta che ha commesso degli errori. Con Letta e con Alfano, a notte fonda, c'è spazio per un filo di autocritica, ma una cosa nelle ultime ore Berlusconi non ha mai fatto: dire di sì a un suo passo indietro, assecondare una crisi che non sia parlamentare.

«Finirà che mi sono dimesso senza saperlo». Ad Arcore, ieri pomeriggio, il Cavaliere riusciva ancora a pescare nell'ironia: pranzo con i figli, che appoggiano la linea della resistenza, chiacchiere con alcuni amici, i più intimi, con Ghedini e Confalonieri, visite di ministri, di Rotondi, quindi di Calderoli, ma soprattutto conferma in privato di quello che dice in pubblico; non ha alcuna intenzione di voltare pagina prima di un voto in Parlamento, «darla vinta a Casini e Fini significherebbe tradire il Paese e me stesso, cosa che non farò mai».

La linea non è cambiata di un punto rispetto ai giorni scorsi. Nonostante lo spread, le notizie destituite di fondamento, i rumor di dimissioni imminenti e inesistenti. Lo ha detto a
Gianni Letta, ai ministri che lo invitano a prendere in considerazione strade diverse. I ragionamenti nelle ultime ore hanno avuto tratti drammatici: «Siete voi che non capite, io nasco nelle urne, alla luce del sole, e se devo morire lo faccio in Parlamento, non mi dimetto perché la Carlucci passa con l'Udc o perché la Bertolini ha dei dubbi. Avrò fatto degli errori, ma non rinuncio ai miei principi e a quello che rappresento perché un'opposizione irresponsabile dice di tenere al Paese ed è pronta a non votare le misure economiche».

Il pressing sull'uomo è diventato molto forte, ma è lui stesso a denunciare «la disinformazione che anche i miei stanno facendo circolare». Circolano voci di una divergenza crescente fra lo stesso Gianni Letta e il capo del governo, dettagli sul disimpegno sempre maggiore di Tremonti, sullo sbando degli uffici tecnici, che fra Economia e presidenza del Consiglio sarebbero privi di una guida: ma è l'aria che si respira, dove l'unica cosa certa appare la linea politica dell'uomo, che resta però sprovvista dei provvedimenti necessari per darle corpo; anche ieri del maxiemendamento alla legge di stabilità non c'era traccia, dovrebbe arrivare a Palazzo Madama non prima di domani.

In questo clima è chiaro che lo stesso Berlusconi ha messo nel conto le elezioni anticipate e non vede altra soluzione in caso di sfiducia parlamentare. Non le vuole, ma si dice pronto, anche se non lo è il suo partito, anche se Alfano e Maroni vorrebbero che Lega e Pdl proseguissero nella legislatura, per risalire nei consensi, prima di affidarsi nuovamente al giudizio degli elettori.

Ma sono calcoli che in questo momento il Cavaliere non fa, l'unico ragionamento che ripete è il filone classico del suo pensiero politico: nessun governo diverso da quello uscito dalle urne, qualsiasi soluzione diversa sarebbe un ribaltone, non potrebbe essere tollerata dal Quirinale, condurrebbe l'Italia al disastro, perché assolutamente incapace di fare quello che ci chiedono le istituzioni comunitarie e internazionali.

Ovviamente questi sono i tratti di un pensiero che traballa, che ha le sue indecisioni, i suoi momenti di tormento, in cui la rabbia fa capolino insieme alla voglia di «vedere in faccia i traditori», di cui si dice «schifato», o alla convinzione che Casini e Fini e tutti coloro che oggi stanno lusingando i parlamentari del Pdl con lo spettro delle urne stiano solo facendo del «terrorismo politico, che alla fine condurrà al voto anticipato invece di scongiurarlo».

E anche per questo ragionamento ieri Berlusconi continuava a chiamare a uno a uno gli indecisi, diffondeva la sua linea, ripeteva ai parlamentari che «un governo di larghe intese è tramontato, fatevene una ragione», sperando che i voti di oggi pomeriggio sul rendiconto, a Montecitorio, saranno alla fine sufficienti per un'inversione di rotta o per un'ultima illusione: «Riuscire a dimissionare Tremonti e presentare al Paese delle misure eccezionali».

Progetto che per alcuni è soltanto l'ennesima speranza di un premier che non ha altra linea se non quella della resistenza, e che invece dentro il governo fa ancora dei proseliti, almeno fra coloro che ritengono che il tempo non sia ancora scaduto e che Berlusconi alla fine riesca a sopravvivere, contro qualsiasi pronostico.

Marco Galluzzo
08 novembre 2011

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