domenica 13 novembre 2011

ULTIME DAL CAIMANO FINALE CON DITO MEDIO


Si è dimesso provando a dettare “condizioni” a Monti
I ministri insultano la folla in strada che grida: “Bella ciao!”

di Paola Zanca

Se ne vanno con il dito medio alzato. Come ha insegnato Umberto Bossi. Solo che adesso, mentre lasciano il palazzo dopo 1284 giorni, li ha abbandonati pure il maestro. Silvio Berlusconi esce di scena tra i fischi e le urla. Cominciano a gridargli “buffone” quando varca la soglia di palazzo Chigi per l'ultimo consiglio dei ministri. Lo accolgono a suon di “dimissioni” fuori da palazzo Grazioli, dove si tiene l'ultimo incontro con i big del Pdl. E quando arriva al Quirinale per consegnarsi al presidente Napolitano, lo accolgono con le monetine. Qualcuno sputa. Lui non può reagire, circondato dalle moto dei carabinieri, dalle camionette della polizia, dalle autoblu della scorta. I suoi invece non trattengono la rabbia contro il popolo ingrato. Il ministro Sacconi alza il dito medio. Il governatore della Lombardia Roberto Formigoni fa prima le corna, poi il fatidico gestaccio. È finita.

La lettera alla Bce

L'era di Silvio Berlusconi si chiude alle 21.43 di sabato 12 novembre 2011. E fino alla fine continua a fingere di avere ancora qualche carta da giocare: tre condizioni per dire sì al governo Monti, come se i giochi non fossero chiusi. La prima: un governo a termine, al massimo di sei mesi, e la garanzia che Monti non si ricandidi al prossimo giro. Altrimenti “siamo in grado di staccare la spina quando vogliamo”. Se dura fino al 2013, confessano i suoi, rischia di fare più riforme di quelle che siamo riusciti a fare in tre anni e mezzo. La seconda: un programma che si limiti alle misure stabilite (dal centrodestra) nella lettera alla Bce. Così, si potrebbe ancora sperare in un appoggio esterno della Lega, che se li lascia, per il Pdl al Nord è finita. Terzo: Gianni Letta vicepremier. Sogna ancora un cavallo di Troia in quell'esecutivo di tecnici convocato in fretta e furia per riparare ai guai che ha combinato . Ma alla fine dovrà rassegnarsi. Lo stesso Letta ha salutato i suoi collaboratori: “Nel prossimo governo non ci sarò”.

La partita Lega-Idv

La resa è servita all'ora di pranzo, in verità. Dopo giorni di tira e molla, di proposte alternative (prima Lamberto Dini, poi Angelino Alfano), arriva la scelta “ineludibile”: Berlusconi pranza con Mario Monti, che prima di lui ha già visto il governatore della Bce Mario Draghi e i leader dell'opposizione, Pierluigi Bersani e Pierferdinando Casini. Napolitano gli ha assicurato che il suo non sarà un mandato esplorativo, ma un incarico “pieno”. Con Monti, Berlusconi può trattare solo una cosa: la garanzia che il prossimo governo non si vendicherà con chi ha lasciato il Paese a pezzi. Le questioni che stanno a cuore al premier sono note: i suoi processi, le sue aziende. E anche se non ha certo potuto presentarsi con la lista dei tasti intoccabili, sono in molti a raccontare che il Caimano ha trovato il modo di chiedere pietà. Pare l’abbia ottenuta: il nuovo governo non dovrebbe legiferare nè sul tetto alle telecomunicazioni nè sul conflitto di interessi. E sulla giustizia, spera, non sarà certo un tecnico a fare le pulci alle leggi ad personam.

Già, perché al governo tecnici saranno. Non solo i ministri, sembra, ma perfino i sottosegretari. Monti ha voluto carta bianca, ma sono stati gli stessi partiti a fare notare che non si può certo pensare di mettere un politico di razza “alle dipendenze” di un professore della Bocconi. Il governo nascerebbe già debole, e non interessa a nessuno (tolto Berlusconi) che cada presto. Meglio arrivare fino al 2013, sistemare la legge elettorale ed evitare il referendum. Di “vendicarsi” dell’ex premier non ha intenzione nessuno, tantomeno l’Udc, che continua a vedere di buon occhio anche un ingresso di Gianni Letta. “Ma è troppo ingombrante per Monti”, confessano a microfoni spenti. Anche il Pd potrebbe accettare, salvo inserire una figura di “compensazione” come Giuliano Amato. Ma con Letta in campo, l’Idv tornerebbe sulla posizione oltranzista dell’altro ieri, proprio ora che si era riusciti a convincere Di Pietro che si stava andando a schiantare. Resterà fuori solo la Lega, dunque. Anche se, confessa un maroniano, li stanno “tirando per la giacchetta”. Potrebbero cedere all’ipotesi dell’appoggio esterno perché sono preoccupati della “macelleria sociale” che aspetta il Paese, ma non vogliono nemmeno lasciare il Parlamento senza opposizione perchè “poi l'opposizione ce la ritroviamo in piazza”.

Alle 21.30, un quarto d’ora prima che le dimissioni di Berlusconi siano ufficiali, il leghista Giacomo Stucchi, vicinissimo a Maroni, manda un messaggio. C’è scritto solo: “Milanooo”. È atterrato a casa. Con Roma è finita davvero.

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