di
EUGENIO SCALFARI
Monti non è un tecnico e non è un economista. Mario Monti è un finissimo uomo
politico e ne abbiamo avuto la prova, anzi la conferma, dalla conferenza stampa
di giovedì scorso. È durata più di due ore. Ha fatto un discorso introduttivo
di un quarto d'ora e poi, per più di un'ora e mezzo, ha risposto a 31 domande
assai pepate dei giornalisti. Forse alla fine era un po' stanco ma non si
vedeva, l'adrenalina lo sosteneva come fosse uscito in quel momento da un
benefico riposo.
Durante la conferenza stampa, tra tanti argomenti toccati e approfonditi, ha fatto l'elogio della politica ricordando che è l'attività più nobile dello spirito umano perché si occupa del bene comune nostro e dei nostri figli e nipoti.
"Gli uomini politici possono essere all'altezza del compito oppure scadenti e corrotti, anteponendo il bene proprio alla prosperità degli altri. Il nostro sforzo - ha detto - è quello di favorire il miglioramento del personale politico operando con efficacia per recuperare il valore di quell'attività".
Era molto tempo che non assistevamo ad un incontro di quel livello.
Competenza, padronanza degli argomenti, ironia e autoironia, furbizia tattica e sapiente strategia.
Personaggi di quella taglia se ne vedono pochi in giro in Italia e anche in Europa. A me che ne ho conosciuto parecchi sono venuti in mente Vanoni e Andreatta, La Malfa e Visentini, Schmidt e Jean Monnet.
Esponeva i dati della situazione economica, le strettezze della finanza, le difficoltà di elaborare un programma di sviluppo senza abbandonare il rigore, tenendo insieme un'eterogenea maggioranza parlamentare e negoziando con le parti sociali sul patto generazionale senza il quale è impossibile realizzare la crescita e l'equità. Alla fine ha riassunto l'obiettivo che il suo governo si propone di realizzare indicando i tre valori che vi presiedono: libertà, giustizia, solidarietà. Sono i valori sui quali è nata l'Europa moderna e le bandiere tricolori della Grande Rivoluzione ne furono e ne sono il simbolo rappresentativo.
Quella conferenza stampa è stata il battesimo di un leader di prima grandezza e ne siamo usciti rassicurati e grati.
***
Le critiche non sono mancate. Si voleva che desse conto dell'articolato dei provvedimenti destinati allo sviluppo che saranno pronti entro il 20 gennaio, seguiti da ulteriori interventi in febbraio e in aprile. Si volevano indicazioni sul livello ottimale dello "spread" che si trova ancora al suo picco. Le "lobbies" che ancora padroneggiano ampi settori del Pdl e della Lega sono decise a limitare l'entità delle liberalizzazioni. Di Pietro è arrivato a rimproverarlo di non avere la bacchetta magica come ci si aspettava.
Ma chi si aspettava i miracoli? C'è ancora gente così stolta e così intrisa di demagogia da pronunciare frasi così insensate? C'è ancora gente che rimpiange i tempi in cui imperavano le cricche berlusconiane? Gli italiani hanno scarsa memoria storica, ma non fino a questo punto. La politica seria non fa miracoli e non è un circo equestre dove si esibiscono acrobati, orsi che fanno l'inchino e maghi che mangiano il fuoco. La politica è senso di responsabilità, realismo, diagnosi dei malanni e attento dosaggio dei rimedi.
Al circo ci vanno i bambini e recitano i pagliacci che li fanno ridere con le loro smorfie e la faccia infarinata.
***
Non vi aspettate che la crescita sia a costo zero, lasciate a Giulio Tremonti queste baggianate con le quali ci ha portato al punto in cui siamo. E non vi aspettate che le misure di sviluppo indicate da Monti siano sufficienti se non saranno accompagnate da un'adeguata politica economica europea.
Lo sviluppo presuppone investimenti, gli investimenti presuppongono un aumento della domanda, quell'aumento presuppone un maggior potere d'acquisto. Questa sequenza di cause e di effetti che interferiscono tra loro presuppongono fiducia, cambiamento delle aspettative, mobilitazione di risorse ed equità nella distribuzione dei sacrifici e dei benefici.
Il governo ha messo al primo posto della sua agenda la lotta all'evasione indicando gli strumenti dei quali dispone. Ha sottolineato la necessità di far crescere la produttività e con essa i salari. Per ottenere l'aumento dei salari netti bisogna ridurre il divario tra costo del lavoro e busta paga. Quindi bisogna fiscalizzare i contributi riducendo massicciamente le imposte sulle imprese, il cuneo fiscale o comunque lo si chiami.
Ma sull'aumento di produttività va aggiunto che il problema va molto al di là del costo del lavoro: ci vogliono forti innovazioni sia nei processi produttivi e sia - soprattutto - dei prodotti. Su questo secondo punto l'industria e i servizi del terziario di qualità lasciano molto a desiderare. Quando si discute della produttività sembra quasi che il tema non riguardi gli imprenditori ma i sindacati operai. Marchionne è l'esempio eloquente di quest'errore di prospettiva. Se l'imprenditoria italiana non specializzerà la sua ricerca sull'innovazione del prodotto, recuperare adeguati livelli di produttività resterà una chimera.
Non a caso su questo punto Monti ha messo l'accento. Il "piccolo è bello" ha fatto il suo tempo perché il "piccolo" non è in grado di fare ricerca. Il piccolo non è bello affatto e va energicamente incoraggiato a crescere anche se finora su questo punto si è fatto pochissimo.
Quanto alla mobilitazione delle risorse per accrescere il potere d'acquisto dei consumatori, il recupero dell'evasione è certamente fondamentale ma i risultati avranno bisogno di tempo. È esatto constatare che fino a quando quella lotta non avrà prodotto i suoi frutti continueranno a pagare "i soliti noti". Ma se bisognava salvarsi dal baratro con una manovra preparata in due settimane, chi avrebbe dovuto pagare se non i suddetti "noti"? Si poteva aspettare un anno o ancora di più? I movimenti di protesta, le opposizioni senza argomenti, non rispondono a questa domanda sui tempi, quando gli attuali "ignoti" saranno finalmente scovati, l'aumento delle entrate bisognerà destinarlo a ridurre le imposte sui soliti noti, questa è l'equità che il governo si propone e ci propone.
Nel frattempo però anche la crescita richiede una partenza rapida. L'obiettivo più a portata è il taglio delle esenzioni e delle regalie fatte a suo tempo a molte categorie di impresa che non danno alcun particolare contributo d'innovazione e di crescita. La cosiddetta "spending review" prevede una mappatura che solo questo governo ha cominciato ad avviare ma che chiederà anch'essa tempo, salvo alcuni casi macroscopici che gli esperti conoscono bene. Questi sprechi - perché di veri e propri sprechi si tratta - vanno colpiti subito, la cifra che si può recuperare prevede almeno 10 miliardi immediati. Non si tratta di tasse ma di spese da tagliare. Entro aprile quest'obiettivo può essere realizzato ma lo sgravio sul potere d'acquisto dei consumatori può essere disposto subito finanziandolo con quell'esenzione dal deficit degli effetti della congiuntura che Monti ha già chiesto a Bruxelles e che auspichiamo sia definitivamente riconosciuta negli incontri europei di fine gennaio.
***
Molti si chiedono quali risultati abbia dato l'imponente erogazione di liquidità (500 miliardi) che la settimana scorsa Draghi ha effettuato. Monti non ha fatto alcun cenno in proposito perché la Bce ha finanziato il sistema bancario e non i debiti sovrani degli Stati europei, visto che il suo statuto non glielo consente. Ma è ovvio che il governo conosce i possibili e fondamentali effetti di quella manovra per il collocamento dei titoli di Stato per cifre imponenti da febbraio ad aprile e oltre.
Le banche finora non hanno utilizzato la liquidità proveniente dalla Bce. In piccola parte sono intervenute alle aste dei giorni scorsi soprattutto sui Bot a tre e sei mesi e, in misura ancor più limitata, sui quinquennali e decennali emessi giovedì scorso. In parte hanno ricomprato obbligazioni proprie sul mercato secondario, ma il grosso della liquidità è fermo nei depositi della Bce. In attesa di che cosa?
Due sono i motivi di questa prevista gradualità. Il primo riguarda le decisioni europee di fine gennaio, il secondo la letargia della clientela sia per quanto riguarda l'attivo sia il passivo delle banche. C'è stata nei mesi scorsi una diminuzione cospicua dei depositi e una altrettanto cospicua diminuzione della richiesta di nuovi prestiti, in parte come effetto della recessione e in parte a causa della perdurante sfiducia nella capacità dell'Europa di governare la crisi. Meno depositi, meno prestiti, preferenza per investimenti a breve, cautela su quelli a lungo termine.
Le previsioni della Bce sono moderatamente ottimistiche.
Prevedono che in febbraio le banche europee saranno presenti attivamente alle aste in Italia, Spagna, Francia, Germania. Faranno profitti con la differenza tra i tassi delle aste e quello dell'1 per cento che gli è costato l'approvvigionamento. Quei profitti andranno a rinforzare i loro capitali e la loro presenza alle aste avrà il risultato di far scendere i rendimenti sui titoli pubblici, sempre che questo circuito virtuoso si realizzi.
Per quanto riguarda lo "spread" se questi percorsi si metteranno in moto diminuirà anch'esso anche se i picchi attuali dipendono in parte dal minor rendimento dei "Bund" tedeschi, quotati attorno all'1.80 anziché, come pochi giorni fa, al di sopra del 2. La Germania dovrebbe accrescere i consumi interni e le spese pubbliche per equilibrare l'economia propria e quella europea, ma ancora non ci sono segnali in questa direzione.
Infine una parola sul tasso di cambio euro-dollaro. Molti commentatori vedono la svalutazione dell'euro, che recentemente oscilla attorno a 1.30 con tendenza a ulteriore ribasso, come una sciagura. Ma non è affatto una sciagura. Appena un anno e mezzo fa l'euro era a livello di 1.18 sul dollaro e questa quotazione favorì le esportazioni. In tempo di recessione, un leggero aumento dell'inflazione e una discesa del cambio estero non sono sciagure ma eventi positivi e come tali andrebbero valutati.
Post scriptum: Mario Monti ha escluso tassativamente sue candidature politiche alle future elezioni e ha escluso anche - e giustamente - una sua candidatura al Quirinale perché quella posizione non prevede e non sopporta candidature. Le domande su questi propositi politici di Monti ed eventualmente dei suoi attuali ministri erano inutili poiché le risposte erano prevedibili ed ovvie.
Resta il fatto che alle prossime elezioni tutto sarà diverso da prima; pensare che si ripetano le procedure d'un tempo e che si torni a confrontarsi sullo stesso campo da gioco è pura illusione. Questo governo è stato un'innovazione per il fatto stesso di esistere e di esser nato con queste modalità peraltro perfettamente costituzionali. Questa innovazione non è una rondine pellegrina ma un decisivo aggiornamento della democrazia parlamentare. Questo è un evento positivo con il quale la dolorosa e sofferta emergenza ci compensa.
Durante la conferenza stampa, tra tanti argomenti toccati e approfonditi, ha fatto l'elogio della politica ricordando che è l'attività più nobile dello spirito umano perché si occupa del bene comune nostro e dei nostri figli e nipoti.
"Gli uomini politici possono essere all'altezza del compito oppure scadenti e corrotti, anteponendo il bene proprio alla prosperità degli altri. Il nostro sforzo - ha detto - è quello di favorire il miglioramento del personale politico operando con efficacia per recuperare il valore di quell'attività".
Era molto tempo che non assistevamo ad un incontro di quel livello.
Competenza, padronanza degli argomenti, ironia e autoironia, furbizia tattica e sapiente strategia.
Personaggi di quella taglia se ne vedono pochi in giro in Italia e anche in Europa. A me che ne ho conosciuto parecchi sono venuti in mente Vanoni e Andreatta, La Malfa e Visentini, Schmidt e Jean Monnet.
Esponeva i dati della situazione economica, le strettezze della finanza, le difficoltà di elaborare un programma di sviluppo senza abbandonare il rigore, tenendo insieme un'eterogenea maggioranza parlamentare e negoziando con le parti sociali sul patto generazionale senza il quale è impossibile realizzare la crescita e l'equità. Alla fine ha riassunto l'obiettivo che il suo governo si propone di realizzare indicando i tre valori che vi presiedono: libertà, giustizia, solidarietà. Sono i valori sui quali è nata l'Europa moderna e le bandiere tricolori della Grande Rivoluzione ne furono e ne sono il simbolo rappresentativo.
Quella conferenza stampa è stata il battesimo di un leader di prima grandezza e ne siamo usciti rassicurati e grati.
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Le critiche non sono mancate. Si voleva che desse conto dell'articolato dei provvedimenti destinati allo sviluppo che saranno pronti entro il 20 gennaio, seguiti da ulteriori interventi in febbraio e in aprile. Si volevano indicazioni sul livello ottimale dello "spread" che si trova ancora al suo picco. Le "lobbies" che ancora padroneggiano ampi settori del Pdl e della Lega sono decise a limitare l'entità delle liberalizzazioni. Di Pietro è arrivato a rimproverarlo di non avere la bacchetta magica come ci si aspettava.
Ma chi si aspettava i miracoli? C'è ancora gente così stolta e così intrisa di demagogia da pronunciare frasi così insensate? C'è ancora gente che rimpiange i tempi in cui imperavano le cricche berlusconiane? Gli italiani hanno scarsa memoria storica, ma non fino a questo punto. La politica seria non fa miracoli e non è un circo equestre dove si esibiscono acrobati, orsi che fanno l'inchino e maghi che mangiano il fuoco. La politica è senso di responsabilità, realismo, diagnosi dei malanni e attento dosaggio dei rimedi.
Al circo ci vanno i bambini e recitano i pagliacci che li fanno ridere con le loro smorfie e la faccia infarinata.
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Non vi aspettate che la crescita sia a costo zero, lasciate a Giulio Tremonti queste baggianate con le quali ci ha portato al punto in cui siamo. E non vi aspettate che le misure di sviluppo indicate da Monti siano sufficienti se non saranno accompagnate da un'adeguata politica economica europea.
Lo sviluppo presuppone investimenti, gli investimenti presuppongono un aumento della domanda, quell'aumento presuppone un maggior potere d'acquisto. Questa sequenza di cause e di effetti che interferiscono tra loro presuppongono fiducia, cambiamento delle aspettative, mobilitazione di risorse ed equità nella distribuzione dei sacrifici e dei benefici.
Il governo ha messo al primo posto della sua agenda la lotta all'evasione indicando gli strumenti dei quali dispone. Ha sottolineato la necessità di far crescere la produttività e con essa i salari. Per ottenere l'aumento dei salari netti bisogna ridurre il divario tra costo del lavoro e busta paga. Quindi bisogna fiscalizzare i contributi riducendo massicciamente le imposte sulle imprese, il cuneo fiscale o comunque lo si chiami.
Ma sull'aumento di produttività va aggiunto che il problema va molto al di là del costo del lavoro: ci vogliono forti innovazioni sia nei processi produttivi e sia - soprattutto - dei prodotti. Su questo secondo punto l'industria e i servizi del terziario di qualità lasciano molto a desiderare. Quando si discute della produttività sembra quasi che il tema non riguardi gli imprenditori ma i sindacati operai. Marchionne è l'esempio eloquente di quest'errore di prospettiva. Se l'imprenditoria italiana non specializzerà la sua ricerca sull'innovazione del prodotto, recuperare adeguati livelli di produttività resterà una chimera.
Non a caso su questo punto Monti ha messo l'accento. Il "piccolo è bello" ha fatto il suo tempo perché il "piccolo" non è in grado di fare ricerca. Il piccolo non è bello affatto e va energicamente incoraggiato a crescere anche se finora su questo punto si è fatto pochissimo.
Quanto alla mobilitazione delle risorse per accrescere il potere d'acquisto dei consumatori, il recupero dell'evasione è certamente fondamentale ma i risultati avranno bisogno di tempo. È esatto constatare che fino a quando quella lotta non avrà prodotto i suoi frutti continueranno a pagare "i soliti noti". Ma se bisognava salvarsi dal baratro con una manovra preparata in due settimane, chi avrebbe dovuto pagare se non i suddetti "noti"? Si poteva aspettare un anno o ancora di più? I movimenti di protesta, le opposizioni senza argomenti, non rispondono a questa domanda sui tempi, quando gli attuali "ignoti" saranno finalmente scovati, l'aumento delle entrate bisognerà destinarlo a ridurre le imposte sui soliti noti, questa è l'equità che il governo si propone e ci propone.
Nel frattempo però anche la crescita richiede una partenza rapida. L'obiettivo più a portata è il taglio delle esenzioni e delle regalie fatte a suo tempo a molte categorie di impresa che non danno alcun particolare contributo d'innovazione e di crescita. La cosiddetta "spending review" prevede una mappatura che solo questo governo ha cominciato ad avviare ma che chiederà anch'essa tempo, salvo alcuni casi macroscopici che gli esperti conoscono bene. Questi sprechi - perché di veri e propri sprechi si tratta - vanno colpiti subito, la cifra che si può recuperare prevede almeno 10 miliardi immediati. Non si tratta di tasse ma di spese da tagliare. Entro aprile quest'obiettivo può essere realizzato ma lo sgravio sul potere d'acquisto dei consumatori può essere disposto subito finanziandolo con quell'esenzione dal deficit degli effetti della congiuntura che Monti ha già chiesto a Bruxelles e che auspichiamo sia definitivamente riconosciuta negli incontri europei di fine gennaio.
***
Molti si chiedono quali risultati abbia dato l'imponente erogazione di liquidità (500 miliardi) che la settimana scorsa Draghi ha effettuato. Monti non ha fatto alcun cenno in proposito perché la Bce ha finanziato il sistema bancario e non i debiti sovrani degli Stati europei, visto che il suo statuto non glielo consente. Ma è ovvio che il governo conosce i possibili e fondamentali effetti di quella manovra per il collocamento dei titoli di Stato per cifre imponenti da febbraio ad aprile e oltre.
Le banche finora non hanno utilizzato la liquidità proveniente dalla Bce. In piccola parte sono intervenute alle aste dei giorni scorsi soprattutto sui Bot a tre e sei mesi e, in misura ancor più limitata, sui quinquennali e decennali emessi giovedì scorso. In parte hanno ricomprato obbligazioni proprie sul mercato secondario, ma il grosso della liquidità è fermo nei depositi della Bce. In attesa di che cosa?
Due sono i motivi di questa prevista gradualità. Il primo riguarda le decisioni europee di fine gennaio, il secondo la letargia della clientela sia per quanto riguarda l'attivo sia il passivo delle banche. C'è stata nei mesi scorsi una diminuzione cospicua dei depositi e una altrettanto cospicua diminuzione della richiesta di nuovi prestiti, in parte come effetto della recessione e in parte a causa della perdurante sfiducia nella capacità dell'Europa di governare la crisi. Meno depositi, meno prestiti, preferenza per investimenti a breve, cautela su quelli a lungo termine.
Le previsioni della Bce sono moderatamente ottimistiche.
Prevedono che in febbraio le banche europee saranno presenti attivamente alle aste in Italia, Spagna, Francia, Germania. Faranno profitti con la differenza tra i tassi delle aste e quello dell'1 per cento che gli è costato l'approvvigionamento. Quei profitti andranno a rinforzare i loro capitali e la loro presenza alle aste avrà il risultato di far scendere i rendimenti sui titoli pubblici, sempre che questo circuito virtuoso si realizzi.
Per quanto riguarda lo "spread" se questi percorsi si metteranno in moto diminuirà anch'esso anche se i picchi attuali dipendono in parte dal minor rendimento dei "Bund" tedeschi, quotati attorno all'1.80 anziché, come pochi giorni fa, al di sopra del 2. La Germania dovrebbe accrescere i consumi interni e le spese pubbliche per equilibrare l'economia propria e quella europea, ma ancora non ci sono segnali in questa direzione.
Infine una parola sul tasso di cambio euro-dollaro. Molti commentatori vedono la svalutazione dell'euro, che recentemente oscilla attorno a 1.30 con tendenza a ulteriore ribasso, come una sciagura. Ma non è affatto una sciagura. Appena un anno e mezzo fa l'euro era a livello di 1.18 sul dollaro e questa quotazione favorì le esportazioni. In tempo di recessione, un leggero aumento dell'inflazione e una discesa del cambio estero non sono sciagure ma eventi positivi e come tali andrebbero valutati.
Post scriptum: Mario Monti ha escluso tassativamente sue candidature politiche alle future elezioni e ha escluso anche - e giustamente - una sua candidatura al Quirinale perché quella posizione non prevede e non sopporta candidature. Le domande su questi propositi politici di Monti ed eventualmente dei suoi attuali ministri erano inutili poiché le risposte erano prevedibili ed ovvie.
Resta il fatto che alle prossime elezioni tutto sarà diverso da prima; pensare che si ripetano le procedure d'un tempo e che si torni a confrontarsi sullo stesso campo da gioco è pura illusione. Questo governo è stato un'innovazione per il fatto stesso di esistere e di esser nato con queste modalità peraltro perfettamente costituzionali. Questa innovazione non è una rondine pellegrina ma un decisivo aggiornamento della democrazia parlamentare. Questo è un evento positivo con il quale la dolorosa e sofferta emergenza ci compensa.
31 dicembre 2011