sabato 31 dicembre 2011

Come ragiona la mente dei mercati




LUCA RICOLFI

Anche ieri, come ormai succede da diverse settimane, i mercati hanno mostrato di non aver fiducia nell’Italia. Per prestare denaro a lungo termine al nostro Stato pretendono 5 punti percentuali di interesse in più (il famigerato spread) che per prestarlo alla Germania, e quasi 2 punti in più che per prestarlo alla Spagna. Ancora pochi mesi fa il nostro spread con la Germania era inferiore a 2 punti, e i mercati preferivano prestare soldi all’Italia piuttosto che alla Spagna.
E’ comprensibile che il governo e i suoi sostenitori cerchino di convincerci che lo spread non è poi così importante, che la situazione non va drammatizzata, che se dopo l’insediamento di Monti e la nuova manovra le cose non sono migliorate (anzi sono peggiorate) la colpa non è dell’Italia ma delle autorità europee.
Pier Ferdinando Casini, ad esempio, ha dato la colpa alla Banca Centrale Europea, che ultimamente ha fortemente ridotto gli acquisti dei nostri titoli di Stato. Il presidente del Consiglio, per parte sua, ha chiamato in causa soprattutto il Consiglio Europeo dell’8-9 dicembre, colpevole di aver immesso troppo pochi quattrini nel fondo salva-Stati, e ha anch’egli menzionato la riduzione degli interventi della Bce a sostegno dei nostri titoli. Da più parti si continua a ripetere che la sfiducia dei mercati nell’Italia non ha riscontro nei fondamentali dell’economia, che sono molto migliori di quanto lo spread suggerirebbe.
So di avventurarmi su un terreno scivoloso, perché non ci sono abbastanza dati per valutare la plausibilità delle varie interpretazioni di quel che sta succedendo, ma vorrei egualmente porre alcune domande.
Domanda numero 1. Perché la sostituzione di Berlusconi con Monti, nonostante l’indubbia maggiore credibilità internazionale di quest’ultimo, si è accompagnata ad un aumento dello spread anziché a una sua diminuzione? Perché non si è realizzata la profezia delle opposizioni secondo cui la «discontinuità» politica rappresentata dalla rimozione di Berlusconi avrebbe ristabilito un po’ di fiducia sui mercati?
Certo si può dire che la credenza delle opposizioni era ingenua o strumentale, e che aveva perfettamente ragione Barack Obama quando diceva che i problemi dell’Italia non sarebbero certo svaniti d’incanto con la caduta di Berlusconi. E tuttavia un problema resta: perché le cose vanno peggio ora, visto che Monti è indubbiamente percepito da tutti i soggetti che contano (mercati e autorità europee) come più capace di Berlusconi di mantenere gli impegni presi?
Domanda numero 2. Se la ragione per cui il nostro spread non scende è davvero la riluttanza delle autorità europee a irrobustire il fondo salva-Stati, perché lo spread della Spagna oscilla senza una netta tendenza all’aumento o alla diminuzione, mentre il nostro mostra una chiara tendenza all’aumento? Perché fino a pochi mesi fa il nostro spread era migliore di quello spagnolo e ora è peggiore? Basta l’allentamento del sostegno della Bce a spiegare la svolta a nostro sfavore?
Domanda numero 3. Perché la situazione relativa di Italia e Spagna si è deteriorata drammaticamente nelle ultime quattro settimane, che hanno visto il nostro spread rispetto alla Spagna passare da 66 punti base a 174? Come mai questo deterioramento si è prodotto nel momento meno logico, ossia proprio quando, finalmente, un governo autorevole e nuovo di zecca varava una manovra di grande portata? Basta il comportamento delle banche spagnole, più manovrabili dal governo centrale, a spiegare la tenuta dei titoli di Stato iberici? O è il fatto di avere un’intera legislatura di fronte ad avvantaggiare il premier spagnolo, mentre il nostro presidente del Consiglio non sa se e quando i partiti che lo sostengono gli staccheranno la spina?
Non conosco la risposta a queste domande, ma un’ipotesi l’avrei. Più che un’ipotesi è un dubbio, o un tarlo. Detto nel modo più crudo, il tarlo è questo: non sarà che, ci piaccia o no, nei momenti di crisi la mente dei mercati funziona molto diversamente da come se la immaginano politici ed autorità europee?
Per essere più precisi. Non sarà che i mercati danno poca importanza all’entità degli aggiustamenti di bilancio (i saldi della manovra) e molta importanza alla sua composizione? Non sarà che, nella seconda metà di novembre, in Spagna e in Italia sono avvenuti due cambiamenti che i mercati giudicano in modo opposto?
In Spagna c’è stato un cambio di governo, da sinistra a destra, che promette di aggiustare il bilancio prevalentemente dal lato della spesa, alleggerendo vincoli e pressione fiscale sulle imprese. In Italia c’è stato un cambio di governo da destra a «non-destra» che, nonostante il contesto in cui operano le nostre imprese sia molto più sfavorevole di quello spagnolo, ha già dimostrato di puntare il grosso delle sue carte sull’aumento delle tasse (come succedeva con il precedente governo). E’ vero che la manovra Monti prevede sgravi fiscali sulle imprese per 2,5 miliardi, ma tali sgravi sono annullati dalle molte misure che aumentano i costi di produzione di lavoratori autonomi e imprese, come la maggiorazione delle aliquote contributive, le nuove imposte sugli immobili, gli aumenti del costo dell’energia.
Forse, se i mercati hanno punito l’Italia non è nonostante la manovra di Monti, ma - in un certo senso - a causa di essa. La credibilità di Monti, la sua serietà, il suo coraggio, non sono bastati per la semplice ragione che i mercati hanno colto l’impianto recessivo della manovra, nonché il carattere tuttora evanescente della cosiddetta «fase 2», quella che dovrebbe rilanciare la crescita. Spiace doverlo constatare, ma in fatto di crescita i mercati paiono credere poco agli annunci dei governi, e abbastanza alle previsioni dei grandi organismi internazionali, tipo Ocse o Fondo Monetario Internazionale.
E tali previsioni parlano chiaro: per la Spagna la crescita attesa del Pil nel 2011 è stabile a +0,8 e quella del 2012 resta positiva (+0,5). Per l’Italia la previsione 2011 è già stata ridotta di mezzo punto (da +1,1 a +0,6), mentre per il 2012 si prevede una contrazione del Pil, pari a -0,5 secondo l’Ocse e addirittura a -1,6 secondo il Centro Studi Confindustria.
Che sia per questo, perché hanno capito che in Italia - chiunque governi - la crescita è solo uno slogan, che i mercati continuano a non fidarsi di noi?

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