martedì 13 dicembre 2011

CODICE ROSSO IN CARCERE: LE RIVOLTE SONO QUOTIDIANE


Quasi 300 nel 2011 le aggressioni al personale Inapplicabile la circolare che apre le celle

di Silvia D’Onghia

La situazione è stata correttamente affrontata dai responsabili dell’istituto e ricondotta alla normalità”, ha sostenuto il capo dell’amministrazione penitenziaria, Franco Ionta. Già, ma quale normalità? La rivolta scoppiata l’altro giorno nel carcere di Ancona “testimonia la situazione in cui versano tutti gli istituti italiani”, spiega il sindacato Sappe. Secondo la Uil penitenziari, dal primo gennaio 2011 gli episodi di aggressione ai danni del personale ammontano a 291, con un totale di 394 feriti. 40 le risse scoppiate in 28 carceri. Sono stati 5.200 gli atti di autolesionismo, oltre seimila i detenuti che hanno operato almeno un giorno di sciopero della fame, oltre mille coloro che hanno rifiutato, per protesta, le terapie. Quale normalità ci può essere con una popolazione penitenziaria che ha superato quota 68 mila a fronte di una capienza regolamentare di 44 mila?

Domande che si deve essere posto il capo della Direzione generale detenuti, il magistrato Sebastiano Ardita, quando, a fine novembre, prima di tornare alla Procura di Catania, ha firmato una “rivoluzione”. Sicuramente teorica, altrettanto sicuramente, però, inapplicabile nella pratica. In carcere sono stati introdotti – con una circolare, meno vincolante rispetto a un decreto – i “codici” come quelli che si usano nei pronto soccorso. I colori bianco, verde, giallo e rosso, che in ospedale servono a classificare la gravità dei pazienti, tra le mura dei penitenziari potranno essere utilizzati per diversificare i detenuti e rendere la loro permanenza più vivibile.

IL CODICE BIANCO sarà riservato a coloro che non hanno commesso reati di violenza e hanno mantenuto una buona condotta. Per loro le sbarre rimarranno aperte per la maggior parte della giornata. Il verde evidenzierà chi si è macchiato di violenza, ma si è comportato bene. Il giallo chi ha commesso violazioni disciplinari. In entrambi i casi le celle potranno rimanere aperte solo dopo un’attenta osservazione. I codici rossi, autori di reati in carcere o di tentativi di evasione, invece resteranno dentro. A decidere sarà un’equipe interna all’istituto che in ogni momento potrà modificare le assegnazioni.

“Un intento nobile – confida al Fatto un agente penitenziario che preferisce l’anonimato –, ma solo teorico. Sarà praticamente impossibile da attuare. Manca il personale persino per accompagnare i detenuti in infermeria (la polizia penitenziaria è sotto organico di settemila unità, ndr), ma mancano anche educatori e psicologi necessari, secondo la stessa circolare, a dare un supporto”. E invece, per esempio, “nella sezione ‘nuovi giunti’ del carcere romano di Regina Coeli – spiega Irene Testa, segretario dell’associazione radicale ‘Il detenuto ignoto’ – c’è un unico psicologo per 40/50 ingressi quotidiani. I colloqui durano pochi minuti. Ed è una sezione in cui i detenuti dovrebbero fermarsi qualche settimana e invece ci rimangono anche un anno e mezzo”. Sempre a Regina Coeli, il rapporto tra educatori e reclusi è di uno a 300.

Nonostante sia lo stesso Ordinamento penitenziario a prevedere che la cella sia soltanto una stanza di pernottamento, demandando ai Direttori degli istituti la discrezionalità dell’apertura delle sbarre, questo accade soltanto in poche carceri, proprio perchè il sovraffollamento non consente la libera circolazione.

COME POTREBBE essere diversamente a Milano San Vittore, per esempio, dove i detenuti sono 1649 (dati Uil), 937 in più rispetto alla capienza regolamentare, dove si sono già verificati 213 scioperi della fame, 84 atti di autolesionismo e 9 tentati suicidi? Far circolare liberamente i codici bianchi significa inoltre mettere insieme etnie diverse (un terzo della popolazione carceraria è straniera) e situazioni giudiziarie diverse. E quale Direttore deciderà di accrescere le responsabilità individuali del personale, in caso di incidenti, sapendo che poi gli avvocati certo non li paga il Dap?

La circolare ha intenti nobili, in una situazione “normale”. Ma la normalità, oltre il muro, non esiste.

1 commento:

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

Quello di Sebastiano Ardita prima di tornare alla procura di Catania è senza dubbio una polpetta avvelenata che Franco Ionta, capo del Dipartimento, non ha potuto o saputo evitare.