sabato 24 dicembre 2011

Il nostro Hugh Grant che non vuole insegnare niente a nessuno




di Luca Telese
   In fondo è semplice, Fabio Volo ha un difetto imperdonabile: è un piccolo genio. Un genio minimale, certo, popolare: ma sempre genio. Basterebbe questo riassunto: mentre la critica storce il naso, Volo è protagonista di un film che veleggia verso i 4 milioni di euro di incasso e che – manco a dirlo – è tratto da un suo romanzo: una commedia brillante, commovente, piena di trovate, girata come un congegno perfetto di battute ed emozioni. Senza volgarità, senza faccioni da botteghino, senza effetti speciali. E poi ha scritto un altro libro – Le prime luci del mattino – che negli stessi giorni sta sbancando la top ten della narrativa italiana arrampicandosi sopra la vetta inumana del milione di copie. Ha massacrato il libretto natalizio ruffiano di Bruno Vespa, il monumento letterario funebre a Steve Jobs, ha dato punti a quello schiacciasassi che è Giorgio Faletti, superato un mostro sacro come Isabel Allende. Ma in un paese nonnista come il nostro Volo ha due difetti che per la critica puzza-sotto-il-naso sono imperdonabili: ha un pubblico popolare, piace alle donne, scrive commedie e romanzi sentimentali, non si occupa della fame nel mondo. E poi riempie le sale. E – soprattutto – è un giovane. Il che è a dir poco un crimine. Prendete Il giorno in più. È l’Harry ti presento Sally (italiano) del Terzo millennio. Ovvero un film che con il pretesto della commedia, viviseziona perfettamente i difetti fatali dei trenta-quarantenni italiani. Splendidamente immaturi, furbi e romanticamente egoisti. Il protagonista della storia è (come sempre) una sorta di alter ego di Fabio: grande successo nel lavoro, splendido sentimentalismo amorale, incapacità di trovare una relazione stabile. Isabella Ragonese, invece, è il suo esatto contrario, una perfetta Mag Ryan palermitana: trentenne solida, corazzata, stanca delle storielle, pronta a traversare il mondo per trovare la sua strada. Prendi questi due personaggi è dentro c’è tutta l’alchimia di una generazione. Ma siccome Fabio non cerca la morale, i grandi critici sono freddini. E poi dicono che Volo “è furbo” (gli altri invece sono tutti interessati all’arte?) che mette in scena se stesso, che riempie i suoi libri di citazioni da cioccolatini Perugina, che “fa parabiografia” , che forse ha un ghost writer.
   IL CHE ovviamente è vero. Ma se ha un ghost writer vorrebbero scritturarlo tutti (li aveva anche Simenon, ma nessuno lo sminuisce per questo, anche sceglierseli è un talento). Se cerchi su Google le voci sugli aforismi sono le prime tre (di tre milioni!), e sui Baci Perugina ci vanno Herman Hesse e Simone de Beauvoir. Quanto alla parabiografia, bisognerebbe decapitare metà della narrativa mondiale, e metà di quella italiana, a partire da Pavese e Pratolini. In realtà il fenomeno sconvolgente della narrativa di Fabio Volo è che chiunque lo conosca sa che solo lui potrebbe scrivere quei libri, e che la sua bibliografia è un meraviglioso caso di evoluzione in corsa: Esco a fare due passi era una sorta di zibaldone compilato in corsa da un disc jockey di successo, Il tempo che vorrei è un bellissimo e denso romanzone di formazione sulla gavetta di un giovane di provincia. Memorabile la scena in cui lui porta nella casetta dei genitori un vino costosissimo. “Vi piace?”. E loro: “Buono. Anche il Tavernello, però”. Il giorno in più è una miniera di trovate e caratteri: una grandissima Luciana Littizzetto nel cameo della collega scavalcata, Lino Toffolo commovente marito della moglie, Stefania Sandrelli, ancora una volta, mamma delle mamme italiane. Fabio Volo ha costruito una commedia sentimentale perfetta che fa impallidire quelle con Hugh Grant e, se volete, è un Cary Grant postmoderno

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