mercoledì 28 dicembre 2011

Poggioreality




di Marco Travaglio
   Un detenuto in attesa di giudizio che lascia il carcere per essere processato a piede libero è sempre una buona notizia, specie in tempi di sovraffollamento carcerario. Anche se quel detenuto è il magistrato Alfonso Papa, che in carcere era abituato a mandarci gli altri.
Ora, dopo 101 giorni a Poggioreale e 50 ai domiciliari, sfreccia sul motorino della sua signora in tutti i telegiornali e prende un po’ troppo sul serio il suo cognome pontificando urbi et orbi sulle “condizioni disumane delle carceri”.
Poteva pensarci prima, quando faceva il pm e soprattutto quando, dal 2001 al 2008, era dirigente al ministero della Giustizia, ivi chiamato da Castelli e poi naturalmente confermato da Mastella.
Ma anche dopo, quando divenne deputato e membro della consulta sulla giustizia del Pdl, il partito che porta in Parlamento noti delinquenti mentre imbottisce le galere di poveracci con leggi demenziali: ex Cirielli, immigrazione clandestina, Fini-Giovanardi sulle droghe, vari pacchetti sicurezza.
Ora, meglio tardi che mai, annuncia a Repubblica: “Mi impegnerò per i detenuti” (a suo modo, è un tecnico anche lui). Comincerà evitando che lo diventi Nick Cosentino, imputato di camorra e rifugiato a Montecitorio con diritto d’asilo.
A vederlo nei compiacenti tg con guanciotte da puttino e vocina flautata, pare impossibile che Papa sia imputato per favoreggiamento, rivelazione di segreti, corruzione, concussione ed estorsione.
Ma il travestimento da agnellino funziona perché nessuno, nel Poggioreality, ricorda perché è imputato: secondo le accuse dei pm – in gran parte confermate da giudici terzi come il gip e il Riesame – Papa sfruttava i suoi contatti “di altissimo livello” con servizi segreti, magistrati e generali della Finanza per procurarsi notizie segrete su indagini a carico di Letta, Verdini, Cosentino e Masi; ma anche per minacciare arresti e promettere salvataggi a imprenditori indagati; il tutto in cambio di soldi, gioielli, appartamenti, crociere, hotel di lusso, più consulenze e incarichi per moglie, amici, ma soprattutto amiche.
Una è una mezza tossica, e lui la consiglia su come sfuggire alla polizia, poi le regala il tesserino d’accesso alla Camera (per fortuna la tipa non l’aveva con sé quando fu fermata con un po’ di erba: “Non era una bella figura che una persona che poteva accedere a Montecitorio si facesse le canne”). A un’altra, che lavora alle Poste grazie a lui (dice lei), Papa ha donato una sobria Jaguar, salvo poi riprendersela falsificando la firma.
Come Alberto Sordi ne Il vedovo, quando regala una pelliccia all’amante e poi gliela porta via per impegnarsela e pagare i debiti.
Poi c’è un tizio che gli forniva Rolex “nudi”, senza confezione né garanzia, praticamente rubati o falsi. Perché Papa è sempre stato un uomo di polso. E non ha nulla da nascondere: infatti, pur essendo immune da intercettazioni, usava una scheda telefonica intestata a una sconosciuta. Il gip Giordano gli chiede perché e lui cade dalle nuvole: “Non sapevo che una scheda mobile dev’essere intestata a una persona”. Poi però, nota il gip, “lamentato che sarebbe stato intercettato sull’utenza registrata alla sua persona: dunque è ben conscio della differenza tra l’utilizzo da parte di un parlamentare del telefono intestato a lui e quello di utenze intestate a terzi. Ma non ha spiegato perché un deputato, che gode delle prerogative assicurate al Parlamento dalla Costituzione, abbia bisogno di impiegare telefoni intestati fittiziamente a persone ignare”.
Già, perché? Forse per non essere da meno di B., che usava le schede peruviane di Lavitola. Infatti – giura Papa – “il partito mi è stato vicino” e si accinge a festeggiare il suo rientro trionfale alla Camera. Perché lui, ça va sans dire, è “pronto a riprendere la mia attività di deputato”.
Viene in mente un altro film di Sordi, L’arte di arrangiarsi, quando il protagonista Sasà Scimoni esce di galera e fonda subito un partito per gli ex detenuti. Ma non viene eletto. Il film, infatti, è del 1955.

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