giovedì 15 dicembre 2011

SANTORO “Il vecchio sistema non ci ammazzerà”



ASCOLTI DECISI DA RAI-MEDIASET E IL PD È INADEGUATO ALLE NOVITÀ

di Michele Santoro

Caro direttore, il tuo articolo di domenica dedicato a Servizio Pubblico finalmente solleva il problema dell’intolleranza di Raimediaset nei confronti di un esperimento che, comunque lo si giudichi, ha reso visibile la crisi delle televisioni generaliste storiche. Un’intolleranza che trova puntualmente nell’Auditel, società posseduta dalle stesse aziende che dovrebbe controllare, il puntello anch’esso traballante di un sistema ridotto a un ferro vecchio da rottamare.

Fin dall’inizio della nostra nuova avventura ho sottolineato l’inadeguatezza dei vecchi strumenti di rilevazione per una multipiattaforma qual è la nostra; dopo che per tre settimane su sei, il venerdì mattina, il meccanismo che dovrebbe fondarsi su rilevazioni contenute in registratori automatici si è “inceppato”, possiamo dire con una certa sicurezza che Auditel ha autocertificato la sua incapacità di valutare i profondi cambiamenti che sono intervenuti nel consumo televisivo con la frammentazione dei grandi pubblici di Raiuno e Canale5 sui quali era stato modellato.

INVECE AVEVO sottovalutato la dipendenza culturale di osservatori, giornalisti e critici televisivi nei confronti dell’Auditel, della cui crisi colgono solitamente aspetti superficiali e insignificanti avendone assunto non solo l’ottica, ma le categorie di giudizio e le gerarchie numeriche.

Mi piace ricordare a tutti che Servizio Pubblico non nasce da uno stato di necessità ma da una scelta. Se avessi, infatti, accettato limiti e condizioni che non hanno niente a che vedere con le regole della mia professione (come fa disinvoltamente la gran parte dei miei colleghi) avrei continuato ad avere il mio posto al sole e il mio regolare stipendio. Chi volesse seriamente smentirmi potrebbe mettere in rete il suo contratto; ma siccome non lo farà nessuno, preferisco lasciare ad altri uno spazio che avrei occupato con un senso di sconfitta e confermare il mio rifiuto di adeguarmi alla televisione così com’è.

Per provare ad andare oltre ho deciso di trasformare un esperimento come Raiperunanotte in un programma lungo un intero anno, tentando un’impresa ritenuta fino ad oggi impossibile: far sopravvivere un programma senza avere né un editore alle spalle né un canale consolidato per distribuire il prodotto. Il completamento della stagione televisiva, indipendentemente dagli ascolti, avrebbe decretato la sua riuscita e avrebbe dimostrato al di là di ogni ragionevole dubbio che la televisione italiana si è sempre retta sulla complementarietà tra pubblico e privato ed è per questa ragione che assistiamo contemporaneamente all’impoverimento e al degrado della Rai e a quello di Mediaset.

L’AZIENDA che gestisce il canone e il monopolista della pubblicità sul terrestre sono infatti due facce della stessa medaglia; una riforma è necessaria sia per ridare vigore alla Rai pubblica sia per realizzare una vera concorrenza sul mercato.

Assieme a un gruppo di giovani giornalisti e tecnici, supportato da alcune televisioni regionali, ho dunque rivolto un appello al pubblico per sostenerci in questo tentativo; e in centomila hanno risposto versando 10 euro. Molti artisti e giornalisti hanno deciso di appoggiare la nostra iniziativa, ma quelli che avrebbero potuto dare veramente una spinta al progetto, Celentano, Luttazzi, i Guzzanti, lo stesso Beppe Grillo non hanno voluto metterci la faccia per l’assenza di un punto di riferimento editoriale tradizionale oppure perché preferiscono agire da soli. Rispetto le loro scelte. Allo stesso modo i partiti dell’opposizione a Berlusconi, in primo luogo il Partito democratico, non hanno voluto scommettere su un movimento dal basso e non hanno voluto farsi tramite di una critica alla Rai che sfuggiva al loro controllo. Queste scelte sono poco rispettabili.

Aldo Grasso, critico televisivo del Corriere della Sera, aveva avanzato molti dubbi sulla effettiva capacità di Servizio Pubblico di reggere alla sfida della serialità, ma per diverse settimane la trasmissione ha comunque battuto reti consolidate attraendo un pubblico di massa. Con questa sequenza non era mai avvenuto in precedenza nella storia della televisione italiana e in quella della televisione di tutto il mondo. E Auditel è stato comunque costretto a consegnarci il trofeo di una trasmissione che parte da zero ascoltatori (tanti ce ne sono sulla nostra multipiattaforma) e arriva al dodici per cento. Se qualcuno pensa di poter fare meglio di noi s’accomodi pure.

LA STAMPA con qualche lodevole eccezione ha ignorato questa enorme novità e si è concentrata su Santoro che perde ascolti come se il nostro fosse un programma della Rai, di Mediaset o di La7; come se chiedessimo a Il Fatto di battere Repubblica nelle vendite durante le prime settimane di vita ed essendo distribuito nella metà delle edicole; o a Fiorello di fare il 50 per cento su Telesanmarino, avendo a disposizione i nostri dieci euro per centomila (quarantamila euro a puntata) per ingaggiare Benigni o Jovanotti. Senza considerare che l’offerta di Rai e Mediaset il giovedì è diventata la più consistente dell’intera settimana anche per impedire che su Sky potesse crescere e affermarsi X-Factor. Insomma il giovedì è diventata la madre di tutte le battaglie della vecchia televisione, una battaglia che non ci si può permettere di perdere.

Lascerei alla riflessione dei vostri lettori queste considerazioni e li lascerei liberi di giudicare un fallimento l’aver moltiplicato di venti volte la rete di trasmissione, l’aver fino a oggi superato di tre punti il day time di una televisione come La7 e, soprattutto, l’aver raccolto per otto puntate tanta pubblicità in un mercato viziato da posizioni dominanti da chiudere in pari la prima serie senza aver utilizzato un euro della raccolta. Male che vada e gufi permettendo, per lo meno altre otto puntate sono garantite.

Queste considerazioni sono talmente banali che nessun serio esperto può non condividerle, ma non ci impediscono di vedere sia i nostri limiti, diciamo così, spettacolari, sia l’ancora insufficiente innovazione nel linguaggio, sia la nostra inadeguatezza a nutrire con contenuti adatti il nostro sito Internet e il programma. Noi sappiamo tuttavia che il medium è il messaggio e che il messaggio principale è l’esistenza stessa di Servizio Pubblico; ci siamo perciò concentrati sul farlo nascere rapidamente: abbiamo allestito in due settimane una redazione, una scenografia, nuovi reparti per il montaggio e le riprese. Il risultato è stato una trasmissione, comunque la si giudichi, con la ti maiuscola. Il pubblico deve però sapere che questa resta una protesta, uno sciopero e siccome non è detto che uno sciopero possa durare per un anno intero tutti devono continuare a dare il loro contributo.

Perché noi possiamo avere tutti i difetti di questo mondo, ma la partecipazione dei referendum si sta indubitabilmente affievolendo con la nascita del governo tecnico. È perché non c’è più il nemico Berlusconi, come suggerisce qualcuno? Francamente non credo sia questa la ragione. Semmai è perché da una parte si è sbigottiti per una maggioranza che tiene insieme il Cavaliere e i suoi principali avversari, dall’altra perché prevale il solito invito a “lasciateli lavorare” che tante volte è risuonato (ricordate Bertolaso?) con devastanti risultati.

LA NOSTRA decisione di lasciare la Rai è stata una cosa buona, ha rafforzato quelli che sono rimasti e mi ha caricato dell’energia di una sfida nuova. Non sono pentito di averla presa. Continuerò il mio Servizio Pubblico indifferente all’Auditel e senza avere nostalgia degli attacchi e delle circolari di Masi dalle quali, secondo qualcuno, sarebbe dipeso il nostro successo. Non so se il pubblico avrà la pazienza di aspettare che la ricerca di un nuovo registro narrativo arrivi alla maturità. So che il mio mestiere mi condanna a inseguire gli spettatori più infedeli per catturarne l’attenzione, perfino quelli che si sganasciano dalle risate per Checco Zalone.

È questo eterno inseguimento che dà un senso alla mia vita. Anche se questa volta è più difficile distinguere chi insegue e chi è inseguito. L’inseguimento è comunque il cuore del cinema e il film nel quale siamo immersi è appassionante e dall’incerto finale. Ombre Rosse per me che sono sui carri e sono contemporaneamente gli indiani. Potevo restar fermo alla Rai, potevo restar fermo a La7 e invece sono qui felice di correre un’altra volta. Perché televisivi si diventa, ma liberi si nasce. E io modestamente lo nacqui.

2 commenti:

nina ha detto...

e io. modestamente, ti ammiro!

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

Anch'io!