di Paolo Flores d’Arcais
L’Ungheria democratica chiama, l’Europa
istituzionale nicchia, fa orecchie da mercante, traccheggia nell’ipocrisia. Ma
se i governi europei vogliono trastullarsi in paralizzanti e irresponsabili
lungaggini procedurali, è necessario che i cittadini europei facciano della
“questione Ungheria” un loro problema e una loro battaglia. Ormai
improcrastinabile.
Il governo di Victor Orban ha imposto una nuova Costituzione
che calpesta i diritti democratici minimi che l’Europa ha posto come vincolanti
e irrinunciabili per ogni paese che voglia aderire alla Comunità. La legge
elettorale è ritagliata su misura per facilitare al partito di Orban la
vittoria anche in futuro, stampa e televisione vengono imbavagliate, i
magistrati asserviti alla volontà dell’esecutivo, la Banca centrale perde ogni
margine di autonomia, sciovinismo e razzismo diventano il collante “popolare”
di questo vero e proprio fascismo postmoderno.
Se l’Ungheria di Orban chiedesse oggi di
aderire all’Europa verrebbe respinta, in quanto indigente dei requisiti
democratici minimi. Ma l’articolo 7 del trattato di Lisbona
specifica che un governo di un paese già membro dell’Unione Europea deve
perdere il suo diritto di voto qualora violi quei requisiti. È perciò necessario che il Parlamento di Strasburgo , la Commissione di Bruxelles e i singoli governi europei si attivino
immediatamente per applicare con assoluta intransigenza l’articolo 7. Ogni attendismo, ogni diplomatismo, ogni “gradualismo” nelle
sanzioni, non farebbe che incoraggiare il governo Orban a proseguire sulla
strada protervamente imboccata, che minaccia di contagio antidemocratico
l’intera comunità politica continentale.
Piegarsi alle prepotenze dei poteri
antidemocratici, in nome del “male minore”, è l’eterna tentazione degli establishment
del privilegio. Tragici protagonisti di questa sindrome di viltà (che scolora
nell’omertà) furono a Monaco, nel
1938, i democratici tiepidi Chamberlain
e Daladier, che si piegarono agli antidemocratici coerenti Hitler e Mussolini. Se l’Europa delle Merkel,
dei Cameron e dei Sarkozy cedesse oggi a Orban, guardando dall’altra parte
o riducendosi a sanzioni di facciata, replicherebbe su scala ridotta l’infamia
del ’38. E per favore non si citi Marx, che a proposito di Napoleone III giudicava
come la storia si ripetesse sempre due volte, la prima come tragedia e la
seconda come farsa. Talvolta è così, talvolta la nuova tragedia, benché in
formato mignon, è per chi la vive devastante quanto la precedente.
CON L’AGGRAVANTE che Hitler era ormai una
potenza militare ed economica che da sola valeva il resto dell’Europa, mentre il governo di Orban è costretto a chiedere aiuto al Fondo
Monetario Internazionale col cappello in mano, e di fronte ad un efficace cordone
sanitario europeo dovrebbe andarsene (proprio come l’amico Berlusconi). La
viltà di Merkel, Cameron e Sarkozy sarebbe perciò una viltà al quadrato.
Sarebbe complicità. Se Orban ha sempre indicato in Putin e Berlusconi i
suoi modelli, ricambiato dal loro appoggio più sfegatato (dichiarò Berlusconi
dieci anni fa a Budapest: “i nostri programmi e le nostre politiche sono
identiche, tra noi c’è una straordinaria sintonia”), non è certo un caso. Dimostra
come la peste del fascismo postmoderno, soft solo in apparenza, sia un forza
diffusa e minacciosamente in crescita, di cui Marina Le Pen e la destra
olandese nella maggioranza di governo sono solo altri inquietanti iceberg.
Se si vuole evitare il contagio, gli appestati
vanno trattati come appestati. L’Europa ha fatto malissimo a non intervenire
contro Berlusconi per quasi vent’anni, se non interviene contro Orban prepara
il proprio suicidio. Perché sanzionare Orban, privarlo del voto nelle
istituzioni europee, significa sostenere la Repubblica ungherese, la
cittadinanza democratica ungherese, scesa in piazza cantando l’Inno alla Gioia di Schiller/Beethoven
che l’Europa ha adottato come il proprio inno. Il nostro inno, se non vogliamo
che l’Europa resti quella dei mercanti (e relative orecchie), dei
banchieri (e relativi titoli tossici integrati di megabonus), dei governi
democratici tiepidi (e relative viltà/omertà).
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