L'Unità
9 agosto 2008
Per continuare a essere Giuliano Amato, il pluripremier e pluriministro Giuliano Amato non ha certo bisogno della presidenza della Commissione bipartisan voluta dal sindaco di Roma Alemanno per ridisegnare l’assetto istituzionale della capitale. Se ha accettato lo ha fatto sicuramente per dare un contributo alla soluzione dei problemi «nel segno del dialogo come chiede Napolitano».
Pochi sanno di riforma dello Stato come Franco Bassanini e ben si comprende che il ministro Calderoli lo abbia chiamato, accanto ad altri esperti del ramo, nel pensatoio sulla delegificazione che si riunisce il giovedì pomeriggio e a cui, dice il padrone di casa «non viene neppure pagato il caffè».
Il governatore della Campania Antonio Bassolino non firma l’iniziativa del Pd contro il governo Berlusconi perché, ha spiegato al «Riformista», «considera doverosa la collaborazione tra le diverse istituzioni della Repubblica italiana, al di là degli schieramenti politici che le governano». Anche lui va capito. Come potrebbe firmare un appello per salvare l’Italia dal governo con il quale collabora nell’interesse dei cittadini? E da quello stesso premier che, ramazza in mano, tanto si sta adoperando per occultare la vergogna dei rifiuti nelle strade di cui Bassolino è stato ritenuto (forse più dagli amici che dai nemici politici) il principale responsabile?
Questi esempi (ma altri se ne potrebbero fare) hanno il merito di rendere meno astratta, e meno stucchevole, la nota questione del dialogo. Ce la presentano nella realtà delle cose e dei comportamenti umani. Detto brutalmente: si può collaborare con l’avversario? Se cerchiamo una risposta politicamente corretta, eccola: si può e anzi si deve se l’obiettivo della collaborazione è il raggiungimento del bene comune. C’è però una seconda domanda. Collaborare con l’avversario non può comportare come spiacevole effetto collaterale il disorientamento del proprio elettorato di riferimento? Detto sempre brutalmente: che vi ho votato a fare se poi vi mettete d’accordo con quelli dello schieramento contrario?
Facciamo un altro esempio. Giovedì scorso, nelle stesse ore in cui Alemanno il bipartisan festeggiava il bipartisan Amato con un forbito: «Habemus presidentem», il capogruppo capitolino del Pd Marroni bocciava sonoramente i primi cento giorni dell’Alemanno sindaco della destra: «Molta demagogia, poche idee, niente cultura di governo, mobilità nel caos». Insomma, un vero disastro. Conosciamo l’obiezione. Un conto è il giudizio politico severo come è giusto che sia. Ma trovare un’identità di vedute su alcuni temi non è un male. Risparmiamo ai lettori gli altri sottilissimi distinguo escogitati per rendere più commestibile l’entente cordiale di Amato (non a caso universalmente conosciuto come il Dottor Sottile). Tralasciamo i sospetti di uno scambio di cortesie: l’accantonamento delle polemiche sul presunto buco di bilancio delle amministrazioni Rutelli e Veltroni come condizione per l’ingresso del prestigioso professore. E, forse, non servirà neppure ricordare come nella recente corsa al Campidoglio furono gli stessi vertici del Pd a rinfacciare il passato per così dire arrembante dello stesso Alemanno, e la croce celtica orgogliosamente esibita al collo ( non doveva essere un argomento decisivo se poi sindaco è diventato lui).
Vincono i messaggi semplificati e ciò che tutti avranno capito leggendo i giornali non sono le sottigliezze. Ma che Amato collabora con Alemanno. Bassanini con Calderoli. Bassolino con Berlusconi. Torniamo al punto: siamo sicuri che gli elettori del Pd la prenderanno bene? Si dirà: è il modello Sarkozy. Non è stato forse il tanto ammirato presidente francese a promuovere una commissione per modernizzare il paese con dentro il meglio della destra e della sinistra? Di là Sarkozy e Attali. Di qua Alemanno (quello che se la prende con i poveracci che frugano nei cassonetti) e Calderoli (quello della porcata elettorale e delle magliette anti-Islam). Bè, il suono non è proprio lo stesso.
Non siamo posseduti dalla paranoia di chi vede inciuci dappertutto. E non pensiamo affatto che la politica migliore sia quella del muro contro muro. C’interroghiamo piuttosto sull’uso strumentale del dialogo da parte di non ci crede e mira soltanto all’indebolimento delle ragioni altrui. Scrive Edmondo Berselli sull’ultimo numero dell’«Espresso» che il discorso sulle riforme (federalismo, Costituzione, giustizia) non sono in questo momento la vera priorità del Pd. Mentre la priorità effettiva «è contrastare l’azione di una maggioranza politica che potrebbe costringere il Pd ha diventare effettivamente, come ha detto Massimo D’Alema, una minoranza strutturale nel Paese e ad aggregarsi alla maggioranza, secondo il lessico del Cavaliere».
Pochi sanno di riforma dello Stato come Franco Bassanini e ben si comprende che il ministro Calderoli lo abbia chiamato, accanto ad altri esperti del ramo, nel pensatoio sulla delegificazione che si riunisce il giovedì pomeriggio e a cui, dice il padrone di casa «non viene neppure pagato il caffè».
Il governatore della Campania Antonio Bassolino non firma l’iniziativa del Pd contro il governo Berlusconi perché, ha spiegato al «Riformista», «considera doverosa la collaborazione tra le diverse istituzioni della Repubblica italiana, al di là degli schieramenti politici che le governano». Anche lui va capito. Come potrebbe firmare un appello per salvare l’Italia dal governo con il quale collabora nell’interesse dei cittadini? E da quello stesso premier che, ramazza in mano, tanto si sta adoperando per occultare la vergogna dei rifiuti nelle strade di cui Bassolino è stato ritenuto (forse più dagli amici che dai nemici politici) il principale responsabile?
Questi esempi (ma altri se ne potrebbero fare) hanno il merito di rendere meno astratta, e meno stucchevole, la nota questione del dialogo. Ce la presentano nella realtà delle cose e dei comportamenti umani. Detto brutalmente: si può collaborare con l’avversario? Se cerchiamo una risposta politicamente corretta, eccola: si può e anzi si deve se l’obiettivo della collaborazione è il raggiungimento del bene comune. C’è però una seconda domanda. Collaborare con l’avversario non può comportare come spiacevole effetto collaterale il disorientamento del proprio elettorato di riferimento? Detto sempre brutalmente: che vi ho votato a fare se poi vi mettete d’accordo con quelli dello schieramento contrario?
Facciamo un altro esempio. Giovedì scorso, nelle stesse ore in cui Alemanno il bipartisan festeggiava il bipartisan Amato con un forbito: «Habemus presidentem», il capogruppo capitolino del Pd Marroni bocciava sonoramente i primi cento giorni dell’Alemanno sindaco della destra: «Molta demagogia, poche idee, niente cultura di governo, mobilità nel caos». Insomma, un vero disastro. Conosciamo l’obiezione. Un conto è il giudizio politico severo come è giusto che sia. Ma trovare un’identità di vedute su alcuni temi non è un male. Risparmiamo ai lettori gli altri sottilissimi distinguo escogitati per rendere più commestibile l’entente cordiale di Amato (non a caso universalmente conosciuto come il Dottor Sottile). Tralasciamo i sospetti di uno scambio di cortesie: l’accantonamento delle polemiche sul presunto buco di bilancio delle amministrazioni Rutelli e Veltroni come condizione per l’ingresso del prestigioso professore. E, forse, non servirà neppure ricordare come nella recente corsa al Campidoglio furono gli stessi vertici del Pd a rinfacciare il passato per così dire arrembante dello stesso Alemanno, e la croce celtica orgogliosamente esibita al collo ( non doveva essere un argomento decisivo se poi sindaco è diventato lui).
Vincono i messaggi semplificati e ciò che tutti avranno capito leggendo i giornali non sono le sottigliezze. Ma che Amato collabora con Alemanno. Bassanini con Calderoli. Bassolino con Berlusconi. Torniamo al punto: siamo sicuri che gli elettori del Pd la prenderanno bene? Si dirà: è il modello Sarkozy. Non è stato forse il tanto ammirato presidente francese a promuovere una commissione per modernizzare il paese con dentro il meglio della destra e della sinistra? Di là Sarkozy e Attali. Di qua Alemanno (quello che se la prende con i poveracci che frugano nei cassonetti) e Calderoli (quello della porcata elettorale e delle magliette anti-Islam). Bè, il suono non è proprio lo stesso.
Non siamo posseduti dalla paranoia di chi vede inciuci dappertutto. E non pensiamo affatto che la politica migliore sia quella del muro contro muro. C’interroghiamo piuttosto sull’uso strumentale del dialogo da parte di non ci crede e mira soltanto all’indebolimento delle ragioni altrui. Scrive Edmondo Berselli sull’ultimo numero dell’«Espresso» che il discorso sulle riforme (federalismo, Costituzione, giustizia) non sono in questo momento la vera priorità del Pd. Mentre la priorità effettiva «è contrastare l’azione di una maggioranza politica che potrebbe costringere il Pd ha diventare effettivamente, come ha detto Massimo D’Alema, una minoranza strutturale nel Paese e ad aggregarsi alla maggioranza, secondo il lessico del Cavaliere».
Temiamo che sia questo il vero problema.
apadellaro@unita.it
COMMENTO
E' esattamente quello che sta accadendo. A contrastare la corazzata PdL è rimasta solo l'Italia dei Valori di Antonio Di Pietro e io sto con lui.
Gli altri vadano pure a fare in c...

Nessun commento:
Posta un commento