Marco Letizia
Il Corriere della Sera
29 settembre 2008
Il buon capo è quello che sa tirare fuori il meglio dai propri collaboratori riuscendo a valorizzarli
MILANO - Conflitti, contrasti, malumori. La vita in un qualsiasi ufficio non è sempre semplice. E gran parte della responsabilità è sulle spalle di chi quell’ufficio è chiamato dirigerlo. Vale a dire il capo. Un ruolo quello del capo, che, mai come oggi è messo in discussione. Dalle aziende, dai lavoratori, dalla società.
Il capo ideale è quello che, come un allenatore, (nella foto Josè Mourinho) sa tirare fuori il meglio dai propri collaboratori (Fotopress)
Venuti meno i modelli tradizionali, non esiste più un solo modo per essere capo. Ma qual è il capo ideale e cosa deve fare un capo per essere un buon capo? A queste ed altre domande risponde il libro-ricerca “Che capo vuoi?” a cura di Walter Passerini (giornalista del Sole 24 e ideatore del Corriere Lavoro, storico supplemento del Corriere della Sera) e Marco Rotondi (ingegnere e psicologo, presidente dell’Istituto europeo di neurosistemica) edito da Guerini e Associati.
LA CRISI DEL CAPO - Il libro ha un doppio volto. Da un lato ci fa capire i perché della necessità di rimettere in discussione la figura del capo, dall’altro attraverso i risultati, di un duplice indagine sul campo, qualitativa e quantitativa, ci permette di individuare che tipo di capo vuole il dipendente. Infatti la crisi del ruolo di chi è chiamato a guidare un ufficio o un’impresa nasce dal fatto che spesso il capo non sa cosa vuol dire essere un capo. Naturalmente cerca di raggiungere gli obiettivi che gli vengono richiesti, ma non viene quasi mai valutato per ciò che è riuscito a creare: un team affiatato, buone relazioni all’interno di un ufficio, un organizzazione efficiente, la capacità di far cogliere ad ognuno dei suoi collaboratori il significato del proprio lavoro. Una valutazione che invece è tanto necessaria perché ci permetterebbe di individuare quei leader in grado di trasformare non più solo le aziende, ma anche la società e il Paese in cui viviamo. Come spiega Passerini: è giunto il momento “non di creare una classe dirigente alla ricerca di alibi, che gioca con la società al puro effetto ottico del rispecchiamento. Ma una vera classe dirigente che è diversa dall’essere ‘dirigenti’. Per questo serve più autocoscienza del ruolo, più coraggio, più consapevolezza. Il Paese ha bisogno di merito e mobilità e di liberarsi dai vecchi meccanismi del potere. Servono nuove palestre della leadership. Le imprese sapranno esserlo e diventarlo?”
LE QUALITA’ DEL BUON CAPO – Ma cosa viene richiesto dai dipendenti al proprio capo per poterlo definire un buon capo? Il libro fornisce una risposta che emerge da una duplice ricerca qualitativa e quantitativa. Premesso che una relazione felice con il proprio capo è giudicata dalla grande maggioranza degli intervistati “come elemento indispensabile per lavorare al meglio” un buon capo secondo i dipendenti deve avere innanzitutto 3 qualità:
1) Avere interesse reale per i propri collaboratori, vale a dire, da un lato saper stabilire un confronto vero con chi lavora con lui, dall’altro, saper rimanere autentico.
2) Essere in grado di mandare avanti un rapporto di fiducia reciproca.
3) Essere in grado di conferire deleghe chiare ai propri collaboratori
IL CAPO IDEALE – Accanto all’indagine qualitativa emerge però anche quella quantitativa, realizzata analizzando le risposte di oltre 190.000 dipendenti contattati via web. Dall’indagine emerge che la figura ideale di capo è per il dipendente italiano medio quella di un uomo, italiano cinquantenne. Il capo inoltre a detta dei collaboratori deve avere altre importanti caratteristiche:
1) Deve agire come un coach, vale a dire saper valorizzare il potenziale dei collaboratori
2) Deve avere un atteggiamento da team player vale a dire “orientato al raggiungimento del risultato attraverso la valorizzazione delle competenze del gruppo e la delega”.
3) Deve saper supportare la ricerca di soluzioni innovative attraverso la sintesi e la sperimentazione;
4) Deve saper valorizzare le idee dei collaboratori e dare la possibilità di lavorare in autonomia;
5) Deve essere in grado di valutare i propri collaboratori gestendo il processo di feedback e misurando i risultati portati da ognuno;
6) Deve saper stimolare il miglioramento trasferendo delle certezze;
7) Deve saper gestire i collaboratori creando spirito di squadra e appianando i conflitti;
8) Deve saper valorizzare i risultati della squadra anche verso gli altri capi.
UN CAPO DIVERSO PER DIVERSE SITUAZIONI – Ma anche se le linee guida prima tratteggiate forniscono un identikit abbastanza fedele di chi è e come deve agire un buon capo, come spiega Gianni Dell’Orto, presidente di Neusearch, nell’ultimo capitolo del libro, non esiste un capo ideale per tutte le aziende e per tutte le stagioni: “Dopo aver incontrato e intervistato almeno 13.000 capi sono giunto alla conclusione che a seconda della situazione esiste un capo che funziona meglio.Quindi le diverse situazioni esigono diversi tipi di capo”.
Il capo ideale è quello che, come un allenatore, (nella foto Josè Mourinho) sa tirare fuori il meglio dai propri collaboratori (Fotopress)
Venuti meno i modelli tradizionali, non esiste più un solo modo per essere capo. Ma qual è il capo ideale e cosa deve fare un capo per essere un buon capo? A queste ed altre domande risponde il libro-ricerca “Che capo vuoi?” a cura di Walter Passerini (giornalista del Sole 24 e ideatore del Corriere Lavoro, storico supplemento del Corriere della Sera) e Marco Rotondi (ingegnere e psicologo, presidente dell’Istituto europeo di neurosistemica) edito da Guerini e Associati.
LA CRISI DEL CAPO - Il libro ha un doppio volto. Da un lato ci fa capire i perché della necessità di rimettere in discussione la figura del capo, dall’altro attraverso i risultati, di un duplice indagine sul campo, qualitativa e quantitativa, ci permette di individuare che tipo di capo vuole il dipendente. Infatti la crisi del ruolo di chi è chiamato a guidare un ufficio o un’impresa nasce dal fatto che spesso il capo non sa cosa vuol dire essere un capo. Naturalmente cerca di raggiungere gli obiettivi che gli vengono richiesti, ma non viene quasi mai valutato per ciò che è riuscito a creare: un team affiatato, buone relazioni all’interno di un ufficio, un organizzazione efficiente, la capacità di far cogliere ad ognuno dei suoi collaboratori il significato del proprio lavoro. Una valutazione che invece è tanto necessaria perché ci permetterebbe di individuare quei leader in grado di trasformare non più solo le aziende, ma anche la società e il Paese in cui viviamo. Come spiega Passerini: è giunto il momento “non di creare una classe dirigente alla ricerca di alibi, che gioca con la società al puro effetto ottico del rispecchiamento. Ma una vera classe dirigente che è diversa dall’essere ‘dirigenti’. Per questo serve più autocoscienza del ruolo, più coraggio, più consapevolezza. Il Paese ha bisogno di merito e mobilità e di liberarsi dai vecchi meccanismi del potere. Servono nuove palestre della leadership. Le imprese sapranno esserlo e diventarlo?”
LE QUALITA’ DEL BUON CAPO – Ma cosa viene richiesto dai dipendenti al proprio capo per poterlo definire un buon capo? Il libro fornisce una risposta che emerge da una duplice ricerca qualitativa e quantitativa. Premesso che una relazione felice con il proprio capo è giudicata dalla grande maggioranza degli intervistati “come elemento indispensabile per lavorare al meglio” un buon capo secondo i dipendenti deve avere innanzitutto 3 qualità:
1) Avere interesse reale per i propri collaboratori, vale a dire, da un lato saper stabilire un confronto vero con chi lavora con lui, dall’altro, saper rimanere autentico.
2) Essere in grado di mandare avanti un rapporto di fiducia reciproca.
3) Essere in grado di conferire deleghe chiare ai propri collaboratori
IL CAPO IDEALE – Accanto all’indagine qualitativa emerge però anche quella quantitativa, realizzata analizzando le risposte di oltre 190.000 dipendenti contattati via web. Dall’indagine emerge che la figura ideale di capo è per il dipendente italiano medio quella di un uomo, italiano cinquantenne. Il capo inoltre a detta dei collaboratori deve avere altre importanti caratteristiche:
1) Deve agire come un coach, vale a dire saper valorizzare il potenziale dei collaboratori
2) Deve avere un atteggiamento da team player vale a dire “orientato al raggiungimento del risultato attraverso la valorizzazione delle competenze del gruppo e la delega”.
3) Deve saper supportare la ricerca di soluzioni innovative attraverso la sintesi e la sperimentazione;
4) Deve saper valorizzare le idee dei collaboratori e dare la possibilità di lavorare in autonomia;
5) Deve essere in grado di valutare i propri collaboratori gestendo il processo di feedback e misurando i risultati portati da ognuno;
6) Deve saper stimolare il miglioramento trasferendo delle certezze;
7) Deve saper gestire i collaboratori creando spirito di squadra e appianando i conflitti;
8) Deve saper valorizzare i risultati della squadra anche verso gli altri capi.
UN CAPO DIVERSO PER DIVERSE SITUAZIONI – Ma anche se le linee guida prima tratteggiate forniscono un identikit abbastanza fedele di chi è e come deve agire un buon capo, come spiega Gianni Dell’Orto, presidente di Neusearch, nell’ultimo capitolo del libro, non esiste un capo ideale per tutte le aziende e per tutte le stagioni: “Dopo aver incontrato e intervistato almeno 13.000 capi sono giunto alla conclusione che a seconda della situazione esiste un capo che funziona meglio.Quindi le diverse situazioni esigono diversi tipi di capo”.
3 commenti:
Sarà pur tutto vero, ma attenzione ai capi diabolici ! ;-)
DIFFICILE...trovare un buon capo!
Fai prima a trovare un ago in un pagliaio.
Madda
Chiunque è interessato alla questione, meglio al problema di un capo stronzo, clicchi sul primo commento e troverà un libro che spiega la materia e dà qualche soluzione (credo).
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