domenica 28 settembre 2008

Il Cavaliere e il suo ministro all'attacco. "Questi giudici non ci fermeranno"



Liana Milella
La Repubblica


PARMA - Parzialmente persa. Diciamo persa al 60 per cento. Ma vinta, sul piano della tattica processuale e in prospettiva, per il 40 per cento. Se lo dicevano ieri sera, finalmente seduti a cena dopo un estenuante pomeriggio, i legali del Cavaliere, Ghedini e Longo. Il gioco delle probabilità, facevano i due di conto, si chiuderà oggi, quando andrà in scena il processo Mills, quello in cui Berlusconi rischia di più, e dove è coimputato l'avvocato londinese David Mills, accusato di falsa testimonianza e corruzione. Gioco complesso, che intreccia in un'unica partita, le sorti giudiziarie del premier e quelle della riforma della giustizia. Su cui il Quirinale non nasconde le sue preoccupazioni tanto da raccomandare, per l'ennesima volta, la necessità di "riforme condivise".

Studiata a tavolino, mossa su mossa, la strategia dei rinvii incrociati di Niccolò Ghedini per salvare il suo prestigioso cliente fino a ieri sera sembrava sconfitta solo in parte. Certo, e lui è il primo ad ammetterlo, i pm hanno superato la barriera dei giudici e il lodo cammina diritto verso la Consulta. Ma tutto il processo Mediaset si ferma, sia per Berlusconi che per gli altri imputati. E lo stesso potrebbe avvenire stamane per Mills dove a decidere è il giudice "cattivo", la famigerata e ricusata Gandus. Che il conflitto alla Corte venga sollevato di nuovo è scontato, ma la prima decisione presa, quella del giudice D'Avossa, pesa inevitabilmente sulla seconda.

Quando il tribunale è ancora chiuso in conclave Berlusconi a Terni annuncia che "la riforma della giustizia è pronta". Il Guardasigilli Angelino Alfano, a Parma, incassa venti applausi consecutivi dalla platea delle Camere penali e conferma appieno le parole del suo capo, perché "le carriere saranno separate" e non accadrà più che "mentre il giudice e il pm si danno del tu, l'avvocato è costretto a dare a tutti e due del lei".


Un Alfano scatenato: "Vogliamo decidere e non ci fermeremo davanti ai veti dei magistrati", che però si preoccupa soprattutto del "suo" lodo. Prima di parlare chiede affannato "ma si sa qualcosa?" e quando finisce riattacca "ma a Milano hanno deciso?". Tutto dipende da Milano, e lui lo sa bene. La "resa dei conti", come la chiama il presidente dell'Anm Luca Palamara, che in sala resta basito dalla violenza verbale del ministro ("Non l'avevo mai visto così"), matura e cresce tutta in quelle aule di tribunale. Dove Ghedini ha giocato le sue carte sul lodo dando per scontato, come diceva da giorni pubblicamente, "che i pm solleveranno di certo il conflitto". Tutto dipendeva "da cosa avrebbero fatto i giudici". E dalla sorte dei coimputati.

Strategia del rinvio, allora, che fu cara a Previti. Una settimana fa Ghedini tenta il colpo gobbo e fa valere il legittimo impedimento per l'udienza Mills, la prima della ripresa autunnale. Lui è in commissione Giustizia a Montecitorio dove, dall'inizio della legislatura, si sarà visto un paio di volte. L'obiettivo è bloccare il pm De Pasquale e la prima richiesta di ricorso alla Corte contro il lodo. Le polemiche sono dure, ma l'operazione riesce. Ghedini ha un obiettivo. Ottenere che per la prima volta la legittimità del lodo sia eccepita nel processo Mediaset dove il giudice Edoardo D'Avossa ha fama d'essere più equilibrato ed equidistante della Gandus. Obiettivo massimo: bocciare la richiesta dei pm. Obiettivo minimo: bloccare tutto il processo, anche per i coimputati. Ghedini ottiene il secondo. Un esito fondamentale per il caso Mills, dove lo spauracchio è la divisione in due tronconi del processo.

Una condanna per Mills equivarrebbe, visto che il reato è stato commesso in concorso, a una "morale" anche per Berlusconi. Il premier non può permetterselo. Per questo con Alfano e Ghedini, anche ieri, il capo è stato ultimativo: "Comunque vada a finire, non voglio più perdere un solo giorno per la riforma della giustizia. Facciamola. Una volta per tutte". Anche a costo di sfidare il Quirinale. Un Giorgio Napolitano preoccupato, che continua a insistere, inviando un lettera-messaggio alle Camere penali, sulla necessità di "riforme condivise" e che chiama accanto a sé il vicepresidente del Csm Nicola Mancino per ragionare sugli ultimi attacchi contro il Consiglio, accusato duramente da Alfano di "lottizzare" i posti dei magistrati "come si dice che fa la politica". Sul Colle reagiscono all'insegna del più assoluto understatement, ma un fatto è certo, il presidente del Csm è Napolitano e la focosa reprimenda del Guardasigilli ("Sarò naif, ma nella Costituzione, all'articolo 105, non c'è scritto che i posti al Csm si debbano lottizzare") tocca di striscio pure lui. Giusto nel giorno in cui il lodo, che il presidente aveva firmato giudicandolo coerente con le indicazioni della Consulta, finisce di nuovo alla Corte. Ma quel "visto" non era, né è mai stato considerato sul Colle, come esaustivo rispetto ad ulteriori pronunciamenti degli alti giudici.


(27 settembre 2008)

1 commento:

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

Ce n'è d'avanzo per contestare un conflitto di attribuzioni fa poteri dello Stato, fra il Governo e la Magistratura, ma nessuno ha il coraggio di farlo.
E noi andiamo a puttane !
Pardon, nemmeno quello si può più fare !