Loretta Napoleoni
L'Unità
27 settembre 2008
Ma Washington non può permettersi gli effetti speciali, non ha neppure i soldi per salvare le banche, figuriamoci arginare la recessione!
È questo il nocciolo degli scontri politici di questa settimana, zuffe inferocite perché a ridosso delle elezioni americane. La capitale è ormai teatro di lotte fratricide tra le lobby di tutti i tipi e i membri del congresso, invece di fare quadrato come i Padri Fondatori, sono trascinati in negoziazioni che sono violente baruffe elettorali. Le sorti dell’economia, dunque, decideranno chi sarà il nuovo presidente.
Eppure nessun partito è più responsabile dell’altro per l’impoverimento dello Stato e per il cataclisma finanziario che da Wall Street si sta abbattendo sul capitalismo occidentale. Dalla caduta del Muro di Berlino tutti i capi di stato occidentali, da Blair ad Aznar, da Clinton a Berlusconi, hanno progressivamente abbandonato la manovra fiscale.
Come dimenticare la celeberrima frase di Bush padre: «guardate bene le mie labbra, non aumenterò le tasse». Il Tacherismo e la Reagonomics poggiavano sullo sgravio fiscale e la privatizzazione dello Stato, da allora l’incidenza delle imposte dirette sui redditi alti è scemata fino a diventare ridicola. Lo Stato quando ne ha bisogno si indebita, solo la follia irachena è costata all’America 3.000 miliardi di dollari, quasi cinque volte il costo del salvataggio delle banche proposto dalla Riserva Federale e dal Tesoro.
Questa filosofia è anche alla base della delega del funzionamento dell’economia a un branco di laureati delle business school americane ed europee, giovanotti imbottiti di teorie neo-liberiste. Sono state queste stesse scuole che negli anni 80, per giustificare tasse universitarie di 100mila dollari l’anno, hanno diffuso nel mondo l’idea che i loro laureati dovevano percepire stipendi da favola perché in possesso di doti manageriali «speciali».
Ecco i numeri di questa straordinaria campagna pubblicitaria: secondo l’Economic Policy Institute di Washington, nel 2007 i compensi dei manager alla guida delle maggiori società americane erano 275 volte più alti del salario medio degli impiegati, negli anni 70 erano solo 35 volte più alti.
Questa concezione è talmente radicata che la proposta di equiparare i salari di questi signori a quelli dei grandi manager del settore statale è stata criticata da alcuni membri del congresso perché «per far funzionare il piano di salvataggio c’è bisogno delle menti migliori e se riduciamo loro lo stipendio da 5 milioni a 50,000 dollari l’anno le perderemo».
C’è da chiedersi dove andranno tutte queste menti, quale banca è oggi in grado di garantire stipendi da pre-crollo? E non sarebbe forse meglio liberarsi di chi ha portato alla bancarotta i pilastri del capitalismo finanziario? L’ultimo a crollare questa settimana è la Washington Mutual, la maggiore banca americana a fallire, acquistata in extremis da J.P. Morgan Chase, la stessa che la scorsa primavera comprò con i soldi della Riserva Federale la Bearn Stearns.
Nella giungla finanziaria quotidiana gli scenari cambiano in un batter d’occhio, ecco cosa rende questa sceneggiata imprevedibile. Chi è costretto a recitarci, però, per fare previsioni tiene d’occhio alcuni indicatori economici chiave, come il mercato interbancario. Qui le banche si prestano soldi a tassi più alti del tasso d’interesse. Ebbene questo mercato sta giorno dopo giorno scomparendo e il poco contante disponibile è ormai a tassi proibitivi.
Chi ha soldi li deposita nei forzieri delle banche centrali, dove percepisce meno dell’1% d’interesse o compra titoli di stato. Il motivo è semplice: il mercato non si fida più del management privato, alla guida del processo di salvataggio vuole uno stato che si accolli tutte le responsabilità. E la Riserva Federale ed il Tesoro sanno bene cosa vuol dire questo voto di sfiducia, è per questo che hanno chiesto 400 miliardi di dollari per rivitalizzare il mercato interbancario ma nessuno ha raccolto la richiesta perché invendibile all’elettorato a cinque settimane dal voto. Eppure il pericolo più immediato per l’economia americana e per quella mondiale è che si prosciughi la liquidità interbancaria e le banche si ritrovino senza soldi per far fronte alle operazioni di cassa giornaliere. Cosi iniziò l’assalto alle banche dopo il ’29. A Wall Street c’è già chi sta studiando come meglio inserire questo ricordo nella scenografia della prossima settimana.
27 SETTEMBRE 2008
1 commento:
PENSATE UN PO': OTTO ANNI DI GOVERNO REPUBBLICANO E IL DEBITO PUBBLICO U.S.A. E' SCHIZZATO AL 70% DEL PIL !
IO MI AUGURO CHE VINCA OBAMA.
Posta un commento