La Repubblica
6 settembre 2008
Zygmunt Bauman, nel suo magnifico saggio sulla "Solitudine del cittadino globale", sostiene che nelle società moderne, con il passaggio del controllo sui fattori economici dalle istituzioni rappresentative di governo al libero gioco delle forze di mercato, i ministri dell'economia sono ormai sempre più simili a "cimeli". Icone simboliche di un "centralismo statuale" che non esiste più.
La riflessione torna utile per ragionare su quanto sta accadendo in Italia, a proposito del federalismo fiscale.
Dal giugno scorso il ministro dell'Economia Giulio Tremonti l'ha presentato giustamente come la "madre di tutte le riforme". Una progetto "ad alta intensità politica", sul quale misurare la capacità congiunta di maggioranza e opposizione a trovare larghe intese al servizio del bene collettivo, non dell'interesse particolare.
Ora il nuovo testo della legge delega sul federalismo fiscale ha visto finalmente la luce. Come ha scritto ieri su questo giornale Massimo Riva, si qualifica soprattutto per una clamorosa sorpresa.
Riconosce l'autonomia impositiva ai comuni, attraverso la "razionalizzazione dell'imposizione immobiliare, compresa quella sui trasferimenti della proprietà e di altri diritti reali". Fuori dal burocratese: reintroduce l'Ici, l'imposta comunale sugli immobili che il governo di centrodestra aveva cancellato per tutti i contribuenti con la prima casa, onorando una promessa elettorale di Berlusconi. Nessuno scandalo. E accaduto l'inevitabile.
Il federalismo fiscale si riprende con una mano quello che il governo centrale aveva tolto con l'altra. E la spiegazione è semplice, e una volta tanto davvero bipartisan. I sindaci del Pdl e del Pd si sono ritrovati sulla stessa linea. L'imposizione sugli immobili rappresenta storicamente la prima fonte di incasso per gli enti locali: 42,8 miliardi di euro, di cui solo l'Ici rappresenta il 26% in termini di gettito. Se gli togli quella fonte di entrata, i comuni muoiono. Era chiaro a tutti, fin dall'inizio. Ma il Cavaliere ha voluto onorare comunque il suo patto con gli italiani, stabilendo che il primo atto del suo governo fosse proprio la soppressione definitiva dell'Ici. Ora ha capito che quella promessa, politicamente spendibile, è tecnicamente inesigibile.
E così, con il pretesto della riforma federale, risarcisce i comuni ma tradisce i contribuenti. L'errore non è tanto nella retromarcia di oggi, ma nella fuga in avanti di ieri. Ma qui veniamo al ruolo e alla responsabilità del ministro dell'Economia. Lui è il vero "dominus" di questa partita, perché politicamente ha avuto il merito di lanciare il federalismo come laboratorio di sintesi tra centrodestra e centrosinistra, e perché contabilmente ha ora il compito di indicare le cifre di gettito da devolvere agli enti locali e quelle da indirizzare allo Stato centrale.
Di fronte all'inganno della nuova Ici, e all'impianto fiscalmente instabile e costituzionalmente discutibile del federalismo, vorremmo rivolgere almeno un paio di rispettose domande a Giulio Tremonti, che su questo come su altri temi spinosi (vedi Alitalia) tace ormai da troppi giorni.
Prima domanda. Il federalismo fiscale è un obiettivo sul quale convergono tutte le forze presenti in Parlamento, ma ora stanno venendo al pettine i nodi veri del progetto: i fondi perequativi per le aree più svantaggiate, e soprattutto i costi dell'operazione. Avevamo capito che una delle colonne portanti del nuovo disegno federale sarebbe stata la clausola di salvaguardia sull'invarianza degli oneri a carico dello Stato, e soprattutto sull'invarianza della pressione fiscale a carico dei cittadini.
Ebbene, signor ministro: come si concilia questo obiettivo con la reintroduzione surrettizia dell'Ici, e di altre forme di tassazione sulle proprietà immobiliari? Perché anche sul federalismo dobbiamo scoprire a posteriori il trucco che c'è ma non si vede, con le tasse che aumenteranno invece che diminuire, come è già accaduto con la presentazione del Documento di programmazione Economica di luglio?
Seconda domanda. In campagna elettorale il leader del Popolo delle libertà aveva fatto anche altre suggestive promesse, fiscali e para-fiscali. Una di queste era la soppressione delle province. Eravamo in pieno rigurgito populista contro le "caste": quale impegno più sensato, se non quello di eliminare un ente locale che nella migliore delle ipotesi duplica funzioni già assorbite da comuni e regioni, e nella peggiore brucia risorse per tenere in piedi piccole consorterie di sottogoverno?
Un'altra promessa era la soppressione del bollo auto. Eravamo in pieno raid petrolifero, con il prezzo della benzina in corsa prolungata: quale impegno più giusto, se non quello di eliminare un iniquo e odioso balzello, su uno dei beni "più amati dagli italiani"? Ebbene, signor ministro: come mai nel testo del federalismo fiscale si parla, proprio in favore delle province, di "razionalizzazione dell'imposizione fiscale relativa agli auotoveicoli e alle accise sulla benzina e il petrolio"?
Che vuol dire, in italiano? Forse significa che invece di eliminare le province e cancellare il bollo auto (come promesso prima del 13 aprile) il governo compie il capolavoro di salvare capra e cavoli, attribuendo alle prime il gettito del secondo? E se è così, come dobbiamo giudicare questo paradossale artificio, se non l'ennesimo inganno ai danni degli elettori? Non sappiamo se Tremonti ci risponderà. Ma poiché sappiamo che non è e non si sente affatto un "cimelio", secondo la felice definizione di Bauman, confidiamo che qualche spiegazione, prima o poi, possa e debba darla agli italiani.
1 commento:
Domande imbarazzanti. Non mi risulta che il ministro Tremonti abbia risposto, è troppo occupato coi problemi della macro-economia.
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