sabato 18 ottobre 2008

GIUSEPPE D'AVANZO
LA REPUBBLICA


Il partito democratico non voterà per la Corte Costituzionale Gaetano Pecorella, già avvocato di Berlusconi e creativo autore di leggi ad personam favorevoli al suo eccellentissimo assistito. È una buona cosa, e sarebbe eccellente se si sciogliesse di netto il nodo che stringe due questioni che stanno insieme come pere e mele. È di tutta evidenza che il peso istituzionale della nomina di un giudice della Consulta non può avere riscontro nell'elezione di una commissione politico-parlamentare di garanzia come è la Vigilanza Rai.

Sono grandezze non paragonabili. Per la Vigilanza, che è - per le regole - appannaggio dell'opposizione (tanto più che il presidente del Consiglio controlla direttamente o indirettamente sei network televisivi) è sufficiente che la maggioranza non faccia mancare il numero legale per risolvere il problema. Per la Consulta occorre il consenso qualificato di due terzi del Parlamento. La "qualità" delle maggioranze necessarie dice da sola che la Consulta non può essere accostata, se non con uno sgorbio istituzionale, alla Vigilanza e sarebbe un'indecente tentazione di sbrigare l'affare nello stesso tempo e con un baratto bipartisan. Non solo per ragioni formali, che pure hanno il loro peso.

La necessità di affrontare, separatamente e con altri criteri, intenzioni e consapevolezza, la scelta del giudice costituzionale interpella l'equilibrio e la natura stessa dell'architettura dello Stato, sollecitata in questi primi mesi del Berlusconi IV, da molte tensioni. Vediamo in quale "quadro" politico-istituzionale cade la nomina costituzionale.

Il presidente del Consiglio ha deciso di affidare il suo governo non al potere legislativo della rappresentanza parlamentare di cui può non tenere conto (onorevoli e senatori sono nominati da un'oligarchia e non scelti dal popolo), ma a un potere "personalizzato" che agisce, rafforzato dalla legittimità popolare, con misure aventi forza di legge (ma diverse dalla legge perché particolari e non universali, vedi i decreti "Rifiuti" o "Alitalia"). Le novità della stagione sono dunque tre: l'assoluta prevalenza dell'esecutivo sul legislativo, l'abuso del decreto legge (vedi il provvedimento sulla riforma della scuola), la debolezza degli "argini" (la legge sospesa in nome della "decisione"; i mercati in crisi profonda; la giustizia soffocata dalla sue inefficienze e dal conflitto scatenato dalla politica).

Quel che abbiamo sotto gli occhi è la crisi della divisione dei poteri, la debolezza di un'idea di equilibrio del sistema. Berlusconi, sostenuto da un consenso sempre più ampio (se i sondaggi hanno un credito) non nasconde la sua insofferenza per le prerogative delle istituzioni di garanzia (Quirinale, Corte Costituzionale, Authority). Non vuole che indeboliscano o limitino la sua legittimità. Vi dovrebbero soggiacere. È un pensiero che - direbbero i costituzionalisti - piega il pactum societatis che è la Costituzione (l'accordo sulle condizioni dello stare insieme) al pactum subiectionis (il reciproco impegno a ubbidire alle decisioni del governo legittimo).

Ora, si può decidere della nomina senza tener conto di queste novità? Il dispetto della maggioranza per gli organi di garanzia dovrebbe essere elemento decisivo per chi deve integrare la Consulta. Chi è chiamato a quella responsabilità deve tenere in giusto conto (come ha detto in passato Gustavo Zagrebelsky) che "la Corte non è e deve temere di essere, o anche solo di apparire, organo della politica" perché la giustizia costituzionale (il controllo giudiziario su procedure e contenuti delle decisioni) "non è la prosecuzione in altra forma della contesa che si svolge in Parlamento e tra i partiti politici. Il massimo tradimento di questi chierici che sono i giudici costituzionali sarebbe quello di trasformarsi in una terza camera dove continua per interposte persone il confronto tra le parti del conflitto politico".

Solo una Consulta "al di sopra" e "al di là" della politica potrà essere (e apparire) il luogo più adeguato per proteggere una dialettica istituzionale che può frantumarsi in una collisione tra le due idee opposte di Stato che sono oggi in campo.

Bisogna allora chiedersi se il metodo partisan (il Pdl propone all'opposizione la nomina alla Consulta di "uno di noi" per avere in cambio alla Vigilanza "uno di voi") rafforzi o fiacchi la credibilità e l'indipendenza della Corte. Come è evidente, il problema va ben oltre il curriculum inadeguato di Gaetano Pecorella. Si discute di un metodo e della posta in gioco. Non deve sorprendere che la maggioranza voglia rendere la nomina quanto più possibile "partigiana". Non è un paradosso. Quanto più la Corte diventa "politica", e quindi "faziosa", tanto più apparirà "terza camera", luogo di appartenenze che ne cancella il carattere di garanzia: la Consulta come il Parlamento, ma senza la sua legittimità. Quindi, non giudici, non custodi delle regole, ma attori del conflitto.

In assenza di un'idea viva e condivisa di una equilibrata divisione dei poteri, sarebbe un esito dagli effetti liquidatori. Se la Corte costituzionale non è "al di là" e "al di sopra" della contesa, ma con i piedi, la testa e il cuore nello scontro politico, è un epilogo fisiologico accettarne la subalternità al Parlamento e la soggezione al governo. Qualunque nome estratto dal teatro politico, quale che sia il suo prestigio, non potrà spezzare quel circuito vizioso. Al contrario ne accentuerà la "partigianeria". Sarebbe per la Consulta una catastrofica crisi perché una Corte costituzionale politicamente schierata o anche soltanto in apparenza schierata - sono parole ancora di Zagrebelsky - "meriterebbe di essere soppressa perché, se a favore della maggioranza, non se ne capirebbe l'utilità se non come inganno dell'opinione pubblica; se contro, se ne capirebbe l'utilità, ma mancherebbe totalmente di legittimità".

Come si è già detto in altre situazioni analoghe, per l'opposizione e per quella parte di maggioranza che ancora crede nella essenziale funzione della Costituzione c'è un solo modo per sottrarsi a questo gioco a perdere: l'abbandono delle logiche mediocri del sottogoverno e del baratto poi detto "bipartisan". Si esalti, al contrario, la natura nonpartisan della scelta del giudice costituzionale. Non conti l'appartenenza politica. Si aprano le porte a chi possa essere e apparire "straniero" alla politica, se si vuole conservare alla Consulta il compito di conciliare i conflitti in modo pacifico e soprattutto credibile.

(16 ottobre 2008)

Nessun commento: