mercoledì 22 ottobre 2008

IL TRASFERIMENTO DELLA SANITA' PENITENZIARIA ALLE ASL



di Luigi Morsello

A mio giudizio una decisione che avrà effetti nefasti, quella di trasferire il servizio sanitario penitenziario alle ASL, e cioè al Servizio Sanitario Nazionale.
Non è temerario ipotizzare una indecorosa marcia indietro, solo che il Governo e le forze politiche dell’arco costituzionale abbiano, avessero a cuore il funzionamento dell’esecuzione penale.
Purtroppo, oggi spirano "venti di guerra" contro la “Gozzini” (legge n. 663 del 1986), nell’ambito di un generale progetto di modificazione dell’assetto dello Stato in tutte le sue articolazioni fondamentali, che lambisce addirittura la Carta Costituzionale.
Questo progetto si alimenta della politica c.d. “degli annunci” e della esaltazione di fenomeni criminali marginali, meglio definita come “politica della paura”, che inevitabilmente si sta abbattendo anche sull’ordinamento penitenziario del 1975.
L’iter legislativo che ha innescato questo trasferimento di competenze ebbe inizio con la legge 30 novembre 1998 n. 419, il cui art. 5 (riordino della medicina penitenziaria) recita:
“1. Il Governo è delegato ad emanare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi di riordino della medicina penitenziaria, con l'osservanza dei seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) prevedere specifiche modalità per garantire il diritto alla salute delle persone detenute o internate mediante forme progressive di inserimento, con opportune sperimentazioni di modelli organizzativi anche eventualmente differenziati in relazione alle esigenze ed alle realtà del territorio, all'interno del Servizio sanitario nazionale, di personale e di strutture sanitarie dell'amministrazione penitenziaria;
b) assicurare la tutela delle esigenze di sicurezza istituzionalmente demandate all'amministrazione penitenziaria;
c) prevedere l'organizzazione di una attività specifica al fine di garantire un livello di prestazioni di assistenza sanitaria adeguato alle specifiche condizioni di detenzione o internamento e l'esercizio delle funzioni di certificazione rilevanti a fini di giustizia;
d) prevedere che il controllo sul funzionamento dei servizi di assistenza sanitaria alle persone detenute o internate sia affidato alle regioni ed alle aziende unità sanitarie locali;
e) prevedere l'assegnazione, con decreto del Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, al Fondo sanitario nazionale delle risorse finanziarie, relative alle funzioni progressivamente trasferite, iscritte nello stato di previsione del Ministero di grazia e giustizia, nonchè i criteri e le modalità della loro gestione.
2. Entro diciotto mesi dalla scadenza del termine di cui al comma 1, il Governo adotta, anche con riferimento all'esito delle sperimentazioni, uno o più decreti legislativi recanti disposizioni integrative e correttive dei decreti legislativi di cui al comma 1, sentito il parere delle competenti Commissioni parlamentari.
3. L'esercizio della delega di cui al presente articolo avviene attraverso l'esclusiva utilizzazione delle risorse attualmente assegnate al Ministero di grazia e giustizia secondo quanto disposto dal comma 1, lettera e), e senza ulteriori oneri a carico del bilancio dello Stato.”.
Nel 1998 il direttore generale f.,f. era Paolo Mancuso, oggi procuratore della Repubblica a Nola, ministro guardasigilli Oliviero Diliberto, ministro della Sanità Rosy Bindi, presidente del consiglio Massimo D’Alema.
Non è dato conoscere in base a quali elemento fattuali, indagini e studi preparatori si ritenne indispensabile prevedere la sottrazione di questo importante settore, direi addirittura strategico, dell’amministrazione penitenziaria, per attribuirlo come sopra scritto.
All’epoca me lo sono chiesto ed ho chiesto, senza ottenere una risposta soddisfacente. Certo è che fu una scelta miope, dettata (forse) da buone intenzioni (apparentemente tali) ma, si sa, “la strada che porta all’inferno è lastricata di buone intenzioni”.
La delega trovò attuazione nel decreto legislativo 22 giugno 1999 n. 230, il cui art. 1 (Diritto alla salute dei detenuti e degli internati) stabilisce la linea di principio al comma 1:
“I detenuti e gli internati hanno diritto, al pari dei cittadini in stato di libertà, alla erogazione delle prestazioni di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione, efficaci ed appropriate, sulla base degli obiettivi generali e speciali di salute e dei livelli essenziali e uniformi di assistenza individuati nel Piano sanitario nazionale, nei piani sanitari regionali e in quelli locali.”.
Ebbene, si confronti con quanto recita l’art. 11 della legge 26 luglio 1975 n. 354 (Ordinamento penitenziario), il cui comma 1 afferma:
“Ogni istituto penitenziario è dotato di servizio medico e di servizio farmaceutico rispondenti alle esigenze profilattiche e di cura della salute dei detenuti e degli internati; dispone, inoltre, dell'opera di almeno uno specialista in psichiatria.”.
La sintesi in linea di principio del legislatore del 1975 rispetto a del 1998 ed a quello delegato del 1999 dimostra non solo che ancora in quel tempo si legiferava in modo chiaro ma anche che la filosofia che presiede alla loro formulazione è identica.
In attuazione di questa norma l’art. 85, comma 7, d. lgv. 30.6.2000 n. 230, radica nel direttore la competenza a disporre il trasferimento di un detenuto, disponendo che:
“Nei casi di assoluta urgenza, determinata da motivi di salute, il direttore provvede direttamente al trasferimento, informandone immediatamente l'autorità competente.”, mentre negli altri casi sempre l’art. 11, comma 2, L. 354/1975 cit. dispone che:
“Ove siano necessarie cure o accertamenti diagnostici che non possono essere apprestati dai servizi sanitari degli istituti, i condannati e gli internati sono trasferiti, con provvedimento del magistrato di sorveglianza, in ospedali civili o in altri luoghi esterni di cura. Per gli imputati, detti trasferimenti sono disposti, dopo la pronunzia della sentenza di primo grado, dal magistrato di sorveglianza; prima della pronunzia della sentenza di primo grado, dal giudice istruttore, durante l'istruttoria formale; dal pubblico ministero, durante l'istruzione sommaria e, in caso di giudizio direttissimo, fino alla presentazione dell'imputato in udienza; dal presidente, durante gli atti preliminari al giudizio e nel corso del giudizio; dal pretore, nei procedimenti di sua competenza; dal presidente della corte di appello, nel corso degli atti preliminari al giudizio dinanzi la corte di assise, fino alla convocazione della corte stessa e dal presidente di essa successivamente alla convocazione”.
Sembra a chi scrive, forte anche della sua esperienza quarantennale alla direzione di alcuni carceri, che maggiore e miglior tutela alla salute dei detenuti non potesse essere offerta, soprattutto ove si consideri che era attivo all’interno di ogni carcere un servizio di guardia medica, assicurata la presenza di un medico incaricato, il cui stato giuridico era disciplinato dalla legge 9 ottobre 1970 n. 740, recante l’Ordinamento delle categorie di personale sanitario addetto agli istituti di prevenzione e pena non appartenenti ai ruoli organici dell'Amministrazione penitenziaria. La stessa legge disciplinava anche il servizio di guardia medica (art. 51), degli specialisti (art. 52) ed infermieristico (art. 53), mentre disciplinava il servizio dei farmacisti e veterinari nella sezione II dall’art. 43 all’art. 47.
Se doglianze vi erano da registrare non potevano dovevano coinvolgere l’assetto normativo ma quello attuativo, che richiedeva la destinazione di maggiori risorse specifiche per questi settori.
Il comma 1, lett. a) della legge-delega nulla innova sotto il profilo dei principi, come anche nella successiva lettera b), relativa alle esigenze di sicurezza dell’amministrazione penitenziaria.
Le norme richiamate non sono state né innovate né caducate, anche se la legge 740/1970 cadrà per abrogazione implicita.
Tornando al d. lgv. 230/1999 citato, si osserva che il comma 2 dell’art. 1 recita: “Il Servizio sanitario nazionale assicura, in particolare, ai detenuti e agli internati:
a) livelli di prestazioni analoghi a quelli garantiti ai cittadini liberi;
b ) azioni di protezione, di informazione e di educazione ai fini dello sviluppo della responsabilità individuale e collettiva in materia di salute;
c ) informazioni complete sul proprio stato di salute all'atto dell'ingresso in carcere, durante il periodo di detenzione e all'atto della dimissione in libertà;
d ) interventi di prevenzione, cura e sostegno del disagio psichico e sociale;
e ) l'assistenza sanitaria della gravidanza e della maternità, anche attraverso il potenziamento dei servizi di informazione e dei consultori, nonchè appropriate, efficaci ed essenziali prestazioni di prevenzione, diagnosi precoce e cura alle donne detenute o internate;
f ) l'assistenza pediatrica e i servizi di puericoltura idonei ad evitare ogni pregiudizio, limite o discriminazione alla equilibrata crescita o allo sviluppo della personalità, in ragione dell'ambiente di vita e di relazione sociale, ai figli delle donne detenute o internate che durante la prima infanzia convivono con le madri negli istituti penitenziari.”
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Non riesco a capire in cosa si differenziano sotto il profilo sostanziale le norme in esame, salvo a voler considerare le seconde come una integrazione o una esplicitazione delle prime, delle quali non si sentiva affatto il bisogno.
Continuando ad esaminare il d. lgv. 230/1999 si osserva che la terminologia utilizzata [quale “condizioni di protezione della salute dei detenuti e degli internati”, “sistemi di informazione ed educazione sanitaria”, (art. 2, comma 1), “princìpi di globalità dell'intervento sulle cause di pregiudizio della salute”, “integrazione della assistenza sociale e sanitaria e di garanzia della continuità terapeutica” (art. 2. comma 2)] appare molto fumosa, mentre la novità dirompente è la seguente: “Alla erogazione delle prestazioni sanitarie provvede l'Azienda unità sanitaria locale. L'amministrazione penitenziaria provvede alla sicurezza dei detenuti e a quella degli internati ivi assistiti.” (art. 2. comma 3).
Verrebbe fatto di chiedersi: davvero ?
E ancora: il legislatore ci ha preso in giro o è involontariamente comico ?
Prima cosa si faceva nelle carceri ?
Il pericolo si individua iniziando l’esame dell’art. 3 (Competenze in materia sanitaria):
1. Il Ministero della sanità esercita le competenze in materia di programmazione, indirizzo e coordinamento del Servizio sanitario nazionale negli istituti penitenziari.
2. Le regioni esercitano le competenze in ordine alle funzioni di organizzazione e programmazione dei servizi sanitari regionali negli istituti penitenziari e il controllo sul funzionamento dei servizi medesimi.
3. Alle Aziende unità sanitarie locali sono affidati la gestione e il controllo dei servizi sanitari negli istituti penitenziari. Il direttore generale risponde della mancata applicazione e dei ritardi nell'attuazione delle misure previste ai fini dello svolgimento dell'assistenza sanitaria nei suddetti istituti.
4. L'amministrazione penitenziaria segnala alle Aziende unità sanitarie locali e, ai fini dell'esercizio dei poteri sostitutivi, alle regioni e al Ministero della sanità, la mancata osservanza delle disposizioni del presente decreto legislativo.”
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Ecco fatto, il misfatto è compiuto: la polverizzazione degli interventi e delle responsabilità !
Come ? Ma è evidente: Il ministero della sanità programma, indirizza e coordina; le regioni organizzano, programmano e controllano; le Aziende Sanitarie locali gestiscono e controllano i servizi sanitari degli istituti penitenziari; la derelitta (involontariamente ?) amministrazione penitenziaria segnala alle ASL.
Una bella strategia ! Finalizzata a che cosa ?
A migliorare l’assistenza ai detenuti, è ovvio !
Ma ne possiamo essere così sicuri ?
Il successivo art. 4 (Competenze in materia di sicurezza) prevede, in base a numerosi ‘concerti’ “un contingente di personale medico e sanitario da destinare all'Amministrazione penitenziaria”.
Ottimo.
L’art. 6 (Personale e strutture) si preoccupa di trasferire personale e strutture dall’amministrazione penitenziaria al ministero della sanità, l’art. 7 (Trasferimento di risorse) chiarisce già nell’intestazione di cosa si tratta, che poi è a mio avviso il vero nocciolo della questione, l’art. 8 prevede una fase sperimentale.
Insomma, è concertato tutto per benino.
Chiude la panoramica della fase normativa il D.P.C.M. 1° aprile 2008 n. 32106 (una data, un programma), che si preoccupa di gestire dal punto di vista operativo (art. 1) “le modalità, i criteri e le procedure per il trasferimento al Servizio sanitario nazionale delle funzioni sanitarie, delle risorse finanziarie, dei rapporti di lavoro, delle attrezzature, arredi e beni strumentali relativi alla sanità penitenziaria.”.
Questo D.P.C.M. 1 aprile 2008 è a sua volta attuazione del comma 283 dell’art. 2 legge 24 dicembre 2007 n. 244, e prevede che “sono definiti, nell’ambito dei livelli essenziali di assistenza previsti dalla legislazione vigente e delle risorse finanziarie”, relativamente a:
  • il trasferimento al Servizio sanitario nazionale di tutte le funzioni sanitarie svolte dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria e dal Dipartimento della giustizia minorile del Ministero della giustizia;
  • le modalità e le procedure ( … ) per il trasferimento al Servizio sanitario nazionale dei rapporti di lavoro in essere ( … ) relativi all’esercizio di funzioni sanitarie nell’ambito del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria e del Dipartimento della giustizia minorile del Ministero della giustizia, con contestuale riduzione delle dotazioni organiche dei predetti Dipartimenti in misura corrispondente alle unità di personale di ruolo trasferite al Servizio sanitario nazionale;
  • il trasferimento al Fondo sanitario nazionale ( … ) delle risorse finanziarie ( …);
  • il trasferimento delle attrezzature, degli arredi e dei beni strumentali di proprietà del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria e del Dipartimento della giustizia minorile del Ministero della giustizia afferenti alle attività sanitarie.

Viene fatto di chiedersi quali possono essere state le motivazioni profonde di una simile operazione e le risposte che mi dò sono di due ordini:
di matrice ideologica, considerato che il tutto si è svolto con governi di centro-sinistra;
di matrice di gestione del potere, considerato che le somme da utilizzare a tale scopo sono complessivamente, per il periodo 2008-2009-2010, n. (157.8 + 162.8 + 167.80) 488,80 milioni di euro.
Se e quando qualcosa andrà male, ci sarà un rimpallo di responsabilità ed a soffrirne sarà soprattutto la categoria che si voleva maggiormente proteggere: i detenuti.
Luigi Morsello


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