sabato 18 ottobre 2008

La Casa di Reclusione per il lavoro all'aperto di Gorgona Isola

di Luigi Morsello

QUATTRO

Aldo Moro fu sequestrato il 16 marzo 1978 e fu trovato ucciso nel bagagliaio di un Renault 4 a Roma il 9 maggio successivo.
Il suo sequestro durò 55 giorni.
Il 16 marzo 1978 era un Giovedì e noi ci trovavamo in missione a Gorgona. Il 9 maggio 1978 era un martedì e ancora una volta eravamo in missione a Gorgona.
La notizia del sequestro di Aldo Moro la apprendemmo dalla televisione, il segnale arrivava a Gorgona.
In precedenza ne erano accadute di nefandezze, barbare uccisioni, sequestri, rapine a scopo del c.d. “autofinanziamento”, attentati, gambizzazioni (famosissimo quello di Indro Montanelli del 2 giugno 1977), ormai avevamo imparato a convivere con la paura e sembrava che nulla dovesse colpirci più di tanto (non sto usando il “plurale majestatis”).
Però quella vicenda ci gettò nello sgomento, prima per lo spicco della figura di Aldo Moro, poi per la dinamica del sequestro, quando fu ricostruita dalla stampa con grande enfasi, che la definì una vera e propria azione militare, pianificata fin nei minimi dettagli.
Non so dire quanto sia stato vero, so dire però che ci credemmo e lo scoraggiamento fu totale.
Quando iniziarono le trattative per tentare di salvare la vita ad Aldo Moro ancora una volta credevamo che l’avrebbero fatto, invece lo statista pugliese fu abbandonato al suo destino, nonostante l’accorato, intenso, drammatico appello di papa Paolo VI.
Ricordo che, accedendo a Roma per motivi di servizio, trovai una città blindata, roba da non crederci, come se fossimo in stato di guerra.
A noi non restava che continuare a fare il proprio dovere, più o meno bene o, se si preferisce, più o meno male. E a continuare la nostra vita.
I lavori della “sezione speciale” voluta dal gen. Carlo Alberto Dalla Chiesa erano iniziati. Ricordo che erano stati assegnati con contratto a trattativa privata, che il costo iniziale era di un miliardo e 340 milioni di lire, contratto già firmato prima del mio arrivo in missione, che era stato assegnato ad un società per azioni romana. Aggiungo che io non avevo nessuna speciale competenza per controllarne l’esecuzione e solo un obbligo generico di sorveglianza discendente dal Regolamento di contabilità carceraria.
L’esecuzione di questi lavori motivò il mio repentino e brusco allontanamento da Gorgona, l’incarico di missione fu revocato con fonogramma. Ne dirò dopo.
Per parte nostra, il ritmo di lavoro era sempre lo stesso: dalle ore 8 alle 13, pausa per il pranzo, ripresa del lavoro alle ore 15 fino alle ore 20, cena, ritorno in ufficio fino alle ore 24 in cui il gruppo elettrogeno doveva essere fermato perché asmatico.
La prima volta che ciò accadde rimanemmo al buio in direzione, per buona sorte che avevamo delle torce elettriche, ma il lavoro si interruppe bruscamente. Allora diedi disposizioni di avvertire prima di fermare il gruppo elettrogeno, in modo da terminare quanto stavamo facendo evitando di sprecare il lavoro in gestazione. Vero è che non c’era l’informatizzazione odierna, questo neologismo non era stato ancora creato.
Io ero il primo ad arrivare e l’ultimo ad andare via, aprivo e chiudevo io la direzione.
Personalmente, pensavo e speravo di continuare fino ad ultimazione di ogni lavoro, almeno quelli iniziati, anche se oggi mi rendo conto che sarebbe stato oltremodo gravoso procrastinare ‘sine die’ la missione: ci sarebbero voluti degli anni, come in effetti è accaduto.
F
ra le varie ricostruzioni, vagheggiavo di far effettuare un ‘restauro conservativo’ alla Torre Nuova, una torre medicea del XVII secolo, abbandonata, in disuso, una splendida costruzione che avrebbe potuto ospitare gli uffici di direzione. L’immagine che allego è com’è oggi, dall’esterno. So che adesso ospita gli uffici direzionali, ma la struttura chiara che si vede sulla destra è una nuova costruzione, prima non c’era.
Dunque, ancora una volta è prevalso il cattivo gusto.
L’ho visitata diverse volte, si godeva una vista sul mare splendida, l’impressione era dell’opera dell’uomo che rispettava la natura senza contaminarla e nemmeno modificarla più del necessario. Quel colpo d’occhio era rigenerante, consentiva di ricaricare le energie mentali, cancellava di colpo la stanchezza: un effetto magico.
Un vero peccato avervi aggiunto una costruzione posticcia, ma almeno la struttura originaria è salva. L’interno non saprei, ma sempre meglio dell’abbandono, stava crollando tutto.
Non posso dire di avere scandagliato tutti i più reconditi segreti dell’isola, non ero, non eravamo lì per diporto, molti aspetti li sto scoprendo adesso, nelle mie ricerche di immagini in Internet.
Ho visto che la centrale elettrica progettata assieme all’ing. Novelli è stata realizzata dopo la mia uscita di scena.
Così come i gruppi elettrogeni furono consegnati anch’essi dopo.
C’è in proposito un aneddoto che voglio raccontare, riguarda il direttore che venne al mio posto, si chiamava Bonucci, era stato prima funzionario di ragioneria in servizio a Gorgona, poi era diventato direttore con un concorso interno ed assegnato all’Ufficio 8° (Manutenzione ordinaria e straordinaria dei fabbricati) della vecchia
Direzione generale per gli istituti di prevenzione e pena (Oggi Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria) che aveva sede presso il Ministero di Grazia e Giustizia (oggi solo Giustizia), in via Arenula n. 70.
Ebbene, il rag. Bonucci aveva due manie, quella di fare il geometra e quella di dirigere le operazioni di carico e scarico nel porticciolo dell’isola.
Dirò prima della seconda mania.
Quando arrivò il primo gruppo elettrogeno di 250 KW, con tanto di pontone galleggiante e rimorchiatore, si intromise, con il risultato che il gruppo cadde in acqua, all’interno del porticciolo e lì restò, alla profondità di 10-12 metri, fin quando non venne recuperato, riportato indietro, rimesso in sesto e finalmente consegnato senza altri incidenti.
L’altra mania era di fare il geometra, cioè di stilare perizie e controllare stati di avanzamento. Si dà il caso che i lavori a Gorgona venissero fatti col sistema dei materiali interamente forniti dall’Amministrazione penitenziaria e la mano d’opera, specializzata e non, dall’ing. Giancarlo Novelli, della ditta edile omonima, romano. Le sue fatture erano fatte col criterio della trasformazione della mano d’opera in lavori finiti, conteggiati a misura, in metri lineari e metri cubi. Non ricordo se tali fatture venivano andate al Genio Civile a Livorno, ma penso propri di si, diversamente non potevano essere liquidate. Anzi, adesso preciso: si utilizzava uno specifico prezzario, stilato sempre del Genio Civile.
Ebbene, seppi che Bonucci, una volta assunta al direzione del carcere di Gorgona, sprecò un sacco di tempo a misurare, vagliare, nella inespressa Ma palese era la convinzione di trovare chissà quali brogli, passando al vaglio sia la mia gestione che quella precedente di Martusciello, senza risultato.
Così è se vi pare !
Sull’andamento dei lavori mi teneva aggiornato l’app. Donato Boccardi, addetto alla manutenzione del fabbricato. Boccardi aveva una fissa: i motoscafi veloci che si avvicinavano ad una, due boe di segnalazione, si fermavano pochi minuti per poi ripartire velocissimi nella stessa direzione, non tornavano indietro. Io scrivo motoscafi, ma era sempre uno che si vedeva, il sospetto era che prelevassero sostanze stupefacenti lasciate appese sottacqua alle boe di polistirolo bianco.
Non se ne dava pace. Inoltre, era un agente di polizia giudiziaria e fremeva, voleva andare a vedere.
Prima, non era possibile perché non c’era un mezzo altrettanto veloce da intercettare i motoscafi, ma quando arrivò la famosa pilotina divenne assillante, inutile dirgli che i motoscafi facevano 30-35 nodi di velocità, contro i 20 della pilotina, erano estremamente manovrieri ed in grado di cambiare fulmineamente direzione.
Alla fine cedetti, però volli salire a bordo anch’io. Solo a pensarci mi viene fatto di credere a quanto si diceva sulle isole penitenziarie, del c.d. “complesso del Governatore”, insomma sulle sindromi alienanti che possono indurre a comportamenti irrazionali, come quello che per raccontare. Ma io andavo sul sicuro, per i motivi che ho già esposto, la velocità. Certo, c’era sempre l’incognita, una reazione, ma era difficile, infatti non vi fu.
Inoltre, io non l’avevo quel complesso, del “Governatore”.
Ebbene, nel momento topico, cioè il motoscafo che arrivava per avvicinarsi alle famose boe, partimmo con la pilotina verso le boe, con l’intenzione di tagliargli la strada, fermarlo e sequestrare le sostanze stupefacenti che eravamo convinti che avrebbe recuperato in mare.
Eravamo armati fino ai denti, a bordo di un mezzo in vetroresina !
Andò come doveva andare, il motoscafo si allontanò a tutta velocità, deviando solo leggermente dalla rotta prestabilita, credo per precauzione. L’eccitazione che fino a quel momento era regnata a bordo si trasformò in delusione e frustrazione.
Non resistei e pronunciai la frase famosa: “Ragazzi, andrà meglio la prossima volta”, che non vi fu, ovviamente.
I motoscafi continuarono per un bel po’ di tempo a fare il loro mestiere, poi, d’improvviso scomparvero del tutto.
Era cambiato il metodo di rifornimento, credo.
Il complesso del governatore. Ne fu vittima un direttore del carcere di Pianosa, che nel 1974 fu ucciso dal detenuto ergastolano che gli faceva da domestico nell’alloggio del direttore, usando una Smith & Wesson 38 special che il direttore teneva custodia in una cassaforte e muro e della quale il detenuto aveva le chiavi: incredibile, vero ?
Quel direttore si chiamava Massimo Masone, il motivo dell’omicidio la gelosia, dell’omicida contro il direttore che volevo sostituirlo con un altro detenuto in funzione di domestico.
Solo a pensarci mi assale la tristezza.
I lavori della sezione speciale.
Come ho già scritto, i pannelli prefabbricati che arrivavano da Livorno venivano scaricati in acqua marina, quando non si trovava dove accatastarli, restavano in acqua per tutto il tempo necessario a farlo il posto.
Nessuno trovava da ridire, personalmente trovavo singolare ciò, ma non immaginavo, non sapevo cosa sarebbe accaduto dopo qualche anno, almeno fin quando qualcuno mi aprì gli occhi e mi informò accuratamente.
La reazione fra il ferro contenuto nei pannelli prefabbricati e l’acqua di mare li avrebbe fatti spaccare tutti. La mia incredulità fu messa a tacere a quando mi si fece notare che la balaustra del piazzale antistante l’edificio in cui si trovavano direzione, alloggi ed altro, fatta di elemento prefabbricati in cemento armato, in particolare le colonnine sagomate, erano tutte spaccate, cadevano letteralmente a pezzi, tant’è che era uno dei lavori, di messa in sicurezza si direbbe oggi, più urgenti.
Naturalmente, mi affrettai a segnalare l’inconveniente all’Ufficio 8°, quello della manutenzione ordinaria e straordinaria dei fabbricati. A dire il vero, mi fu fatto presente che rischiavo a segnalare, ma ero all’epoca un direttore in ascesa e lo feci, segnalai. Lo farei ancora oggi.
La reazione non tardò ad arrivare: la revoca ministeriale della missione !
Motivo: il superamento dei limiti di durata di legge, oltre i quali la missione non poteva essere compensata. Occorreva che vi fosse una interruzione di 60 giorni lavorativa per poter iniziare un nuovo corso di missione, lo feci presente, inutilmente.
Eravamo a fine settembre 1978, andai via da Gorgona e non vi ho più fatto ritorno, mai.
Fu la mia prima e più cocente delusione, ma ve ne sarebbero state altre, molte altre.
Luigi Morsello

2 commenti:

Unknown ha detto...

Gentile dottor Morsello, se serve a toglierLe la tristezza prenda atto che, non fosse altro perchè mio padre all'epoca dell'assassinio, era già stato trasferito a Firenze, la Sua ricostruzione dell'omicidio appare distante dal vero.
Neppure la magistratura, peraltro, riuscì a fare piena luce sulla dinamica.
Cordiali saluti, GP Masone
PS: non è neppure vero chee il detenuto avesse le chiavi della cassaforte dove era riposta la pistola

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

Caro Gian Paolo, purtroppo il racconto delle mie esperienze in qualità di direttore di carcere non era certo da me previsto all'epoca dell'accadimento dei fatti, di qualunque episodio io racconti.
A riguardo della vicenda del collega più anziano Massimo Masone, suo padre, io ho raccontato oggi ciò che si diceva all'epoca in modo informale nell'ambiente del carcere (parlo del personale civile e militare di ogni ordine e grado).
Non avevo nessun motivo nè titolo di approfondire nè posso avere oggi ricordi precisissimi.
D'altra parte avrà capito che grande è stato il cordoglio per quell'evento luttuoso, che per me fu agghiacciante.
Permane la tristezza che mi assale ogni volta che una vita viene spenta prima della fine naturale di essa.
Spero non se abbia avuto a male, avrà certamente capito che ne ho riferito, purtroppo in modo impreciso (ma è ciò che si diceva allora e che ho ricordato oggi) e mi abbia perdonato.
Spero che continui a leggermi anche in future tutte le volte in cui inserirò un mio contributo originale.
Un caro saluto.
luigi morsello