sabato 18 ottobre 2008

La Casa di Reclusione per il lavoro all'aperto di Lonate Pozzolo (Va)

(La Cascina Malpensa)

di Luigi Morsello

È una vicenda emblematica, che, forse, vale la pena di essere narrata.
Non prima di avere accennato brevemente alla storia dell'areoporto della Malpensa, il grande nemico del carcere di cui sto per parlare.
Il nome della località Malpensa, deriva secondo alcuni dalla natura del terreno, ghiaioso e arido, che un tempo si estendeva pressoché incontaminato per circa novemila ettari a sud di Gallarate e Somma Lombardo, ricoperto dalla vegetazione tipica dei terreni calcarei (“brugo”, erica e ginestre) e chiazzato da alti pini silvestri.
La conformazione originaria del terreno, poco favorevole allo sfruttamento agricolo, fece sì che la popolazione locale ritenesse a lungo una “malpensata” coltivare tale zona, la quale, dopo essere stata luogo prediletto dalla nobiltà per la caccia, dopo un breve e poco fortunato tentativo di introdurvi attività agricole, fu giudicata, a partire dal 1832, particolarmente idonea per tenervi esercitazioni militari.
La brughiera fu così fino agli inizi del Novecento periodicamente teatro di esercitazioni militari, con protagoniste prevalentemente unità di cavalleria (in particolare il "Savoia Cavalleria" che sarebbe stato di stanza a Somma ogni estate fino al 1943) acquartierate, per le manovre, presso la Cascina Malpensa, l'edificio che sorgeva al centro di un fondo agricolo divenuto proprietà demaniale nel 1866.
Alla Cascina Malpensa approdarono, nel 1909, i fratelli trentini Gianni e Federico Caproni desiderosi di emulare le esperienze di volo dei Wright. Avevano infatti ottenuto a questo scopo dal comando del Corpo d'Armata di Milano il permesso di utilizzare cascina e terreni annessi.
Il 27 maggio dell'anno successivo sulla brughiera si alzava così, volando ad un'altezza di trenta metri e percorrendo circa duecentocinquanta metri, il primo "Caproni".
Di lì a poco la stessa Cascina iniziò ad ospitare, con l’arrivo di specialisti del Genio militare, una delle prime scuole di volo italiane. Nel giro di qualche anno Cascina Malpensa sarebbe diventata uno dei più importanti centri di preparazione di piloti militari in Italia.
L’inizio dell’ attività di campo d’aviazione militare risale al 1912, con l’insediamento di un distaccamento del Battaglione Aviatori costituito quell’anno. La sede della scuola, con alloggi per gli ufficiali aviatori e con magazzini, si trovava nella stessa Cascina Malpensa.
I primi comandanti della scuola furono il capitano Gustavo Moreno ed il tenente Oronzo Andriani; li affiancava come pilota istruttore il sottotenente di vascello Ugo Rossi. Emilio Pensuti fu il primo collaudatore. I corsi di pilotaggio e gli allenamenti si effettuavano su monoplani Nieuport e Caproni, entrambi con motori Anzani da 35 HP.
In quei primi mesi oltre a voli di addestramento per il conseguimento di brevetti, si effettuarono più volte esercitazioni combinate con la cavalleria e, soprattutto, in collaborazione con il personale del vicino campo di aviazione civile di Vizzola Ticino, importanti esperimenti: il 12 gennaio 1912 venne effettuato il primo lancio di una bomba da un aereo e il 14 febbraio il pilota Enrico Cobioni conseguì il primato italiano di altezza; risalgono al 1913, le prime esperienze di telegrafia senza fili e di volo notturno, mentre il 30 dicembre il capitano Pier Ruggiero Piccio conquistava il primato italiano d’altezza, volando a 3800 metri d’altezza.
I fratelli Caproni avevano nel frattempo spostato le loro officine dalla Cascina Malpensa a Vizzola, pochi chilometri più a sud-ovest.
Durante la prima guerra mondiale sul campo della Malpensa si svolse una febbrile attività addestrativa (per un breve periodo vi fu ospitato anche Francesco Baracca, non ancora diventato "asso" dell'aviazione) rivolta soprattutto al pilotaggio dei bombardieri Caproni (vi sono impegnati anche piloti inglesi ed americani) in stretto collegamento con l’attività delle industrie aeronautiche (come la Nieuport - Macchi) che a Cascina Malpensa dislocarono officine e squadre di operai specializzati.
Dopo l’inaugurazione del vicino campo di Lonate Pozzolo (attivo dalla primavera del 1918), il campo della Malpensa divenne parte (a partire dalla seconda metà degli anni Venti) come sede della Scuola da Bombardamento Terrestre, della rete integrata di campi d’aviazione del Gallaratese.
Intitolato al pilota Luigi Bailo il campo di Cascina Malpensa continuò a svolgere ancora negli anni Trenta un importante ruolo come scuola di pilotaggio, sempre con specialità nel bombardamento terrestre. Nel 1932 sorse inoltre a Malpensa una Scuola di volo senza motore. Nel 1940 decollò da Malpensa il
primo aereo a reazione italiano, il "Caproni-Campini".
Occupato dopo l’ 8 settembre del '43 da reparti tedeschi, l'aeroporto di Malpensa ospitò (come il vicino aeroporto di Lonate Pozzolo, che nello stesso periodo ospitò il I° Gruppo Autonomo Aerosiluranti "Buscaglia" poi "Faggioni", su S.M. 79) sia aerei italiani della Aeronautica Nazionale Repubblicana che della tedesca Luftwaffe.
Oggetto il 26 dicembre 1944 di una pesante incursione aerea da parte di cacciabombardieri alleati, il campo della Malpensa accolse nell’aprile del 1945 quanto restava del I° Gruppo Caccia agli ordini del maggiore Adriano Visconti i cui aerei (dei Messerschmitt 109) furono incendiati (le piste erano già state rese inutilizzabili) dagli equipaggi prima della resa.
Pochi anni dopo, nel 1948, la storia aeronautica della Malpensa ricominciava, questa volta come aeroporto civile.
L’apertura ufficiale al traffico commerciale avvenne il 21 novembre 1948, con l’atterraggio di un quadrimotore di fabbricazione italiana (Breda Zappata 308) e il 2 febbraio del 1950 si effettuò il primo collegamento aereo diretto con New York, ad opera della TWA. Nel 1952 nasceva la SEA (Società per azioni Esercizi Aeroportuali) con la partecipazione del Comune di Milano, avente come scopo la realizzazione e la gestione dell'aeroporto di Malpensa. Gli anni Cinquanta videro così i lavori di costruzione di una seconda pista, l’ampliamento del piazzale di sosta degli aeromobili e l’inaugurazione (il 28 novembre 1958) della prima parte dell’aerostazione.
Dalla fine degli anni Sessanta vennero redatti e consegnati al Ministero dei Trasporti e Aviazione Civile numerosi piani per il potenziamento degli impianti di Malpensa. L’indirizzo generale era di trasferire all’aeroporto di Malpensa il traffico internazionale, ricercando soluzioni con ampi spazi per le aree destinate ai passeggeri e alle merci.
In quest'ottica, dopo ulteriori opere di ammodernamento dello scalo in risposta alle crescenti esigenze del traffico aereo, si arrivò nel 1985 all’approvazione del Piano Regolatore Aeroportuale denominato “Malpensa 2000”. I lavori di costruzione del nuovo "hub" iniziarono ufficialmente il 19 novembre 1990 e l'entrata in funzione della nuova aerostazione, è avvenuta, fra polemiche e contestazioni, il 25 ottobre 1998.(Adattamento da una ricerca svolta dalla classe 3^G della scuola media di Somma Lombardo (a.s. 1998-1999). Si ringraziano per la collaborazione fornita i sig.ri Carlo Ferrario e Pietro Galdangelo).
Nasce il carcere di Lonate Pozzolo, chiamato “Bellaria”, negli anni ’50 (forse 1954) come struttura destinata ad ‘alleggerire’ il cronico sovraffollamento del Carcere Giudiziario (oggi Casa Circondariale) di S. Vittore.
Per il tempo fu un’impresa ardita, anzi ardimentosa.
Basti considerare che vigeva ancora il Regolamento degli Stabilimenti Penitenziari del 1931 per rendersi conto che il pensare ad una struttura del genere poteva essere considerato una follia.
Il progetto originario prevedeva che fossero costruiti, in economia e con la sola mano d’opera dei detenuti, due padiglioni ad un solo piano, in grado di ospitare un centinaio di unità.
Quando il progetto prese il via l’aeroporto internazionale della Malpensa era ancora di là da essere concepito.
Esisteva una cascina
, chiamata appunto Malpensa, di proprietà della famosa famiglia Caproni, quella della omonima fabbrica di costruzione di aeroplani e prima ancora di un progetto di bonifica di quella parte del fiume Ticino, che prese successivamente il nome di bonifica Caproni. La storia della evoluzione di questa famiglia di ardimentosi trentini è ben descritta nel volume di Federico Caproni “Primi risultati di una Bonifica in Brughiera” – Istituto Grafico Bertieri -1938.
È un’opera fuori commercio, che fu donata a chi scrive dal conte Massimo Caproni nell’anno 1984.
Ad integrazione di quanto già sopra riferito, tutto il comprensorio fu oggetto di opere militari utilizzate durante la II^ guerra mondiale, iniziate qualche tempo prima e destinate alla Regia Aeronautica Militare Italiana.
L'aeroporto militare di Lonate Pozzolo, che nel 1926 fu denominato da Gabriele D'Annunzio "Campo della Promessa" fu sede di vari gruppi di aerei da caccia e da bombardamento della Regia Aeronautica.
Del Campo della Promessa si parlerà in prosieguo.
Nei drammatici giorni che seguirono l'8 settembre 1943 reparti della Luftwaffe occuparono l'aeroporto, impadronendosi degli aerei abbandonati negli hangar e nei boschi. Poco dopo però vi ritornarono numerosi piloti italiani e, in tal modo, nell'aeroporto si insediò anche un comando autonomo dell' Aeronautica Repubblichina, che qui disponeva di un gruppo aerosiluranti e del 1° gruppo da caccia terrestre.
Tramite l'Organizzazione "Todt" nel 1944 i tedeschi completarono la costruzione delle piste, e dei relativi paraschegge, per il decentramento degli aerei e realizzarono la "pista grande", avvalendosi di centinaia di operai - lonatesi e dei paesi vicini.
Nell'aprile 1945, all'atto della resa, i tedeschi fecero brillare le mine collocate nelle piste in cemento, per renderle inagibili; solo quella in direzione dell'aeroporto della Malpensa rimase intatta e nel 1948 venne utilizzata per aprire l'"Aeroporto di Busto Arsizio".
Finita la guerra, nel luglio 1946, l'allora sindaco del comune di Lonate Pozzolo inoltrò al Governo la richiesta di riparazione dei danni di guerra, accompagnandola con la relazione che qui viene riprodotta per sintesi: “Durante il periodo dell'occupazione tedesca L'Organizzazione "Todt" ha costruito nel territorio del Comune di Lonate Pozzolo una serie di opere a sussidio e ad estensione del Campo d'Aviazione. Si tratta di:
- piste da 16 m di larghezza, parte in semplice massicciata cilindrata di ciottoli, ghiaia e sabbia e parte con sovrapposto uno strato di calcestruzzo ad alto tenore di legante, per il decentramento degli apparecchi nei boschi e nelle campagne;
- una grande pista di lancio cementata, larga 60 m e lunga 1.100 m, per il decollo degli apparecchi con rimorchio di alianti;
- numerosi paraschegge giganti, grandiosi rilevati trapezoidali con pianta a C, destinati a proteggere i singoli apparecchi decentrati dal campo.
Tutte queste opere sono state eseguite indifferentemente in brughiera e nei campi: mentre le piste sono prevalentemente in brughiera, i paraschegge si trovano per lo più nei boschi e tra i coltivi e circondano il capoluogo e la frazione di Sant'Antonino T. In questo anno che intercorre dalla Liberazione parte delle piste e dei paraschegge posti nei campi sono stati spianati ad opera degli agricoltori lonatesi i quali, ovunque hanno potuto, hanno ripristinato i loro coltivi. Però la maggior parte delle opere, rivestendo un carattere permanente, richiede una massa di lavoro e attrezzature (martelli perforatori, decauvilles, ecc.) che superano le possibilità sia manuali che tecniche ed economiche degli agricoltori locali, nella grande maggioranza piccoli proprietari e coltivatori diretti. Tali opere saranno destinate a rimanere permanentemente allo stato attuale se alla loro rimozione non interverrà un Ente di grande potenzialità.
Quale sia il danno cagionato dalle opere ancora esistenti è facile vedere dal fatto che le piste occupano una superficie di 1.166.000 mq e che i 39 paraschegge, con le relative cave di prestito da riempire, occupano all'incirca altri 156.000 mq. In totale quindi circa 132 ha, dei quali circa la metà sottratta alla coltivazione cerealicola e il rimanente prima occupato da pinete, boschi e brughiere. L'Agro Lonatese, a seguito delle opere realizzate durante la seconda guerra mondiale, è stato quasi completamente disboscato; ai margini della brughiera e lungo i cigli della valle del Ticino prima esistevano folti boschi di pini, mentre ora vi sono lande sterili, incapaci di dare nutrimento alle greggi transumanti in primavera e in autunno.
L'Amministrazione Comunale, desiderosa di sanare al più presto le ferite materiali della guerra e di provvedere al rimboschimento richiesto a gran voce dai lonatesi, ha stimato in circa 150.000 giornate lavorative la quantità di mano d'opera necessaria per il ripristino del territorio comunale.”.
Si allega, in chiusura, planimetria del territorio interessato.
Quel singolarissimo modello di carcere fu realizzato nelle superfici in cui trovarono posto le piste di lancio. La pista più lunga (m. 6 x 1.100) indica approssimativamente il baricentro del nuovo carcere.
Dopo le prime opere fatte con mano d’opera detenuti, venne progettato di costruirvi ben sette sezioni, indipendenti l’una dall’altra, di circa 60-65 posti singoli ciascuna.
Il Genio Civile, all’epoca unico organismo deputato agli interventi pubblici su beni demaniali e patrimoniali dello Stato, ne realizzò uno solo, di complessivi n. 64 posti singoli.
Gli altri padiglioni non vennero realizzati mai.
Quel padiglione, come anche gli altri, era a celle singole, con bagni in comune, senza inferriate, finestre di legno, chiuse da persiane in legno alla fiorentina, che di notte venivano “assicurate” da un lucchetto di chiusura.
Vi era una zona detentiva, una dei servizi (direzione, alloggi demaniali, caserma e mensa agenti), l‘ultima del tenimento agricolo, il quale era composto da:
• Una doppia stalla per i bovini (circa 60 mucche in batteria);
• Una seconda stalla per gli animali giovani (manzette e castrati);
• Una porcilaia per circa 50 maiali;
• Un padiglione per il ricovero delle macchine agricole;
• Un’officina per le piccole riparazioni e la manutenzione dei mezzi e strumenti agricoli;
• Un magazzino delle granaglie e dei mangimi per i bovini.
Il territorio dell’azienda agricola era utilizzato interamente per la produzione di mangimi per i bovini.
Le coltivazioni:
• La coltura del mais, a seminagione estiva (60, 90, 120 giorni di maturazione) con inizio ai primi di giugno, bisognosa di acqua da irrigazione in mancanza di precipitazioni naturali, al centro del territorio, che utilizzava un impianto di irrigazione sotto traccia, incassato nel terreno, che riceveva acqua estratta da un pozzo e da una stazione elettrica di pompaggio; il mais veniva raccolto in parte in forma granulare e veniva inviato all’esterno per l’essiccazione dei chicchi, in maggior misura per la produzione di foraggio (trinciato) per i bovini;
• Le c.d. “arido-colture”, per la seminagione dell’oietto, una graminacea a seminagione autunnale, utilizzato per la produzione dei farinacei per mangime e del fieno;
• L’impianto di prato polifita stabile e di erba medica stagionale con doppi e tripli raccolti nella stagione estiva.
Il terreno, di tipo alluvionale e quindi sabbioso con ciottoli radi di piccolo calibro, inizialmente molto acido, con l’utilizzo sistematico di un fertilizzante polverulento le c.d. “scorie Thomas” era diventato un terreno privo di acidità, ideale per la coltivazione del mais.
Un privato, che avesse avuto, anche solo in gestione, una simile azienda agricola, si sarebbe arricchito.
Insomma, era, fu il primo carcere “a basso indice di sicurezza” della storia delle carceri, almeno italiane, l’unico di questa tipologia.
Il panorama è completato dalla circostanza che tutto il sedime del carcere, circa 350 ettari di terreno dei quali almeno 250 adibiti a coltivazioni, non era in alcun modo recintato: non esisteva muro di cinta né una rete di recinzione e nemmeno filo spinato per delimitare simbolicamente il limite invalicabile oltre il quale si realizzava il reato di evasione da parte dei detenuti assegnativi, limite però ben conosciuto dagli interessati.
L’unico ostacolo frapposto fra la detenzione e la libertà, a prezzo di commettere il reato di evasione, era di natura psicologica, basata sulla capacità di raziocinio di quei detenuti.
Per quegli anni (si tratta degli anni 1950-1960) era una novità clamorosa, ma poco se non per nulla conosciuta dall’opinione pubblica.
Poi negli anni 1970 subentrò il fenomeno del terrorismo e quella struttura entrò nell’oblio più totale.
Anche Renato Vallanzasca vi fu assegnato quando era ancora uno sconosciuto e giovane detenuto: naturalmente, evase !
Il criterio di assegnazione prima del 1975 era quello dell’ammissione al lavoro all’aperto del vecchio Regolamento penitenziario (art. 120 R.D. 19 giugno 1931 n. 787): i detenuti partivano la mattina da S. Vittore con scorta armata degli agenti di custodia (oggi Polizia Penitenziaria) ed autocarri dell’Amministrazione Penitenziaria, per rientrarvi la sera.
Quando la nuova struttura fu operativa, il criterio di assegnazione era il fine pena, che non doveva essere superiore a diciotto mesi, e la buona condotta.
Ho diretto quel carcere dal 1984 al 1988, riorganizzandolo profondamente e rendendolo, finalmente, produttivo.
Ma, come già detto, il carcere era a ridosso di un vicino già allora gigantesco e molto scomodo, la Malpensa.
L’aeroporto internazionale aveva necessità ed accarezzava da anni l’idea di fagocitarlo per utilizzarne il territorio, inglobandolo nel sedime aeroportuale.
Era un progetto faraonico, gigantesco in termini di miliardi di lire degli anni 1980, l’ultimo finanziamento per completarlo era di circa 1.382 milioni di lire, poi lievitati chissà a quanto.
Il direttore generale dell’epoca era Niccolò Amato, per molti versi un grande direttore generale, di ispirazione socialista, che non poté opporsi quando la richiesta di acquisizione divenne concreta.
L’unica voce fuori dal coro era quella del direttore (con la barba, nella foto), il quale, innamorato di questa metodologia di trattamento dei detenuti (negli anni dal 1986 al 1989 – data di soppressione del carcere – vennero assegnati solo tossicodipendenti sieropositivi all’HIV e/o All’HVC o in AIDS conclamato, malattie terribili appena scoperte) non si rassegnava alla semplice soppressione del carcere e chiedeva che la cessione alla SEA, che gestisce ancora oggi i due aeroporti milanesi, non fosse del tutto gratuita.
La stessa dirigenza della SEA si offriva di costruire un altro carcere fotocopia, secondo i rilievi aerofotogrammetici già fatti per il progetto della GRANDE MALPENSA, replicandolo in un altro territorio demaniale, il c.d. “Campo della Promessa”, cui si è accennato in apertura e così chiamato da Gabriele D’Annunzio, dal quale il poeta si involò per il celeberrimo raid su Vienna durante la I^ guerra mondiale.
All’A. fu detto che così sarebbe stato fatto.
In realtà così non accadde.
Fui messo da parte, il carcere fu soppresso nel 1989, ma non assistetti al decesso: ero stato allontanato prima, per fortuna.
Adesso è tutto aeroporto internazionale, non c’è più alcuna di traccia di quella splendida esperienza.
Se ne è persa, probabilmente, anche la memoria.
Si allega anche fotogrammetria dell’odierno aeroporto Malpensa, nella cui sezione terminale, seconda pista sulla sinistra, è inglobato il sedime del carcere.
Ne è valsa la pena ?
Si, ne vale sempre la pena.
Quando cesseranno di esistere gli idealisti, il nostro mondo sarà più grigio ed invivibile di quanto non lo sia già oggi.
Luigi Morsello

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