IL CORRIERE DELLA SERA
Spiace anche che una regista come Liliana Cavani si presti a operazioni intellettualmente anestetizzate
Tutto è relativo: in mutande, anche Albert Einstein è uno come noi, ha problemi con le donne (cerca il sostituto della mamma, classica yiddishe mame), tradisce la moglie, si entusiasma quando vede il primo frigorifero e la prima lavatrice. Ma ha senso una fiction il cui merito maggiore è di essere, al più, un esercizio scolastico per esordienti e la cui sacca di scontatezze è grande come un campo unificato? Siamo alle solite, la fiction italiana non sa rappresentare altro che agiografie, sorrette dalla retorica del flashback: inutile poi lamentarsi se all'estero non ci tengono in considerazione, se siamo piombati in una sacca di arretratezza, di povertà espressiva, di analfabetismo finzionale.
Per non cadere vittima dei pregiudizi, ho seguito con attenzione le due puntate ma, ahimè, la recensione l'avrei potuta scrivere dopo la lettura dei titoli di testa. Chiedere a due sceneggiatori come Massimo De Rita e Mario Falcone di inventare qualcosa di diverso dal canone «sacca da piedi» (il compito principale della fiction italiana è tenere al caldo i piedi dello spettatore, anzianotto anzichenò) è impresa impossibile. Spiace anche che una regista come Liliana Cavani si presti a operazioni intellettualmente anestetizzate. È tutto un susseguirsi di ricordi, come sfogliare un album di fotografie, a partire dalla sera in cui a Princeton, New Jersey, nell'autunno del 1940 il fisico Einstein (Vincenzo Amato) ormai settantenne incontra, guarda caso, Mileva Maric (Maya Sansa), la prima moglie, dalla quale ha avuto due figli, Hans Albert e Eduard. Scattano memorie e rimpianti: le prime teorie rivoluzionarie sulla luce, l'avvento del nazismo, la bomba atomica, i sensi di colpa e la depressione, l'Fbi, il pacifismo, le frasi celebri a casaccio, tipo «vinceremo la guerra ma perderemo la pace», l'invidia dei colleghi, la morte. Povera fiction italiana, saprà mai sconfiggere quell'oscura sacca di resistenza che la inchioda alla marginalità?
Aldo Grasso
29 ottobre 2008
Tutto è relativo: in mutande, anche Albert Einstein è uno come noi, ha problemi con le donne (cerca il sostituto della mamma, classica yiddishe mame), tradisce la moglie, si entusiasma quando vede il primo frigorifero e la prima lavatrice. Ma ha senso una fiction il cui merito maggiore è di essere, al più, un esercizio scolastico per esordienti e la cui sacca di scontatezze è grande come un campo unificato? Siamo alle solite, la fiction italiana non sa rappresentare altro che agiografie, sorrette dalla retorica del flashback: inutile poi lamentarsi se all'estero non ci tengono in considerazione, se siamo piombati in una sacca di arretratezza, di povertà espressiva, di analfabetismo finzionale.
Per non cadere vittima dei pregiudizi, ho seguito con attenzione le due puntate ma, ahimè, la recensione l'avrei potuta scrivere dopo la lettura dei titoli di testa. Chiedere a due sceneggiatori come Massimo De Rita e Mario Falcone di inventare qualcosa di diverso dal canone «sacca da piedi» (il compito principale della fiction italiana è tenere al caldo i piedi dello spettatore, anzianotto anzichenò) è impresa impossibile. Spiace anche che una regista come Liliana Cavani si presti a operazioni intellettualmente anestetizzate. È tutto un susseguirsi di ricordi, come sfogliare un album di fotografie, a partire dalla sera in cui a Princeton, New Jersey, nell'autunno del 1940 il fisico Einstein (Vincenzo Amato) ormai settantenne incontra, guarda caso, Mileva Maric (Maya Sansa), la prima moglie, dalla quale ha avuto due figli, Hans Albert e Eduard. Scattano memorie e rimpianti: le prime teorie rivoluzionarie sulla luce, l'avvento del nazismo, la bomba atomica, i sensi di colpa e la depressione, l'Fbi, il pacifismo, le frasi celebri a casaccio, tipo «vinceremo la guerra ma perderemo la pace», l'invidia dei colleghi, la morte. Povera fiction italiana, saprà mai sconfiggere quell'oscura sacca di resistenza che la inchioda alla marginalità?
Aldo Grasso
29 ottobre 2008
1 commento:
Sono d'accordo !
Una cagata PAZZESCA !
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