sabato 25 ottobre 2008

LA QUESTIONE DELLA CAPIENZA DELLE CARCERI ITALIANE

di Luigi Morsello

È ormai notorio che per 40 anni sono stato un direttore dell’Amministrazione penitenziaria e ogni volta che la stampa dedicava la propria attenzione alla capacità di ricezione delle carceri italiane, i posti-letto disponibili, ne leggevo delle belle.
Sì, perché non è facile stabilire con certezza di quanti posti-letto dispone l’Amministrazione penitenziaria nei 225 istituti penitenziari di cui si compone il pianeta carcere.
Il problema non è di facile soluzione perché delle 225 carceri in cui si articola il pianeta carcere ve ne sono ancora moltissime che sono delle vecchie strutture, le cui celle hanno in genere soffitti alti, molto alti, alti che io ricordo non meno di mt. 3.40, il che complica la situazione.
Infatti, la capienza di queste celle, che non sono di dimensioni, meglio superficie standardizzate, consente di contenervi un numero di detenuti superiore a quello che la superficie consentirebbe, mentre la cubatura per contro consente di farlo. Come ? Con i letti a castello, una invenzione che data ai primi anni del decennio 1970-1980, rubricati come “letto monoposto sovrapponibile”.
Utilizzando questo sistema è stato ed è possibile far fronte al sovraffollamento dei detenuti, fenomeno che però deve essere esattamente definito perché si presta ad interpretazioni contrastanti e a pesanti strumentalizzazioni.
Non sto qui a parlare di regole minime, dico solo che perché una persona possa essere detenuta in condizioni di vita dignitose deve avere a disposizione almeno 12 mq. con servizio sanitario dotato di acqua calda corrente e doccia, e vi devono essere sufficienti spazi comuni, al chiuso e all’aperto, per socializzare, se gli va, e per c.d. “ore d’aria”, cioè di permanenza all’aperto.
Com’è noto, all’insorgere del fenomeno terroristico l’Italia era gravemente in arretrato sia con adeguamento di vecchie strutture che con la costruzione di nuove.
Fu quindi varato in fretta e furia un piano di edilizia penitenziaria, che andò avanti per oltre vent’anni. Le nuove costruzioni dovevano rispondere non solo all’emergenza affollamento ma anche alla nuova tipologia di detenuti, fra quali spiccavano quelli detenuti per terrorismo e che quindi dovevano essere tenuti ‘prigionieri’ in condizioni particolari di sicurezza.
Qui l’amministrazione penitenziaria, che doveva dare l’input necessario, sbandò paurosamente.
Può sembrare e può essere una generalizzazione, ma la riflessione trae spunto da un fatto concreto: il nuovo carcere di Busto Arsizio, da me messo in funzione nel 1984.
Doveva toccare ad Aldo Fabozzi, che si trovava a Voghera, ma Opera si stava liberando (Francesco Pagliara aveva vinto un concorso, oggi è magistrato contabile) e Fabozzi vi fu inviato come titolare, lasciando la direzione del carcere di Voghera e quella di Busto Arsizio – vecchio carcere – in missione. Fummo convocati lo stesso giorno a Roma da Giuseppe Falcone, allora direttore dell’ufficio del personale civile, oggi presidente del tribunale di Sorveglianza di Roma. Fabozzi (oggi è provveditore regionale in Piemonte) andò ad Opera, io a Busto Arsizio dal carcere di Lonate Pozzolo, laddove ero stato relegato a seguito dell’evasione dalla casa di reclusione di San Gimignano, che io dirigevo, del detenuto Guido Giovanni, detto Gianni, e che conservai in missione non compensata (abitavo già lì e continuai ad abitarvi).
Una beve parentesi la devo fare. Giuseppe Falcone fu a lungo convinto che io non ero ‘estraneo’ all’evasione del Guido, solo nel 1997, sedici anni dopo, realizzò che io ero estraneo a quell’evasione. Il Guido fu catturato in Sud America quattordici anni dopo, quest’anno il tribunale di sorveglianza di Roma, presieduto da Giuseppe Falcone, gli ha concesso l’affidamento in prova al servizio sociale.
C’è ancora un’ultima premessa da fare, in modo da sgomberare il campo da ogni equivoco. A marzo di quest’anno a Vienna si è tenuta una conferenza per discutere della gestione dei detenuti, la “14^ conferenza dei Direttori dell'Amministrazione penitenziaria degli Stati membri del Consiglio d'Europa” sul tema "Gestire le prigioni in un ambiente sempre più complesso", in cui si è detto che la densità penitenziaria in Italia supera la quota di 130 detenuti per 100 posti letto, mentre la media europea è sotto i 100.
Si intendono per posti-letto i c.d. “posti regolamentari”.
Nella conferenza viennese sono stati invitati i Governi a investire sulla formazione dello staff penitenziario, nonché per sviluppare le attività trattamentali a favore dei detenuti affinché questi abbiano la possibilità di scegliere carriere non devianti al momento del rilascio.
Secondo Antigone onlus sono 57.239 i detenuti presenti nelle prigioni italiane a fronte di 43.084 posti letto previsti. Negli ultimi nove mesi sono cresciuti di circa 1.000 unità al mese. Insomma alla data odierna vi sarebbero, vi sono 14.150 detenuti in più, circa. E già si parla di sovraffollamento.
Arrivati a 60.000 unità vi sarebbe necessità di 17.000 posti-letto. Posto che ogni carcere abbia 300 posti-letto “regolamentari”, vi sarebbe necessità in tutto di 8 carceri nuove da 300 posti letto. Posto che ogni carcere richiede uno staff di 300 operatori, tutti compresi, si dovrebbe far fronte a 2.400 nuove unità circa di personale, ivi compresi 8 direttori. Ciò significa che non basta costruire nuove carceri, occorre reperire risorse anche per dotare le nuove future strutture del personale necessario.
Adesso è possibile riprendere la disamina della “vexata quaestio”: cosa si intende per:
· Capienza regolamentare (ottimale);
· Capienza tollerabile;
· Capienza massima (sovraffollamento).
Torniamo dunque ai carceri vecchi. Al suo interno possono essere contenuti un numero variabile di detenuti, a seconda che si rispetti lo ‘spazio vitale’ di 12 mq. a persona. Dovendosi preferire, in condizioni di promiscuità, un assetto a numero dispari (tre, cinque, sette per cella), anche se ciò probabilmente è una pietosa bugia (il numero dispari non salvaguarda nessuno, in realtà), la capienza regolamentare può aumentare a capienza tollerabile e finire a capienza massima, utilizzandosi i letti monoposto sovrapponibili, che possono arrivare anche ad un metro dal soffitto, e cioè a mt. 2.90 dal pavimento. Ma ciò non accade perché con tre letti monoposto sovrapponibili (letti a castello) con una altezza ciascuna di 70 cm. circa si arriva a mt. 2,10 per cui vi sarebbe posto per un quarto castello, che raggiungerebbe la ragguardevole altezza di mt. 2,80 e cioè a 60 cm. dal soffitto.
È accaduto, raramente ma è accaduto, di dover montare un blocco di quattro letti a castello. È anche accaduto (ma non in un carcere da me diretto) a qualche persona detenuta di cadere dal più alto dei quattro letti, ed una volta con notevoli lesioni al malcapitato (fratture ossee varie).
Nelle carceri nuove no, non è possibile andare oltre i due posti letto, sempre sovrapposti e fissati a muro e pavimento (una annotazione poco nota: il secondo letto impedisce l’apertura completa di un’anta della finestra, le finestre sono prive di scuretti !). Non c’è posto per una terza branda, è materialmente impossibile. Però accade di frequente che venga sistemata una branda solo per la notte e, in casi urgenti, il materasso viene collocato sul pavimento, anche per mancanza di altre brande, ma sono casi estremi. Non appena possibile, il detenuto viene spostato altrove, sempre. Non ci si diverte a tenere le persone detenute in queste condizioni, credetemi.
È possibile adesso tornare alla questione iniziale.
I posti-letto indicati da Antigone sono quelli ottimali, quelli tollerati o quelli da sovraffollamento ?
Non possiamo prendere per buona la versione ‘capienza tollerabile’, meno che mai la versione ‘capienza massima’, quindi si tratta di ‘capienza ottimale’.
Allora è lecito domandarsi il perché l’allarme e ci si può rispondere perché, oltre, la vita della persona detenuta sarebbe intollerabile e perché non si raggiungono gli obbiettivi dell’ordinamento penitenziario.
Davvero si può credere ad una simile favola ?
Per sperare di recuperare una persona che ha delinquito ci vuole ben altro che la ‘capienza ottimale’, ci vogliono risorse e non ce ne sono più, da molti troppi anni !
Eppure l’allarme c’è e non è infondato, perché quei posti di capienza, comunque li si voglia indicare, non sono tutti disponibili e perché vi sono posti mai messi a disposizione.
Nel 2001 un coraggioso magistrato, Alfonso Sabella, chiamato da Gian Carlo Caselli a capo dell’ufficio ispettivo individuò, meglio, intuì quali fossero le cause dell’insufficienza della capienza. Ne ha scritto Giorgio Bocca in questi giorni (Venerdì di Repubblica, 24 ottobre 2008), richiamando una intervista che Sabella ha rilasciato alla rivista “Appunti di cultura e politica”, anno XXI - maggio- giugno 2008.
Prima di scriverne, desidero osservare che se le denunce del dr. Sabella erano vere (il valore di quel magistrato non consente di dubitarne), allora la capienza dichiarata dal D.A.P.:
  • può essere comprensiva di quei posti ‘indisponibili’ (come si vedrà erano circa 7 mila) e si capisce perché oggi si lamenta l’avvicinarsi del sovraffollamento con circa 14 mila detenuti in più,
  • oppure quei settemila posti non sono stati mai dichiarati e allora si vanno ad aggiungere alla capienza dichiarata, diminuendo così di un numero pari l’affollamento odierno, che si ridurrebbe all’incrca 7 mila detenuti.

Ciò precisato, devo premettere che Sabella fu, dalla sera alla mattina, lasciato senza ufficio, perché il capo del Dipartimento pro-tempore Giovanni Tinebra, oggi P.G. a Catania, cancellò l’ufficio ispettivo, lasciando quindi Sabella senza incarico. Non fu estranea, probabilmente, a questa decisione una relazione che Sabella inviò al CSM sui risultati dei primi accertamenti fatti dal suo ufficio ispettivo (se non per questo per che cosa era stato creato ?), della quale Giorgio Bocca cita circostanze salienti.
Premesso, scrive Bocca, che migliaia erano i posti per i detenuti che non venivano utilizzati o venivano tenuti nascosti, (motivo la mancanza di personale, nella realtà per il comodo dei funzionari direttivi che tenevano inattive le strutture per poi chiedere il trasferimento dei detenuti):

  1. Ancona: la sezione femminile era chiusa per lavori in corso, tra l’altro sulla facciata esterna;
  2. Castelfranco Emilia: capienza 400 detenuti, presenti 24;
  3. Modena e Reggio Emilia: strutture detentive di cinque piani, dei quali due piani adibiti ad uffici;
  4. In molti istituti vi sono doppioni di servizi, depositi di materiale fuori, tutto fuorché celle;
  5. San Cataldo (Caltanissetta): un palazzone di quattro piani solo 60 detenuti, ammassati ammassati in quattro – cinque per cella, tutto il resto riservato ad uffici, anticamere, stanze dei funzionari;
  6. Trapani: la sezione ad alta sicurezza era chiusa “perché si doveva ultimare la tinteggiatura”;
  7. Viterbo: 300 posti, l’istituto restava chiuso per mancanza di un metro di fognatura;
  8. Siena: il numero degli impiegati superiore a quello dei detenuti.

Continua Bocca: “Ancora oggi il rapporto tra detenuti e agenti è di un custode ogni 1,3 detenuti, mentre nei maggiori paesi europei è di tre detenuti per agente.
“Conclude Sabella, riferisce Bocca: “Avevo avviato un’indagine per capire le ragioni di una sistemazione paradossale …” Risultato (è sempre Bocca a riferire): “Hanno soppresso il mio ufficio e sono tornato a fare il magistrato.”.
Ecco cosa accadde il 9 gennaio 2002 presso il CSM.
CSM - Plenum del 9 gennaio 2002, seduta antimeridiana
“(ANSA) - ROMA, 8 GEN - ''Il rischio di accordi fra i boss mafiosi detenuti in regime di 41 bis e' altissimo''
.
Lo ha detto il consigliere Alfonso Sabella, ex direttore dell'Ufficio centrale ispettivo del Dap, al termine dell'audizione oggi alla terza Commissione del Csm.
Il magistrato aveva chiesto di tornare all'attività' giurisdizionale, in seguito alla soppressione dell'Ufficio da lui diretto.
L'ex pm antimafia ha ricordato, infatti, il recente allarme lanciato dall'ufficio che lui dirigeva a proposito del progetto di dissociazione che Cosa Nostra starebbe portando avanti con continui contatti fra i boss detenuti. Proprio per questo la terza Commissione del Csm sta valutando l'ipotesi di trasmettere gli atti alla decima Commissione del Csm che si occupa di criminalità organizzata. Sabella ha anche fatto riferimento a circa 7mila posti per detenuti che sarebbero disponibili nei vari istituti di pena ma che per vari motivi non vengono utilizzati, creando in questo modo sovraffollamento.
A proposito infine del provvedimento con cui è stato soppresso il suo ufficio al Dap, Sabella lo ha definito ''illegittimo, che non poteva essere adottato dal capo del Dap, essendo di esclusiva competenza del ministro della Giustizia.''.
La notizia ANSA introduce un secondo elemento di valutazione, l’allarme lanciato circa i detenuti in regime di 41 bis, cioè i mafiosi ed altre organizzazioni criminali di stampo mafioso.
Da allora ad oggi la situazione è cambiata ? Sì, ovviamente, ma in meglio, in peggio ?
''ALTISSIMO RISCHIO PER TENTATIVI DISSOCIAZIONE BOSS MAFIOSI'' Roma, 8 gen. (Adnkronos) - ''Amarezza'' per il trattamento subito, ma anche ''preoccupazione'' per la sorte di tutto il lavoro di monitoraggio sulle carceri compiuto fino al giorno in cui il nuovo direttore del Dap Giovanni Tinebra ha deciso di sopprimere l'ufficio di cui era responsabile.
Alfonso Sabella, l'ormai ex responsabile dell'Ufficio centrale dell'Ispettorato del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, si e' sfogato davanti alla Terza commissione di palazzo dei Marescialli.
Un'audizione breve, durata appena un quarto d'ora. Ufficialmente, Sabella è stato convocato per dare indicazioni sulla sede che il Csm dovrà assegnargli per il suo rientro in magistratura, probabilmente a Roma, come da lui chiesto.
Ma l'audizione e' stata inevitabilmente anche l'occasione per ribadire di persona quanto denunciato nella lettera inviata prima di Natale ai consiglieri, aggiungendo anche di aver subito con ''amarezza'' anche i contrasti avuti durante il G8 di Genova.
Quindi, ha segnalato ancora una volta l'illegittimità del provvedimento firmato da Tinebra, che lo ha ''costretto'' a lasciare l'ufficio che ''non c'e' più'', subendo anche una ''mortificazione funzionale'' (''e' impossibile - ha spiegato Sabella ai consiglieri - restare in un ufficio dove ho perso prestigio professionale''). Ma soprattutto, ha avvertito, quella decisione rischia di compromettere, se non addirittura di vanificare, tutto il lavoro di monitoraggio. A cominciare da quello sui tentativi di 'dissociazione' da parte di alcuni boss mafiosi sottoposti al regime del 'carcere duro'.
Un rischio ''altissimo'', ha avvertito Sabella. Il quale ha anche ripetuto che nelle carceri italiani ci sono tantissimi posti disponibili, ma non utilizzati: ''7.000 posti nascosti'', ha spiegato.
Aspetti che però non sono stati approfonditi durante l'audizione di stamattina.
Gli atti infatti dovrebbero essere trasmessi ad un'altra commissione del Csm, la decima, che si occupa proprio di criminalità organizzata e che da tempo ha già aperto una pratica sul fenomeno della 'dissociazione'. E non è escluso che Sabella venga convocato di nuovo a palazzo dei Marescialli.
Giustizia: precisazioni del Ministero sul caso Sabella Roma, 8 gen. (Adnkronos) - Il provvedimento del 5 dicembre scorso ''non ha nè soppresso alcun ufficio nè inteso revocare alcun incarico e ciò per la semplice ragione che tale soppressione era già stata operata in via legislativa dal Dpr 6 marzo 2001 n.55 recante il regolamento di organizzazione del ministero della Giustizia, che tra l'altro nell'istituire le direzioni generali del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, non prevede quella dell'ispettorato''.
Lo precisa il ministero della Giustizia in relazione alle dichiarazioni di Alfonso Sabella nel corso dell'audizione al Csm. Lo scorso 18 settembre, il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ha incaricato l'ufficio centrale detenuti di ''procedere ad una dettagliata verifica e raccolta dei dati relativi alla ricettività detentiva a livello dei provveditorati regionali, fissando il termine per l'acquisizione degli esiti del censimento al 31 gennaio 2002''.
Quanto alla ''delicata questione circa il ventilato intendimento di alcuni detenuti sottoposti al regime speciale di cui all'art.41 bis dell'ordinamento penitenziario di dissociarsi dalle associazioni criminali di appartenenza'', è stata ''subito trattata per gli aspetti di competenza dall'ufficio detenuti e immediatamente trasmessa al procuratore nazionale antimafia''.
È interessante verificare cosa dice il d.P.R. n. 44 del 2001, l’art. 7 è quello relativo al Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria e recita:
1. Il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria esercita le funzioni e i compiti inerenti le aree funzionali individuate dall'articolo 16, comma 3, lettera c) del decreto legislativo.
2. Per l'espletamento delle funzioni del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria sono istituiti i seguenti uffici dirigenziali generali con le competenze per ciascuno di seguito indicate:
a) Direzione generale del personale e della formazione: assunzione e gestione amministrativa del personale, anche dirigenziale, amministrativo e tecnico; gestione amministrativa del personale del Corpo di Polizia Penitenziaria; relazioni sindacali; disciplina, formazione e aggiornamento del personale dell'amministrazione penitenziaria ed organizzazione delle relative strutture, salve le competenze dell'Istituto superiore di studi penitenziari;
b) Direzione generale delle risorse materiali, dei beni e dei servizi: gestione dei beni demaniali e patrimoniali, dei beni immobili, dei beni mobili e dei servizi; procedure contrattuali; edilizia penitenziaria e residenziale di servizio;
c) Direzione generale per il bilancio e della contabilità: adempimenti connessi alla formazione del bilancio di previsione e del conto consuntivo, della legge finanziaria e della legge di assestamento del bilancio; adempimenti contabili;
d) Direzione generale dei detenuti e del trattamento: assegnazione e trasferimento dei detenuti e degli internati all'esterno dei Provveditorati regionali; gestione dei detenuti sottoposti ai regimi speciali; servizio sanitario; attività trattamentali intramurali;
e) Direzione generale dell'esecuzione penale esterna: indirizzo e coordinamento delle attività degli Uffici territoriali competenti in materia di esecuzione penale esterna; rapporti con la magistratura di sorveglianza, con gli enti locali e gli altri enti pubblici, con gli enti privati, le organizzazioni del volontariato, del lavoro e delle imprese, finalizzati al trattamento dei soggetti in esecuzione penale esterna.
3. Il Capo del Dipartimento svolge altresì i compiti inerenti l'attività ispettiva ed il contenzioso relativo ai rapporti di lavoro ed alle altre materie di competenza del Dipartimento.”
.
Adesso vediamo cosa ci dice il sito del ministero della Giustizia, quanto segue:
“Ufficio per l'attività ispettiva e del controllo
DIRETTORE - Francesco Cascini
Largo Luigi Daga, 2
00164 Roma
tel. 06.66591236
e–mail: ufficioattivitaispettivaecontrollo.dap@giustizia.it
L'Ufficio è stato istituito con il DPR 6 marzo 2001 n. 55 ed ha assorbito le competenze dell'ex Ufficio centrale dell'Ispettorato.
Svolge attività ispettiva ordinaria sulla programmazione annuale nelle sedi dell'amministrazione penitenziaria, per verificare la corretta gestione amministrativa di tutte le aree degli istituti penitenziari, l'osservanza della normativa e delle disposizioni ministeriali. Svolge attività ispettiva straordinaria in concomitanza di eventi di particolare criticità.
L'Ufficio è articolato in tre settori: attività ispettiva, sala situazioni e nucleo investigativo centrale e si avvale di una segreteria tecnico-amministrativa.
Il settore ‘attività ispettiva' provvede alla preparazione, allo svolgimento di attività ispettiva di natura amministrativa e al controllo degli atti successivi alle visite ispettive.
Il settore ‘sala situazioni', istituito per realizzare il collegamento telematico tra l'amministrazione centrale e gli istituti penitenziari per favorire il flusso e l'analisi dei dati (su personale, detenuti, strutture penitenziarie) ed eventi critici, fornisce un supporto preparatorio allo svolgimento dell'attività ispettiva di natura amministrativa.
Il ‘nucleo investigativo centrale', istituito con DM del 14 giugno 2007 è incaricato di svolgere attività di polizia giudiziaria alle dipendenze funzionali e sotto la direzione dell'autorità giudiziaria, per fatti di reato commessi in tutto o in parte in ambito penitenziario o comunque direttamente ad esso collegati.”.
L’ufficio in argomento fa parte della segreteria del capo del dipartimento.
La testi sostenuta dal Dipartimento il 9 febbraio 2002, che l’ufficio ispettivo era stato soppresso a seguito del d.P.R. n. 55 del 2001, viene contraddetta da quanto oggi si legge, e cioè che esiste un ufficio per l’attività ispettiva e di controllo, che ha sostituito “l’Ufficio centrale dell’Ispettorato”, assorbendone le competenze.
Successivamente l’ufficio in argomento è stato potenziato col D.M. 14.6.2007, che ha istituito il “nucleo investigativo centrale”, ma Sabella aveva ragione a sostenere che la soppressione dell’Ufficio centrale dell’ispettorato era un atto illegittimo, tant’è che lo stesso è stato sostituito con un Ufficio con competenze ancora più ampie.
Sul sito
www.ristretti.it si legge:
“Il Nuovo on line, 29 dicembre 2001
La verità secondo Alfonso Sabella è contenuta in quelle nove pagine inviate al Consiglio superiore della magistratura. Nove pagine pesanti, in cui il magistrato (silurato dall’incarico di responsabile dell’ufficio ispettivo del Dipartimento per l’amministrazione penitenziaria) spiega il chi, dove, come, quando e il perché di una situazione deficitaria. Ed emerge un dietro le quinte fatto di contrasti proprio con il direttore del DAP, il suo collega siciliano Giovanni Tinebra che da qualche mese ha preso il posto che fu di Giancarlo Caselli.
Un contrasto, quello tra Sabella e Tinebra che è aumentato col passare dei mesi, un rapporto che si è via via incancrenito fino a spingere il magistrato palermitano a essere riammesso nei ruoli della magistratura ordinaria. Ed è stato subito accontentato dal ministro di Grazia e giustizia Roberto Castelli, che evidentemente non vedeva di buon occhio un soggetto che si era messo contro il direttore voluto dal governo.
Sabella, che sarà ascoltato dal CSM l’8 gennaio, ha ricostruito tutta la vicenda nel dossier ed è partendo da quel dossier che si confronterà con i componenti del Consiglio superiore della magistratura. Perché in quel documento ci sono parecchi fatti pesanti: a partire dalla trattativa che pezzi dello Stato hanno avviato con i boss mafiosi. E poi la gestione dei penitenziari, la gestione del personale. Insomma, quanto basta per provocare un terremoto ai vertici dell’amministrazione penitenziaria.
Nel carteggio, per esempio, è contestato il provvedimento con cui ai primi di dicembre Tinebra ha anticipato il riordino dell’ufficio cancellando la direzione dell’ispettorato, l’ufficio di Sabella appunto, e ne ha assunto la titolarità.
Ma è sulla gestione dell’ufficio che l’ex PM palermitano insiste di più: "Sono state individuate tra le strutture esistenti - scrive Sabella - alcune migliaia di posti che, per ragioni di comodo, non vengono sfruttate adeguatamente per allocarvi i detenuti (che si preferisce tenere ammassati in poche sezioni) o di cui le direzioni degli istituti non hanno segnalato l’esistenza e, in qualche caso, hanno persino arbitrariamente variato la destinazione".
Una situazione grave, accuratamente documentata da Sabella che rilancia: "L’esito del monitoraggio disposto potrebbe anche dimostrare l’inutilità della realizzazione di nuove strutture penitenziarie, la cui progettazione dipende, talvolta, solo da sollecitazioni e interessi localistici". Un fronte caldo, quello delle strutture penitenziarie, sul quale Sabella insiste: "Ho sostenuto l’opportunità di modificare alcuni piani di strutture penitenziarie di nuova concezione, attualmente utilizzati per improbabili uffici o inutili magazzini, per destinarli a sezioni definitive. Ho segnalato la paradossale situazione per cui i detenuti del circuito alta sicurezza venivano allocati in camere singole o al massimo doppie, a differenza dei detenuti comuni".
E infine il capitolo del personale, con il dito puntato sulla esiguità del procedimenti disciplinari a carico dei dipendenti trovati assenti durante la visita fiscale "a fronte di un numero di assenze per malattie del personale che non ha riscontri nel panorama italiano".
Per chiudere, il problema dei distacchi: "Viene distaccato o inviato in missione un numero di unità di personale praticamente pari a quelle che, dallo stesso istituto, sono state distaccate o mandate in missione presso altre strutture". E se da un lato Gianni Tinebra minimizza e punta a sostenere che il caso Sabella non esiste ("La vicenda non c’è – commenta Tinebra – e per il resto si commenta da sola"). Dall’altro Sabella registra un dato che mette in relazione il suo siluramento con la relazione: "I primi esiti di tale attività, diffusi formalmente con una mia nota del 24 ottobre 2001, hanno presumibilmente prodotto reazioni negative in parte della dirigenza periferica del DAP".
Carceri, il ministro "licenzia" il magistrato antimafia
CORRIERE DELLA SERA, 22 dicembre 2001

L’informazione è arrivata l’altra mattina al Consiglio superiore della magistratura: in poche righe il ministro della Giustizia Roberto Castelli ha comunicato di aver "messo a disposizione" un altro magistrato distaccato in via Arenula con la precedente gestione. Si tratta di Alfonso Sabella, ex pubblico ministero antimafia a Palermo e braccio destro di Caselli quando era direttore delle carceri. "Conformemente a quanto da lui richiesto", ha scritto il Guardasigilli annunciandone il "licenziamento", ma una ben più corposa lettera inviata al CSM dallo stesso Sabella racconta un’altra storia. Una storia che mette insieme le ultime iniziative intraprese da Sabella in qualità di responsabile dell’Ufficio centrale dell’Ispettorato, tra le quali spicca un allarme: alcuni detenuti mafiosi sottoposti al "41 bis" stanno nuovamente organizzandosi per ottenere una legge sulla dissociazione, sconti di pena e l’alleggerimento del regime di "carcere duro". La manovra, ha scritto Sabella al CSM e al ministro, si evince da alcuni episodi verificatisi nell’ultimo mese. Solo che, proprio mentre lui ne veniva a conoscenza, il nuovo direttore delle carceri Giovanni Tinebra ha soppresso il suo ufficio, lasciandolo di fatto senza incarico e senza poteri.
A far scattare l’allarme è stata una strana richiesta del detenuto Salvatore Biondino, l’"autista" di Riina arrestato insieme al boss corleonese il 15 gennaio del ‘93, mafioso di rango e già capo-mandamento di Cosa Nostra. Biondino è un "41 bis", detenuto nel carcere romano di Rebibbia, e a novembre ha presentato la domanda per svolgere il lavoro di scopino all’interno della sua sezione. Di certo, annota il magistrato, l’"uomo d’onore" forse più legato a Riina non ha bisogno delle poche migliaia di lire di paga settimanale previste per quell’impiego, che semmai rappresenta una perdita di prestigio all’interno dell’associazione mafiosa. E allora?
Allora è realistico ipotizzare che, dietro la "domandina" di Biondino, ci fosse l’esigenza di circolare più liberamente nel carcere dove sono rinchiusi Pietro Aglieri, Giuseppe Madonia, Salvatore Buscemi e Giuseppe Farinella, i boss che - insieme a Pippo Calò - un anno e mezzo fa tentarono di avviare una trattativa con lo Stato per ottenere la dissociazione. In quell’operazione, proprio a Biondino era stato attribuito il ruolo di mediatore, anche nei confronti di detenuti appartenenti ad altre organizzazioni criminali.
Nel gennaio 2000, secondo notizie non smentite, lo stesso Biondino s’era incontrato con il procuratore nazionale antimafia Piero Luigi Vigna, al quale avrebbe offerto la possibilità di una dissociazione da Cosa Nostra sua e degli altri boss, per ottenere benefici senza diventare "pentiti" e quindi senza accusare nessuno. L’iniziativa, all’epoca, non ebbe seguito, anche per il deciso "no" dell’allora ministro Fassino e dell’ex direttore del DAP Caselli, finché a settembre di quest’anno una lettera del "cassiere della mafia" Pippo Calò ha riproposto il tema della dissociazione.
Ma il Biondino aspirante scopino, forse per contattare gli altri mafiosi, non è l’unico segnale. Nello stesso periodo il capo della ‘ndrangheta calabrese Antonino Imerti aveva inviato al DAP e alla Procura di Reggio Calabria una lettera nella quale si dice pronto a "chiudere con il passato" e a "rispettare le leggi dello Stato", in cambio degli sconti di pena concessi ai terroristi dissociati.
Per Sabella ce n’era abbastanza per far scattare l’allarme, avvertire Tinebra e sollecitare una maggiore sorveglianza dei detenuti sottoposti al carcere duro ed evitare contatti tra chi non appartiene agli stessi "gruppi di socialità". L’informazione era giunta anche al direttore dell’ufficio detenuti del Dipartimento - Francesco Gianfrotta, pure lui in uscita dal ministero - il quale ha sottoscritto le considerazioni di Sabella e ha aggiunto un particolare non irrilevante: Biondino e Imerti, a Rebibbia, vivono nella stessa cella.
La catena delle "coincidenze temporali" non si ferma qui. L’8 dicembre, nel carcere palermitano dell’Ucciardone, è andata in scena una protesta dei detenuti contro il sovraffollamento e per l’abolizione del "41 bis". E il giorno dopo, sempre a Palermo, da un pacco di patatine in vendita in un supermercato è saltata fuori una siringa; un episodio sul quale la Procura ha aperto un’inchiesta, e che potrebbe essere del tutto slegato dagli altri fatti, se non ci fosse un precedente inquietante: il progetto mafioso di disseminare di siringhe sporche di sangue le spiagge italiane nel 1993, all’indomani dell’arresto di Riina, quando Cosa Nostra voleva imporre allo Stato una trattativa dopo la stagione delle stragi.
La soppressione dell’ufficio che dirigeva, scrive Sabella, ha impedito al magistrato di seguire gli sviluppi della vicenda. Anche per questo, a metà dicembre, ha chiesto al ministro di valutare il provvedimento di Tinebra, ed eventualmente l’opportunità di rimetterlo "a disposizione del CSM". Pochi giorni dopo è arrivata la risposta di Castelli: non avendo nulla da dire su quanto deciso dal direttore del DAP, Sabella tornerà a fare il magistrato da qualche altra parte. Lontano dalle carceri.
Estromesso l’ex braccio destro di Caselli
Sabella si appella al CSM, verrà ascoltato l’8 gennaio
Il Piccolo, 23 dicembre 2001
ROMA - Scoppia un altro caso che riguarda la "ristrutturazione" degli uffici in corso. Alfonso Sabella, ex PM antimafia a Palermo e braccio destro di Caselli, ha scritto al CSM denunciando di essere stato estromesso, o comunque lasciato senza incarico e senza poteri dal nuovo direttore delle carceri Giovanni Tinebra. Sabella aveva appena denunciato manovre dei detenuti sottoposti al carcere duro previsto dal 41 bis, che si stavano organizzando per ottenere una legge sulla dissociazione e un regime meno severo.
Il CSM ascolterà Alfonso Sabella il prossimo 8 gennaio. Lo farà la terza commissione dell’organo di autogoverno della magistratura, che ha competenza sul collocamento fuori ruolo e sul rientro in ruolo delle toghe. Ufficialmente dunque - secondo quanto si è appreso - il CSM ascolterà l’ex responsabile dell’Ufficio centrale dell’ispettorato del Dipartimento amministrazione penitenziaria (DAP) per chiedergli quale sede vorrebbe che gli fosse assegnata per il suo rientro in ruolo. Non è tuttavia escluso che Sabella venga sentito anche su altre questioni.
Nella lettera ricevuta dal CSM, infatti, Sabella scrive che è "illegittimo" il provvedimento del nuovo direttore del DAP, Giovanni Tinebra, di sopprimere l’Ufficio centrale dell’ispettorato, e che tale provvedimento rischia di compromettere il suo lavoro di monitoraggio sulla dissociazione mafiosa. Sulla questione inoltre - sempre secondo quanto si è appreso - potrebbe essere competente anche la decima commissione del CSM che si occupa di criminalità organizzata.
Il ministro della Giustizia, Roberto Castelli, definisce "un caso montato sul nulla" la polemica del magistrato Alfonso Sabella che ha lamentato di essere stato estromesso dal ministero. Tenendo tra le mani le notizie delle agenzie, il ministro ha aperto la sua conferenza stampa a Napoli - dove ha incontrato i vertici degli uffici giudiziari e gli avvocati - affermando: "Tengo a precisare che ho ricevuto una lettera del dottor Sabella in cui mi chiedeva di rientrare in ruolo. Se il dottor Sabella vuole rientrare al ministero dove, peraltro, ha sempre ricoperto un ruolo secondario, può farlo domani mattina. Ma si sta montando un caso inesistente. Mi pare che qui siamo veramente al di là del bene e del male affermando che Sabella sarebbe stato licenziato da me".”
Insomma, era Sabella scomodo ed i motivi non potevano che essere la relazione al CSM sui posti-letto per detenuti ‘non reperibili’, la denuncia del pericolo di un allentamento della vigilanza sui detenuti di cui all’art. 41 bis, la scarsa vigilanza sulle malattie degli agenti di polizia penitenziaria, singolarmente o assieme.

Luigi Morsello

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