giovedì 9 ottobre 2008

Mafia, massoneria, imprenditoria, giustizia: un’inchiesta che da Palermo risale l’Italia


ROBERTO ORMANNI
DIRETTORE DE
IL PARLAMENTARE
Nella rete un Gran Maestro, un sacerdote gesuita, una poliziotta, due finanzieri, un cancelliere della Cassazione…

Il Gran Maestro della massoneria Stefano De Carolis Villas, il sacerdote gesuita Ferruccio Romanin rettore della chiesa di Sant’Ignazio di Loyola a Roma, Rodolfo Grancini presidente del Circolo del Buon Governo di Arezzo di Marcello Dell’Utri, l’ausiliario di cancelleria della seconda sezione penale della Corte di Cassazione Guido Peparaio, due sottufficiali della Guardia di Finanza, Francesca Surdo agente di polizia in servizio alla Direzione anticrimine di Roma e originaria di Palermo, il ginecologo palermitano Renato Gioacchino De Gregorio, gli imprenditori Michele Accomando di Mazara del Vallo, Calogero Licata e Calogero Russello di Agrigento, Nicolò Sorrentino di Marsala. Questo il “catalogo” (ricordate? il Don Giovanni di Mozart: “madamina il catalogo è questo”…) dell’inchiesta nota come “Operazione Hiram”, un’indagine della direzione distrettuale antimafia di Palermo che sta attraversando l’Italia portando alla luce i rapporti tra massoneria, imprenditoria e mafia dove il denominatore comune starebbe, secondo le accuse fino a questo momento contestate, nell’interesse a bloccare processi scomodi per “gli amici degli amici”: dai boss della mafia ai professionisti e imprenditori palermitani.

Un’inchiesta che a giugno scorso ha portato il gip di Palermo, Roberto Conti, a firmare otto ordinanze di custodia tra carcere e arresti domiciliari (Accomando, De Gregorio, Grancini, Licata, Peparaio, Russello, Sorrentino, Surdo) per reati che vanno dal concorso esterno in associazione mafiosa, alla corruzione in atti giudiziari, peculato, accesso abusivo in sistemi informatici giudiziari e rivelazione di segreto d'ufficio.

Gli altri personaggi coinvolti, dal Gran Maestro Stefano De Carolis Villas al sacerdote Ferruccio Romanin, per finire con i due sottufficiali della Guardia di Finanza, sono “soltanto” indagati: favoreggiamento aggravato dall’aver agevolato un’associazione mafiosa per il sacerdote, concorso esterno in associazione mafiosa per il Gran Maestro, rivelazione di segreto d’ufficio per i due finanzieri.

E dopo gli arresti di giugno il procuratore aggiunto di Palermo Roberto Scarpinato, insieme con i pm Paolo Guido, Fernando Asaro e Piero Padova, sono stati nei giorni scorsi a Roma, negli uffici del Reparto Operativo dei carabinieri, per interrogare il Gran Maestro De Carolis Villas, i due sottufficiali delle Fiamme Gialle e, in precedenza, il gesuita Romanin.

Nel corso delle indagini intercettazioni telefoniche, ma anche dichiarazioni e ammissioni degli stessi indagati, hanno consentito agli inquirenti di ricostruire, almeno in parte, il funzionamento e gli obiettivi dell’organizzazione e i vantaggi garantiti agli amici.

Chi si avvicinava al “club blocca-processi” aveva, naturalmente, qualche problema con la giustizia:

Michele Accomando, imprenditore, era finito in carcere nel 2007 per un'inchiesta su appalti pubblici pilotati ed è stato in seguito condannato in primo grado per mafia a nove anni e quattro mesi;

Renato Gioacchino Giovanni De Gregorio, ginecologo, condannato anche in appello per violenza sessuale su una minorenne e dal 2005 pende in Cassazione il suo ricorso;

Calogero Licata, imprenditore, è accusato di aver tentato di insabbiare in Cassazione alcuni procedimenti penali che riguardavano boss mafiosi di Agrigento e Trapani;

Calogero Russello, imprenditore agrigentino, imputato per reati di mafia.

Alla regia Rodolfo Grancini, indicato dagli investigatori come un faccendiere, in contatto con diversi senatori e deputati, considerato “una personalità poliedrica inserita in un giro di amicizie altolocate”, che avvalendosi di persone “prezzolate” (alcune già note agli inquirenti, altre ancora ignote) all'interno della Cassazione, secondo l'accusa era riuscito a congegnare un sistema che gli consentiva di acquisire notizie riservate sullo stato dei procedimenti e di pilotare la trattazione dei ricorsi proposti alla suprema Corte dai suoi “clienti”.

Comprimari erano Guido Peparaio, addetto alla cancelleria della seconda sezione della Corte di Cassazione con la qualifica di ausiliario, l’agente di polizia Francesca Surdo e i due sottufficiali della Finanza.

Special guest star il sacerdote gesuita: nella sua sacrestia si incontravano i “Grancini boys” per preparare le loro strategie. Non solo: padre Romanin provvedeva, quando era opportuno, a scrivere lettere ai giudici per segnalare la “bontà d’animo” di alcuni “bravi ragazzi”, come Epifanio Agate, figlio del capomafia di Trapani, detenuto alla ricerca degli arresti domiciliari.

Segnalare una causa, individuare al computer il numero del fascicolo corrispondente alla Suprema Corte, riporlo in un cassetto e attendere la prescrizione: ecco il compito dell’organizzazione.

Con gli uomini giusti al posto giusto – e qualche migliaio di euro quando necessario – si poteva giungere, talvolta, a condizionare addirittura il merito del giudizio. Magari annullando provvedimenti del tribunale del riesame.Così un condannato come Calogero Russello poteva evitare il carcere e starsene a casa a godersi gli arresti domiciliari. Un lusso che si sarebbe preso fino a tempo indeterminato se non fosse sorto il dubbio nei pm di Palermo che, di fatto, hanno nuovamente “trasferito” Russello nella Casa circondariale di Agrigento.

Di Russello, il 25 gennaio 2006, parla Rodolfo Grancini nel corso di una telefonata con Nicolò Sorrentino di Marsala.

L’imprenditore di Agrigento era stato arrestato il 29 marzo 2004 nell'ambito dell’operazione “Alta Mafia” perché accusato (anche dai pentiti Angelo Siino e Pasquale Salemi) di avere assunto un ruolo di cerniera tra politica, mondo imprenditoriale locale e ambienti mafiosi. Ma nel settembre successivo ottiene gli arresti domiciliari.

Oggetto della conversazione telefonica: impedire che diventasse definitivo il provvedimento del tribunale del riesame che dopo il ricorso dei pm, il 7 ottobre 2005, aveva ripristinato la custodia in carcere per Russello.

Per fare “il lavoro me ne faccio dare quindici”, dice Sorrentino che allude – secondo i pm – alla somma, in migliaia di Euro, che l’imprenditore era disposto a pagare per l'annullamento del provvedimento. E poi l'accenno a una “rete di contatti romani” composta da dipendenti della Suprema Corte in grado di acquisire informazioni riservate presso le cancellerie e di insabbiare i procedimenti in corso: una “squadra di pubblici ufficiali infedeli” – scrive l’accusa – che avrebbe fatto capo a Guido Peparaio.

Il piano sarebbe andato a buon fine se i pm della Dda non avessero invitato gli uffici giudiziari interessati a fare una verifica. Come ha poi spiegato il responsabile della cancelleria del tribunale di Palermo, che ha guastato la festa all’imprenditore, “l'ordinanza di ripristino della custodia cautelare in carcere firmata il 3 febbraio 2006 avrebbe continuato a giacere per un tempo non definibile”.

Russello (oltre ad andare in carcere) va su tutte le furie e quando l'8 gennaio 2007 la Corte d'appello di Palermo, a sorpresa, lo assolve dal reato di associazione mafiosa condannandolo alla sola pena di 2 anni di carcere per corruzione e rimettendolo quindi in libertà, si presenta a Grancini e gli chiede indietro il denaro che aveva versato.

Per la cronaca: la sentenza della Corte d’appello è stata poi annullata con rinvio, il 3 dicembre 2007, dalla Cassazione. Il nuovo processo che si dovrà celebrare in questi mesi dovrà valutare anche le nuove dichiarazioni, contro Russello, dei pentiti Maurizio Di Gati, negli anni 2000/2002 reggente per conto di Cosa Nostra della intera provincia di Agrigento, e Giuseppe Salvatore Vaccaro, affiliato alla famiglia mafiosa di Santa Elisabetta. Calogero Russello intanto è oggi agli arresti domiciliari, concessi per gravi motivi di salute dal gip Roberto Conti con la misura cautelare emessa a giugno 2008.

Negli atti dell’inchiesta è anche ricostruito il “percorso” che ha portato gli investigatori sulle tracce di Rodolfo Grancini. Tutto è cominciato dalle intercettazioni telefoniche sulle utenze dell’imprenditore di Mazara del Vallo Michele Accomando, a sua volta individuato perché in contatto con Salvatore Tamburello, anziano uomo d'onore coinvolto in un'indagine sugli affari delle famiglie mafiose della stessa Mazara e di Castelvetrano oltre che sulle attività di copertura della latitanza dei boss Andrea Manciaracina e Natale Bonafede, arrestati a Marsala nel 2003.

E’ su questo canale che carabinieri e magistrati intercettano un altro intervento dell’organizzazione. Bisogna dare una mano ad un “amico” di Mazara: Giovanbattista Agate, fratello del più noto Mariano Agate, storico capomandamento mazarese.

Più volte condannato per il delitto di associazione mafiosa (pena interamente scontata) Giovanbattista Agate aveva subito un'ulteriore condanna per il delitto di appropriazione indebita commessa al fine di agevolare Cosa Nostra e proposto, per questo, ricorso in Cassazione. Pratica che risaliva al 2003, ma che grazie all'intervento degli indagati dormiva ancora in un armadio della Suprema Corte in attesa della prescrizione.

Per questo “caso” interviene direttamente Michele Accomando, intermediario tra il duo Grancini-Peparaio e il boss di Agrigento e in stretto contatto con Calogero Licata, coinvolto nella gestione della vicenda processuale tanto da tenere nel proprio ufficio di Canicattì la documentazione relativa al condannato.

Ma il lavoro della Direzione antimafia di Palermo sta bloccando gli ingranaggi e nel marzo del 2007 viene inaspettatamente fissata l'udienza nel corso della quale i giudici avrebbero discusso del ricorso di Agate. Evento inatteso che rischia di far saltare non solo i piani, ma anche qualche testa. “Ma Rodolfo, forse non ci siamo capiti – è la voce di Licata, il 1° marzo 2007 – questa doveva andare a finire… avevamo detto il 30 agosto invece c'è il 29 di marzo l'udienza, hai capito quale pratica è? Quella che inizia con la A… ehhh Rodo’, cioè qua non ci sono santi che tengono, non c'è qua né Nicola né Antonio Calì né cazzi né mazzi, questi sono quelli di Castelvetrano che gli abbiamo dato la certezza per agosto!... con questi non possiamo scherzare”.

La preoccupazione dell’imprenditore Calogero Licata, secondo i pm, è causata dai rapporti tra la famiglia Agate di Mazara e gli esponenti del mandamento di Castelvetrano, quello che fa capo a Matteo Messina Denaro, capo della provincia di Trapani.

Analoga preoccupazione emerge anche nei discorsi con l'avvocato Stefano De Carolis Villas, Gran Maestro della Loggia Unità d’Italia, anche lui impegnato – secondo le accuse che gli sono state contestate nell’interrogatorio svoltosi a Roma nei giorni scorsi – nella “corruzione di ufficiali giudiziari ignoti da identificare”.

Il Gran Maestro sarebbe direttamente intervenuto per tentare di recuperare il “caso Agate” tanto che Grancini riesce a far slittare l’udienza dal 29 marzo al 5 giugno (la prescrizione si sarebbe compiuta alla fine di agosto 2007) senza però poter garantire un “lieto fine” per “colpa della procura di Palermo”.

Il 7 maggio, infatti, Accomando viene arrestato con l’accusa di associazione mafiosa, detenzione illegale di armi da sparo e turbativa d'asta. Il 19 giugno 2007 Giovanbattista Agate torna in carcere.

Una delle pedine di Grancini è la poliziotta Francesca Surdo. Di origini palermitane, è amica del ginecologo De Gregorio (quello condannato per violenza sessuale su una minore) ed è lei a presentare il medico a Rodolfo Grancini. La Surdo è disponibile a fornire notizie su indagini di polizia giudiziaria o su denunce pendenti attraverso l'Archivio informativo nazionale delle forze di Polizia.

Nel corso di una telefonata del 3 luglio 2006 Grancini si vanta, con la poliziotta, di riuscire ad incontrare “alti ufficiali delle forze dell’ordine” tramite – a suo dire – Marcello Dell’Utri. Incontri che avvenivano “nella sagrestia di una chiesa, dove non ci sono microspie”.

“Ci vedo generali e colonnelli dei carabinieri – dice Grancini – un colonnello di Asti, uno di Prato, un altro del Ministero di Grazia e Giustizia… mi sono venuti a parlare dentro la chiesa, oppure li porto sopra nelle stanze segrete, perché volevano scendere in politica”.

Uno di questi, sempre secondo Grancini, “è il colonnello Filipponi, che sta al Ministero di Grazia e Giustizia, con l'Udc, che però non è stato eletto”. E il presidente del Circolo del Buon Governo di Arezzo spiega alla poliziotta che “per essere eletto ci vogliono un sacco di soldi, perché non ti devi fidare degli amici, hai capito? Ti devi fidare dei nemici, perché i nemici si comprano e diventano fedeli”.

La chiesa alla quale fa riferimento Grancini è quella di Sant’Ignazio di Loyola a Roma, affidata al gesuita Padre Ferruccio Romanin.

“I gesuiti – dice in una telefonata Michele Accomando – cummananu tuttu ‘u munnu e tutti li duttura, li commercialisti, li magistrati, passano pe’ ‘e scole loro (comandano nel mondo e tutti i professionisti vengono dalle loro scuole, n.d.r)”.

Interrogato dai pm, il Padre gesuita non ha smentito gli incontri e le conoscenze. Il verbale è allegato agli atti del tribunale del riesame di Palermo che si è pronunciato sulle richieste di scarcerazione avanzate dagli arrestati a giugno scorso.

“Ho messo a disposizione di Rodolfo Grancini – dichiara il gesuita – la mia sacrestia per incontrarsi con alcuni suoi amici, ai quali faceva riferimento come 'onorevoli'. Non ricordo in questo momento i nomi delle persone che si incontravano con Grancini. Non ricordo neanche di aver visto tali persone in televisione ma posso dire che con alcune di queste Grancini si è incontrato più volte. Ricordo che Grancini mi disse che stava cercando di fondare una università internazionale a Roma. Si trattava di incontri riservati in sacrestia – aggiunge Romanin – ai quali comunque io non partecipavo e dei quali quindi non conosco il contenuto”.

“Questi incontri riservati – conclude il sacerdote – durarono fino a quando il mio superiore, Francesco Deluccia, venuto a conoscenza del fatto, mi disse ad un certo punto che Grancini non era persona affidabile in quanto disonesto e quindi le sue riunioni in sacrestia dovevano cessare”.

Per quanto riguarda due lettere a sua firma, una indirizzata ad un giudice di Reggio Calabria che doveva decidere sugli arresti domiciliari chiesti da Epifanio Agate, e l’altra in favore di Dario Gancitano, genero di Accomando, il gesuita dichiara di non aver ricevuto alcuna somma di denaro.

“Grancini – spiega ai magistrati il rettore della chiesa di Sant’Ignazio di Loyola – mi disse che Agate era implicato in vicende di mafia, senza però specificarmi altro… ha fatto leva sul mio senso di umanità. Egli non mi ha mai detto che avrebbe utilizzato queste lettere per depositarle davanti all'autorità giudiziaria: mi disse che si trattava di aiutare una persona in gravi guai morali. Io gli dissi che ero disposto ad aiutare la persona, precisando sempre di non voler influenzare il procedimento giudiziario”.

Il testo delle lettere è agli atti dell’inchiesta. Eccone uno stralcio: “Sono rimasto colpito dalla vicenda giudiziaria che ha colpito questo ragazzo e dal profondo dolore di queste sue donne. Mi pregano di scrivere alle vostre illustrissime signorie per un atto di clemenza e di perdono nei confronti di Agate Epifanio. Era venuto con la fidanzata per sentire se il loro matrimonio poteva essere celebrato in questa chiesa. Ho avuto l’impressione che fosse un ragazzo a posto, pieno di vita e di progetti con la sua futura moglie, con una certa venerazione del nostro fondatore sant’Ignazio”. Il sacerdote conclude con “una richiesta di equità e perdono”.

Anche Francesca Surdo e il ginecologo De Gregorio scelgono una linea collaborativa con gli inquirenti.

“In merito agli interventi illeciti in Cassazione – ha dichiarato la poliziotta, la cui posizione è stata stralciata e trasmessa alla Procura di Roma – il Grancini mi disse che il prezzario era diverso a seconda che si dovesse ottenere una semplice visualizzazione dello stato del procedimento ovvero si sarebbe dovuto ottenere una dilazione nella trattazione del ricorso”.

In riferimento alla posizione processuale del pregiudicato di Mazara del Vallo Giuseppe Burzotta, per il quale la poliziotta avrebbe dovuto eseguire accertamenti per conto del Grancini, “preciso – prosegue il verbale di interrogatorio – che lo stesso Grancini mi motivò la sua richiesta poiché il Burzotta era interessato assieme all'Accomando per la realizzazione di un impianto di riciclaggio patrocinato, a suo dire, dal Vaticano”.

Fu proprio “spendendo” il nome della Santa Sede che Grancini “fece colpo” sulla poliziotta. E’ lei stessa a raccontarlo ai pm: “lo incontrai la prima volta a bordo di un aereo sulla tratta Roma-Palermo nel maggio 2006. Eravamo seduti accanto e iniziammo a chiacchierare. Lui si presentò, dandomi un biglietto da visita, come un funzionario del Vaticano in visita a Mazara per ragioni ispettive della curia vescovile”.

In quel periodo le indagini della Dda di Palermo erano già nel vivo e il 19 luglio 2006 un pedinamento porta la polizia giudiziaria a Roma per seguire Calogero Licata e Nicola Sorrentino che si sarebbero dovuti incontrare con Grancini e l’ausiliario di cancelleria della Cassazione, Peparaio, in riferimento ad una vicenda giudiziaria riguardante lo stesso Sorrentino. Ma l’incontro salta perché il cancelliere ha un impegno imprevisto e così il terzetto Grancini-Licata-Sorrentino viene pedinato fino ad un bar del centro dove s’incontra con i senatori Marcello Dell’Utri e Nicola Formichella, responsabile di un Circolo Giovani. Scopo dell’incontro, accertano gli inquirenti, è l’apertura di una sede del Circolo a Canicattì, in Sicilia, il cui responsabile avrebbe dovuto essere l’imprenditore Calogero Licata. Dopo qualche minuto però Licata, Sorrentino e il senatore Formichella si allontanano separatamente e seduti al bar restano solo Rodolfo Grancini e Marcello Dell’Utri a discutere per un po’.

Nelle settimane successive gli inquirenti di Palermo perquisiscono il Circolo del Buon Governo di Arezzo presieduto da Rodolfo Grancini. Ufficialmente la struttura è chiusa da un anno ma, secondo l’inchiesta, avrebbe proseguito la propria attività con 2.200 iscritti tra cui ambasciatori, prelati e dirigenti ministeriali.


Roberto Ormanni

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