28/11/2008
IGOR MAN
IGOR MAN
«È una strage», dice Angiolo Marroni. Non si riferisce a Mumbai bensì all’Italia. Meglio: alle carceri italiane. A spingerlo a parlar di «strage» è Emiliano L., 35 anni, morto in cella nel carcere di Viterbo. Un «decesso misterioso» che ha spinto la Procura ad aprire un fascicolo «contro ignoti». Angiolo Marroni è il «garante regionale» dei detenuti. Una funzione certamente nobile, nelle intenzioni. Un pannicello caldo, nei fatti. Vediamo.
Il ministro della Giustizia, Alfano, lo ricorderete, ha proposto di affrontare con realismo e un minimo di pietas l’annoso problema-carceri. Spicca nella bozza del suo ddl la «messa in prova». E cioè: sotto la soglia d’un reato che non superi i 4 anni, si può, se incensurati, scontare la pena fuori dal carcere. Il ddl è parente stretto della probation anglosassone. Ha il pregio di «costringere» chi ha errato a danno del prossimo a cercare una sorta di riabilitazione sociale nel lavoro: sia di concetto, sia manuale. Di più: può in qualche misura sfollare le carceri che letteralmente scoppiano. La popolazione carceraria italiana è in «travolgente crescita»: mille detenuti ogni mese. Abbiamo nelle patrie galere 58.426 carcerati a fronte d’una capienza di 42.562. Se il trend è questo, e lo è, nella prossima primavera «verrà superato il limite (tollerabile) di 63 mila detenuti».
La probation è congegnata dall’avvocato Ghedini che tuttavia è visto come un giurista sol preoccupato di evitare leggi che possano «disturbare qualcuno». C’è, poi, a insidiare la probation la «fissa» della Lega che la vede alla stregua di un «favore» agli extracomunitari. Il ministro Maroni, anch’egli contrario, ha tirato fuori l’oramai decrepito «problema delle carceri»: occorre un piano edilizio, le carceri scoppiano, eccetera. Anche per La Russa: prima le carceri, poi il resto. Sono pressappoco 60 anni che il Vecchio Cronista sente parlare di carceri da costruire e da ristrutturare. Molte chiacchiere, niente fatti. La settimana scorsa in Palazzo Chigi-bis (la residenza di Berlusconi) il premier ha convocato gli «addetti ai lavori» per discutere del ddl di Alfano. Sappiamo di un intervento cristianamente audace, politicamente lucido di Gianni Letta che potremmo paragonare a una bilancia coi giusti pesi; ci auguriamo che quando questo scritto uscirà, il governo sia evaso dal tunnel.
Al tempo di Tangentopoli il Vecchio Cronista percorse San Vittore dalle 7 del mattino alle 7 della sera. Una ricognizione che mi ha lasciato, dentro, una cicatrice complicata. «Noi responsabili delle carceri - mi disse Pagano, il direttore - insistiamo da anni sulla necessità d’una profonda riforma che sia anche edilizia. Un recluso, innocente o colpevole che sia, è innanzitutto un essere umano ma la civiltà dei consumi se ne accorge solo quando scoppia la rituale sommossa. È ingiusto, incauto comportarsi così». Abito da 57 anni nella vecchia Roma, a un passo da Regina Coeli e sono 57 anni che sento e leggo della sua «prossima» chiusura: per farne addirittura un hotel di lusso. Ma la vecchia galera è sempre lì. Fu costruita nel 1881, ha celle simili a sepolcreti: 17 mattonelle per otto. In tanto angusto spazio che contiene la tazza del cesso, stanno in media due persone.
«Drento Regina Coeli c’è ‘na campana / possi morì ammazzato chi la sona / La sona ‘n boiaccia de carne umana». Così cantano i carcerati e le loro voci arrivano al Gianicolo, dove bivaccano i famigliari dei prigionieri. I parenti affidano al vento richiami e messaggi. È una tradizione che non s’arrende, un rito amaro, non senza solennità.
Il ministro della Giustizia, Alfano, lo ricorderete, ha proposto di affrontare con realismo e un minimo di pietas l’annoso problema-carceri. Spicca nella bozza del suo ddl la «messa in prova». E cioè: sotto la soglia d’un reato che non superi i 4 anni, si può, se incensurati, scontare la pena fuori dal carcere. Il ddl è parente stretto della probation anglosassone. Ha il pregio di «costringere» chi ha errato a danno del prossimo a cercare una sorta di riabilitazione sociale nel lavoro: sia di concetto, sia manuale. Di più: può in qualche misura sfollare le carceri che letteralmente scoppiano. La popolazione carceraria italiana è in «travolgente crescita»: mille detenuti ogni mese. Abbiamo nelle patrie galere 58.426 carcerati a fronte d’una capienza di 42.562. Se il trend è questo, e lo è, nella prossima primavera «verrà superato il limite (tollerabile) di 63 mila detenuti».
La probation è congegnata dall’avvocato Ghedini che tuttavia è visto come un giurista sol preoccupato di evitare leggi che possano «disturbare qualcuno». C’è, poi, a insidiare la probation la «fissa» della Lega che la vede alla stregua di un «favore» agli extracomunitari. Il ministro Maroni, anch’egli contrario, ha tirato fuori l’oramai decrepito «problema delle carceri»: occorre un piano edilizio, le carceri scoppiano, eccetera. Anche per La Russa: prima le carceri, poi il resto. Sono pressappoco 60 anni che il Vecchio Cronista sente parlare di carceri da costruire e da ristrutturare. Molte chiacchiere, niente fatti. La settimana scorsa in Palazzo Chigi-bis (la residenza di Berlusconi) il premier ha convocato gli «addetti ai lavori» per discutere del ddl di Alfano. Sappiamo di un intervento cristianamente audace, politicamente lucido di Gianni Letta che potremmo paragonare a una bilancia coi giusti pesi; ci auguriamo che quando questo scritto uscirà, il governo sia evaso dal tunnel.
Al tempo di Tangentopoli il Vecchio Cronista percorse San Vittore dalle 7 del mattino alle 7 della sera. Una ricognizione che mi ha lasciato, dentro, una cicatrice complicata. «Noi responsabili delle carceri - mi disse Pagano, il direttore - insistiamo da anni sulla necessità d’una profonda riforma che sia anche edilizia. Un recluso, innocente o colpevole che sia, è innanzitutto un essere umano ma la civiltà dei consumi se ne accorge solo quando scoppia la rituale sommossa. È ingiusto, incauto comportarsi così». Abito da 57 anni nella vecchia Roma, a un passo da Regina Coeli e sono 57 anni che sento e leggo della sua «prossima» chiusura: per farne addirittura un hotel di lusso. Ma la vecchia galera è sempre lì. Fu costruita nel 1881, ha celle simili a sepolcreti: 17 mattonelle per otto. In tanto angusto spazio che contiene la tazza del cesso, stanno in media due persone.
«Drento Regina Coeli c’è ‘na campana / possi morì ammazzato chi la sona / La sona ‘n boiaccia de carne umana». Così cantano i carcerati e le loro voci arrivano al Gianicolo, dove bivaccano i famigliari dei prigionieri. I parenti affidano al vento richiami e messaggi. È una tradizione che non s’arrende, un rito amaro, non senza solennità.
1 commento:
Ho chiesto al dr. Pagano un commento.
Dubito che me lo farà.
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