10 Dicembre 2008
Riporto una mia intervista pubblicata sul quotidiano "Libero", di oggi mercoledì 10 dicembre, in tema di giustizia ed elezioni abruzzesi.
Libero: Nel PD si discute della questione morale, una dozzina di loro amministratori sono finiti sotto inchiesta. Se l'aspettava?
Antonio Di Pietro: Non mi piace parlare di questione morale. Ma non sono per niente sorpreso. La sorpresa, semmai, sta nel fatto che solo oggi si parli di qualche diessino coinvolto nelle indagini. Dagli anni Novanta dico che il malcostume è trasversale e coinvolge tutti i partiti.
Libero: Ma, scusi, chi doveva “parlarne” se non i magistrati?
Antonio Di Pietro: Il magistrato è come il chirurgo, opera quando il timore ormai è manifestato. Bisogna fare una attività di prevenzione, la classe politica doveva farlo.
Libero: Una volta, durante Tangentopoli, i politici finivano in galera. Molti di questi li ha portati dentro lei. Perché non succede più?
Antonio Di Pietro: Una volta era accettata l'idea che chi ruba deve pagare. Quando Mario Chiesa o Duilio Poggiolini sono finiti in galera, l'opinione pubblica ha considerato quell'atto come un atto di giustizia. Adesso, a furia di criminalizzare la magistratura, sembra che la colpa sia di chi scopre i reati e non di chi li commette. Il fatto più eclatante? Quello di Catanzaro. C'era una inchiesta che colpiva tutti ed è stata fermata. Ciò dimostra che poi, alla fine, esiste un “partito unico della mazzetta”.
Libero: Ma lei pensa davvero che esista una nuova P2 che coinvolge militari, magistrati, politici, Vaticano, come sostiene Luigi De Magistris?
Antonio Di Pietro: Soltanto una inchiesta approfondita poteva accertarlo. Ma risolvere la faccenda in maniera extraprocessuale è una ammissione di colpa del sistema, dimostra che qualcuno ha la coda di paglia...
Libero: Torniamo al Pd e ai suoi guai. Bassolino e gli altri. Qualcuno, a sinistra, sospetta che si tratti di una “inchiesta politica”. Lo è?
Antonio Di Pietro: Non mi stupisco. Già con Mani pulite furono quelli di sinistra i primi a dire che i magistrati abusavano delle loro funzioni. Poi arrivò la destra, infine Silvio Berlusconi. Le inchieste di questi giorni, quelle che coinvolgono i sindaci del Pd (di Bassolino ho chiesto le dimissioni), dimostrano che bisogna rendere obbligatorie delle regole etiche.
Libero: Ma non dovrebbero bastare le leggi?
Antonio Di Pietro: Fatta la legge, trovato l'inganno. Il messaggio che ci trasmettono queste inchieste è che il sistema è ingegnerizzato. Perché dico che la situazione è più grave che nel '92. Allora c'era la banale bustarella, ora c'è un sistema che rende legale ciò che non lo è.
Libero: A cosa si riferisce?
Antonio Di Pietro: Alle consulenze, agli incarichi conferiti dalle società di capitale. Ce ne sono 4800, costituite con soldi pubblici. Poi, ovviamente, mi riferisco ai finanziamenti ai partiti. Certo, sono dichiarati. Ma se un imprenditore contribuisce alla campagna elettorale di un politico lo fa per amore ideologico o perché vuole qualcosa in cambio? E se, come ci sono, esistono imprese che mandano soldi a tutti i partiti? E' un tentativo di compravendita.
Libero: Veniamo al suo codice etico, che l'Idv vuole imporre agli alleati.
Antonio Di Pietro: Lo abbiamo già presentato anche come proposta di legge. Prevede la non candidabilità delle persone condannate e la non possibilità di svolgere incarichi centrali o locali per chi sia stato rinviato a giudizio per reati gravi.
Libero: Il codice è già stato sperimentato in Abruzzo dove l'Idv, per la prima volta, esprime il candidato governatore.
Antonio Di Pietro: Il modello Abruzzo è una formula shock, un modello con cui cerchiamo in via spontanea di frenare il fenomeno. Perché, non dimentichiamolo, lì non si va a votare normalmente, ma perché “è piovuto, governo ladro”. E le cose poco chiare sono cominciate con il centrodestra e continuate con il centrosinistra. Tutti i nostri candidati hanno presentato certificato penale e dimostrato che non hanno carichi pendenti. Lo stesso hanno fatto tutti gli alleati. Non vogliamo gente che la mattina va al consiglio regionale e il pomeriggio in Procura.
Libero: I sondaggi dicono che l'Idv quadruplica i consensi. Il candidato di Italia dei Valori e Pd, Carlo Costantini, potrebbe pure farcela. Pensa che Veltroni, qualora doveste vincere, si rimangerà quell' “ex alleato” che le riservò qualche settimana fa?
Antonio Di Pietro: Il risultato in Abruzzo è un messaggio all'Italia di domani. Se vinciamo, questa metodologia di lavoro, questa alleanza, può essere esportata nel resto del Paese. Berlusconi, tra l'altro, ci sta dando una mano con le sue passerelle continue, abusa della pazienza degli abruzzesi.
Libero: Ma l'Udc, corteggiatissima da parti del Pd, non vi vuole. Sareste disposti a sedervi al loro tavolo e studiare alleanze future?
Antonio Di Pietro: Noi ragioniamo oltre le sigle dei partiti, non faccio il giudice per gli altri. Certo, io con Bruno Tabacci discuto, con Totò Cuffaro no.
Libero: Il sindaco di Firenze, che non è nemmeno indagato, ha dovuto incatenarsi per protestare contro il giustizialismo dei giornali.
Antonio Di Pietro: Io stimo Leonardo Domenici e, tra l'altro, su di lui non c'è nulla. Ma chi fa politica sa che, nel bene e nel male, viene spogliato di tutto. E sono pure contrario all'idea di mettere il bavaglio all'informazione: si rischia che il cittadino non possa più sapere di chi si può fidare e di chi no.
Libero: Sempre a Firenze, un candidato alle primarie del Pd è indagato. Dovesse vincere lui la competizione, diventare il candidato sindaco, voi cosa fareste?
Antonio Di Pietro: Noi dell'Italia dei Valori alle prossime amministrative adotteremo ad ogni livello il codice etico. Che applicheremo, ovviamente, per primi a noi stessi. Qualora dovesse vincere un candidato con pendenze, andremo da soli.
Libero: Veniamo alla riforma della giustizia. La proposta della Pdl è quasi pronta, Fini pensa sia possibile arrivare ad una “riforma condivisa” e Veltroni apre al confronto. Lei come la pensa?
Antonio Di Pietro: Non si può parlare di riforma senza conoscere i contenuti. Anche perché sulla giustizia hanno sbagliato tutti, compreso il centrosinistra con l'indulto e le intercettazioni. Io, comunque, sospetto che più che a una riforma stiano pensando ad una deformazione della giustizia.
Libero: I processi durano troppo...
Antonio Di Pietro: Separare o non separare il Csm, dividere pubblica accusa dalla parte giudicante, introdurre la discrezionalità dell'azione penale: nessuna di queste cose accelera i tempi della giustizia. Servirebbe una cosa sola: più risorse. Invece tagliano.
Libero: Soldi a parte, come vorrebbe la riforma?
Antonio Di Pietro: Servono la ristrutturazione delle circoscrizioni giudiziarie, il potenziamento dell'ufficio del processo, una legge che impedisca le impugnazioni faziose, quelle fatte soltanto per far cadere i reati in prescrizione. Ciò che abbiamo sempre detto, insomma, e scritto sotto forma di proposta di legge. Mai discussa.
Libero: Non è disposto a discutere di giustizia nemmeno ad un tavolo bipartisan.
Antonio Di Pietro: Non ci siederemo ad un tavolo per discutere perché in nome di una riforma non riformeranno, ma fermeranno. Noi a questo inciucio non ci stiamo, siamo pronti a tornare in piazza Navona cento volte.
Libero: Anna Finocchiaro dice: basta non cambiare la Costituzione. Non è sufficiente?
Antonio Di Pietro: Senza modificare la Costituzione la “riforma” l'hanno già fatta. Se vanno avanti cosi, a ridurre le risorse a disposizione dei tribunali del 20% all'anno, tra cinque anni avranno abolito i tribunali.
Libero: Sulla giustizia civile, però, c'è la proposta sua e del suo compagno di partito Luigi Li Gotti, che piace anche al centrodestra. L'intesa, almeno su questo, è possibile?
Antonio Di Pietro: Certo. Ma quel provvedimento non lo mettono mai all'ordine del giorno. Pensare che perdiamo ore a discutere del “Lodo Consolo”, l'immunità ai ministri. La vuole sapere una cosa?
Libero: Dica.
Antonio Di Pietro: Sono appena uscito dalla commissione Antimafia, dove ho contestato il presidente. Come primo atto abbiamo buttato 75 mila euro per consulenze a persone che ci spieghino cosa è la mafia. Paghiamo consulenze per sapere il sesso degli angeli invece di studiare una proposta di riorganizzazione, usare quei soldi per fare investigazioni.
Libero: Nel PD si discute della questione morale, una dozzina di loro amministratori sono finiti sotto inchiesta. Se l'aspettava?
Antonio Di Pietro: Non mi piace parlare di questione morale. Ma non sono per niente sorpreso. La sorpresa, semmai, sta nel fatto che solo oggi si parli di qualche diessino coinvolto nelle indagini. Dagli anni Novanta dico che il malcostume è trasversale e coinvolge tutti i partiti.
Libero: Ma, scusi, chi doveva “parlarne” se non i magistrati?
Antonio Di Pietro: Il magistrato è come il chirurgo, opera quando il timore ormai è manifestato. Bisogna fare una attività di prevenzione, la classe politica doveva farlo.
Libero: Una volta, durante Tangentopoli, i politici finivano in galera. Molti di questi li ha portati dentro lei. Perché non succede più?
Antonio Di Pietro: Una volta era accettata l'idea che chi ruba deve pagare. Quando Mario Chiesa o Duilio Poggiolini sono finiti in galera, l'opinione pubblica ha considerato quell'atto come un atto di giustizia. Adesso, a furia di criminalizzare la magistratura, sembra che la colpa sia di chi scopre i reati e non di chi li commette. Il fatto più eclatante? Quello di Catanzaro. C'era una inchiesta che colpiva tutti ed è stata fermata. Ciò dimostra che poi, alla fine, esiste un “partito unico della mazzetta”.
Libero: Ma lei pensa davvero che esista una nuova P2 che coinvolge militari, magistrati, politici, Vaticano, come sostiene Luigi De Magistris?
Antonio Di Pietro: Soltanto una inchiesta approfondita poteva accertarlo. Ma risolvere la faccenda in maniera extraprocessuale è una ammissione di colpa del sistema, dimostra che qualcuno ha la coda di paglia...
Libero: Torniamo al Pd e ai suoi guai. Bassolino e gli altri. Qualcuno, a sinistra, sospetta che si tratti di una “inchiesta politica”. Lo è?
Antonio Di Pietro: Non mi stupisco. Già con Mani pulite furono quelli di sinistra i primi a dire che i magistrati abusavano delle loro funzioni. Poi arrivò la destra, infine Silvio Berlusconi. Le inchieste di questi giorni, quelle che coinvolgono i sindaci del Pd (di Bassolino ho chiesto le dimissioni), dimostrano che bisogna rendere obbligatorie delle regole etiche.
Libero: Ma non dovrebbero bastare le leggi?
Antonio Di Pietro: Fatta la legge, trovato l'inganno. Il messaggio che ci trasmettono queste inchieste è che il sistema è ingegnerizzato. Perché dico che la situazione è più grave che nel '92. Allora c'era la banale bustarella, ora c'è un sistema che rende legale ciò che non lo è.
Libero: A cosa si riferisce?
Antonio Di Pietro: Alle consulenze, agli incarichi conferiti dalle società di capitale. Ce ne sono 4800, costituite con soldi pubblici. Poi, ovviamente, mi riferisco ai finanziamenti ai partiti. Certo, sono dichiarati. Ma se un imprenditore contribuisce alla campagna elettorale di un politico lo fa per amore ideologico o perché vuole qualcosa in cambio? E se, come ci sono, esistono imprese che mandano soldi a tutti i partiti? E' un tentativo di compravendita.
Libero: Veniamo al suo codice etico, che l'Idv vuole imporre agli alleati.
Antonio Di Pietro: Lo abbiamo già presentato anche come proposta di legge. Prevede la non candidabilità delle persone condannate e la non possibilità di svolgere incarichi centrali o locali per chi sia stato rinviato a giudizio per reati gravi.
Libero: Il codice è già stato sperimentato in Abruzzo dove l'Idv, per la prima volta, esprime il candidato governatore.
Antonio Di Pietro: Il modello Abruzzo è una formula shock, un modello con cui cerchiamo in via spontanea di frenare il fenomeno. Perché, non dimentichiamolo, lì non si va a votare normalmente, ma perché “è piovuto, governo ladro”. E le cose poco chiare sono cominciate con il centrodestra e continuate con il centrosinistra. Tutti i nostri candidati hanno presentato certificato penale e dimostrato che non hanno carichi pendenti. Lo stesso hanno fatto tutti gli alleati. Non vogliamo gente che la mattina va al consiglio regionale e il pomeriggio in Procura.
Libero: I sondaggi dicono che l'Idv quadruplica i consensi. Il candidato di Italia dei Valori e Pd, Carlo Costantini, potrebbe pure farcela. Pensa che Veltroni, qualora doveste vincere, si rimangerà quell' “ex alleato” che le riservò qualche settimana fa?
Antonio Di Pietro: Il risultato in Abruzzo è un messaggio all'Italia di domani. Se vinciamo, questa metodologia di lavoro, questa alleanza, può essere esportata nel resto del Paese. Berlusconi, tra l'altro, ci sta dando una mano con le sue passerelle continue, abusa della pazienza degli abruzzesi.
Libero: Ma l'Udc, corteggiatissima da parti del Pd, non vi vuole. Sareste disposti a sedervi al loro tavolo e studiare alleanze future?
Antonio Di Pietro: Noi ragioniamo oltre le sigle dei partiti, non faccio il giudice per gli altri. Certo, io con Bruno Tabacci discuto, con Totò Cuffaro no.
Libero: Il sindaco di Firenze, che non è nemmeno indagato, ha dovuto incatenarsi per protestare contro il giustizialismo dei giornali.
Antonio Di Pietro: Io stimo Leonardo Domenici e, tra l'altro, su di lui non c'è nulla. Ma chi fa politica sa che, nel bene e nel male, viene spogliato di tutto. E sono pure contrario all'idea di mettere il bavaglio all'informazione: si rischia che il cittadino non possa più sapere di chi si può fidare e di chi no.
Libero: Sempre a Firenze, un candidato alle primarie del Pd è indagato. Dovesse vincere lui la competizione, diventare il candidato sindaco, voi cosa fareste?
Antonio Di Pietro: Noi dell'Italia dei Valori alle prossime amministrative adotteremo ad ogni livello il codice etico. Che applicheremo, ovviamente, per primi a noi stessi. Qualora dovesse vincere un candidato con pendenze, andremo da soli.
Libero: Veniamo alla riforma della giustizia. La proposta della Pdl è quasi pronta, Fini pensa sia possibile arrivare ad una “riforma condivisa” e Veltroni apre al confronto. Lei come la pensa?
Antonio Di Pietro: Non si può parlare di riforma senza conoscere i contenuti. Anche perché sulla giustizia hanno sbagliato tutti, compreso il centrosinistra con l'indulto e le intercettazioni. Io, comunque, sospetto che più che a una riforma stiano pensando ad una deformazione della giustizia.
Libero: I processi durano troppo...
Antonio Di Pietro: Separare o non separare il Csm, dividere pubblica accusa dalla parte giudicante, introdurre la discrezionalità dell'azione penale: nessuna di queste cose accelera i tempi della giustizia. Servirebbe una cosa sola: più risorse. Invece tagliano.
Libero: Soldi a parte, come vorrebbe la riforma?
Antonio Di Pietro: Servono la ristrutturazione delle circoscrizioni giudiziarie, il potenziamento dell'ufficio del processo, una legge che impedisca le impugnazioni faziose, quelle fatte soltanto per far cadere i reati in prescrizione. Ciò che abbiamo sempre detto, insomma, e scritto sotto forma di proposta di legge. Mai discussa.
Libero: Non è disposto a discutere di giustizia nemmeno ad un tavolo bipartisan.
Antonio Di Pietro: Non ci siederemo ad un tavolo per discutere perché in nome di una riforma non riformeranno, ma fermeranno. Noi a questo inciucio non ci stiamo, siamo pronti a tornare in piazza Navona cento volte.
Libero: Anna Finocchiaro dice: basta non cambiare la Costituzione. Non è sufficiente?
Antonio Di Pietro: Senza modificare la Costituzione la “riforma” l'hanno già fatta. Se vanno avanti cosi, a ridurre le risorse a disposizione dei tribunali del 20% all'anno, tra cinque anni avranno abolito i tribunali.
Libero: Sulla giustizia civile, però, c'è la proposta sua e del suo compagno di partito Luigi Li Gotti, che piace anche al centrodestra. L'intesa, almeno su questo, è possibile?
Antonio Di Pietro: Certo. Ma quel provvedimento non lo mettono mai all'ordine del giorno. Pensare che perdiamo ore a discutere del “Lodo Consolo”, l'immunità ai ministri. La vuole sapere una cosa?
Libero: Dica.
Antonio Di Pietro: Sono appena uscito dalla commissione Antimafia, dove ho contestato il presidente. Come primo atto abbiamo buttato 75 mila euro per consulenze a persone che ci spieghino cosa è la mafia. Paghiamo consulenze per sapere il sesso degli angeli invece di studiare una proposta di riorganizzazione, usare quei soldi per fare investigazioni.
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Vai Tonino: siamo con te !
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