venerdì 12 dicembre 2008

Cgil, fortuna che piove

LA STAMPA
12/12/2008
LUCIA ANNUNZIATA

Quello che non poté il dialogo poté il maltempo. Il sindacato, avviato verso lo sciopero generale di questa mattina, ieri sera ha dato uno sguardo all’Italia intirizzita sotto l’acqua e ha cancellato l’astensione nazionale dal lavoro dei dipendenti delle Ferrovie.

Grazie Cgil, ha detto il sindaco romano Alemanno. Grazie Cgil, gli hanno fatto eco i molti viaggiatori alle prese da ore con treni lumaca e strade intraversabili.

Ma il gesto di «responsabilità sociale», per quanto saggio sia, ha il retrogusto amaro d’una sorta di ammissione dell’inutilità inconfessata con cui a questo sciopero si è, alla fine, arrivati. Crediamo davvero che la «sensibilità» nei confronti del povero italiano bagnato si sarebbe esercitata, se l’appuntamento di oggi fosse stato percepito come realmente decisivo? La Cgil avrebbe sentito così acutamente il disagio dei cittadini se già non avesse maturato l’idea che, dopotutto, un disagio di tale portata non vale la pena? Se, insomma, tra simpatie degli scioperanti e simpatie della cittadinanza, non temesse di più la perdita delle seconde?

Povera Cgil. È proprio vero che la politica è ampiamente una questione di tempi e di luoghi prima che di opinioni. Lo sciopero generale di oggi, nato come una prova di forza, una conta decisiva, per tutta una serie di ragioni arriva al suo momento decisivo con le polveri - è il caso di dire - bagnate. A riprova di quanto incerto sia l’orizzonte della politica italiana. La traiettoria fatta da questo appuntamento - dal momento in cui prese forma come idea di dare al governo un «segnale forte» fino ad oggi - sembra in realtà un corso accelerato di realismo.

La convocazione dello sciopero generale avvenne - e come dimenticarlo? - più come reazione a una clamorosa snobbata politica che come progetto. L’11 novembre il presidente del Consiglio invitò a casa sua due dei tre leader sindacali nazionali, sottovalutando il fatto che la sua dimora, Palazzo Grazioli, è da tempo il più frequentato e osservato dei Palazzi del potere romano. La cena che doveva essere riservata finì, ancor prima di essere consumata (consumazione infatti non ci fu), sui media e l’escluso Epifani calò sul tavolo la più forte minaccia che un sindacato può sfoderare: una protesta nazionale. Fatta comunque, disse, anche da solo. Come poi è successo.

Non che non avesse ragione Epifani: l’isolamento della Cgil è sempre stato un progetto accarezzato da un governo come questo, attraversato spesso dalla tentazione di liberarsi da «lacci e lacciuoli». Alla vigilia di un nuovo pacchetto di misure anticrisi far abbassare le penne alla Cgil non avrebbe comunque nuociuto, ragionava Palazzo Chigi. E a un centro-sinistra privo di coesione interna sulla strategia antigoverno, lo scatto di Epifani offriva l’indubbio vantaggio di definire almeno un’identità, se non una linea.

Ma l’identità è uno strumento pericoloso da manovrare in un’area politica composita, in cui le varie componenti non solo non hanno ancora trovato coesione, ma si dividono anche all’interno delle stesse organizzazioni sindacali. Sganciata da una piattaforma unitaria, l’operazione identitaria della Cgil si è trasformata in una scelta di collocazione, in un confronto di principi più che di contenuti. Non sarà un caso se - a partire dall’attenzione dei media - il dibattito su questo sciopero invece che intorno al «che fare» si è sviluppato intorno al «che fa» Epifani.

Vista con il senno di poi, la mobilitazione di oggi si è riverberata in maniera più intensa dentro le file del Pd che dentro le stanze del governo. Avvantaggiato dalla tempesta dentro le organizzazioni sindacali, Palazzo Chigi ha portato a casa, senza gravi problemi, le sue misure anticrisi. Allo sciopero di oggi si arriva così un po’ in ordine sparso. A spinta esaurita. E sotto la pioggia. Che, però, non sempre è una sfortuna.

1 commento:

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

Piove poco o nulla Lucia Annunziata, che ti piaccia o no.