LA STAMPA
RICCARDO BARENGHI
Stavolta bisogna dirlo subito: Veltroni non c’entra nulla. La questione morale che gli è esplosa nel partito viene da lontano, da molto prima che lui ne prendesse la leadership. Questo ovviamente non vuol dire che lui non sapesse nulla che qualcosa stava accadendo, anche perché di questo partito, o meglio in uno dei due che gli ha dato vita, è sempre stato un dirigente di alto livello e ne è stato anche il segretario dieci anni fa. Ma oggi il problema non è lui, in discussione non è la sua leadership, non sono i suoi collaboratori che vengono inquisiti, incriminati, processati. E questo fa la grande differenza con Tangentopoli, quella sì che era una degenerazione generale e capillare, e che aveva il suo centro nelle segreterie nazionali dei partiti. Tanto che quei partiti, cioè la Dc e il Psi, ne sono stati cancellati.
Al momento il Partito democratico non è in quella situazione, per sua fortuna. Ma le cose che sono accadute e che ancora accadono, da Napoli a Firenze e in altri luoghi dal Paese, segnalano che anche in questa forza politica, che nasce anche dal Pci berlingueriano, la famosa diversità comunista, c’è qualcosa che non funziona. Più di qualcosa: la commistione tra politica e affari è ormai palese, gli intrecci tra amministratori locali e costruttori, imprenditori vari, gestori di rifiuti, forse addirittura la camorra, sono oggetto di indagini e ormai anche di processi della magistratura. Ed è un qualcosa di allarmante, tanto che lo stesso segretario ha scritto ieri sul Corriere della Sera che il suo partito non ha alcuna intenzione «di essere indulgente con se stesso». Il che, tradotto in pratica, dovrebbe significare che lui stesso interverrà per dare una ripulita ove ci fosse troppa immondizia.
Ma il problema non è solo giudiziario o disciplinare. È politico. E politicamente andrebbe affrontato. Per capire innanzitutto come sia stato possibile che persone con una nobile storia alle spalle siano finite in questa squallida vicenda, trascinando con loro anche l’immagine di tutto il partito (non a caso Berlusconi ieri ha rigirato il coltello nella piaga). Si tratta solo di mele marce, di mariuoli, avrebbe detto Craxi, oppure è il potere in quanto tale che per essere gestito non può prescindere dagli affari, dal malaffare e dalla commistione con esso?
Se fossimo in Veltroni, chiameremmo il partito a discutere di questo. A cominciare dalla Direzione nazionale del 19 dicembre e a finire, perché no?, con un congresso straordinario (straordinario nel vero senso della parola) per mettere al centro la questione morale in senso lato. La questione del potere insomma, della sua trasparenza e regolarità, di come lo si gestisce oggi e di come invece lo si dovrebbe gestire domani. Sarebbe non solo più interessante della solita e ormai noiosissima diatriba tra lui e D’Alema, ma darebbe anche al suo partito una forza di impatto del tutto nuova. Dimostrando che non ha paura di mettersi in gioco pubblicamente, chiamando i suoi iscritti, militanti, elettori, il famoso popolo delle primarie insomma, a confrontarsi su un problema che da quindici anni assilla - e disgusta - l’opinione pubblica.
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