16/12/2008
FULVIA CAPRARA
INVIATA A BERLINO
FULVIA CAPRARA
INVIATA A BERLINO
Prima di prendere l’aereo per tornare in Italia, Giorgio Diritti, bolognese, classe 1959, ha trovato il tempo per visitare il quartiere ebraico di Berlino, tra la Nuova Sinagoga e gli edifici dell’Hackesche Hofe, restaurati dopo la fine della guerra. Ha appena finito di girare L’uomo che verrà, dedicato all’eccidio nazista di Marzabotto, avvenuto tra il 29 settembre e il 5 ottobre del ‘44 e ha appena ricevuto, nello storico cinema Babylon, l’ennesimo premio per Il vento fa il suo giro. Il film-fenomeno girato in lingua occitana in Val Maira è stato il più votato dal pubblico tedesco che ha seguito la rassegna di cinema italiano organizzata dall’associazione «Made in Italy». Insomma, un sacco di coincidenze che fanno pensare: «Le occasioni di conoscenza tra popoli diversi sono sempre importanti, perché dalla conoscenza nasce la possibilità della convivenza pacifica».
Una possibilità cancellata dalla brutalità dei conflitti. Quelli di ieri, quelli di oggi: «Pur essendo nato a Bologna - spiega l’autore - non sapevo molto sulla strage di Marzabotto, poi ho letto Le querce di Monte Sole e ho scoperto che quel poco che sapevo era diverso dalla realtà. Di quell’episodio si è sempre detto che era un crimine legato alla lotta partigiana e invece si è trattato di uno sterminio di civili compiuto delle SS. Ottocento vittime, di cui 250 tra zero e 8 anni». Ben oltre il dovere della memoria, c’è una considerazione cui Diritti tiene molto: «Quella storia parla di una cosa che accade tuttora, e cioè di quando un’ideologia fa sì che la vita degli uomini perda valore». La Resistenza, dice ancora Diritti, «non era solo fucili e guerriglia tra i monti, c’erano anche un sacco di persone che hanno reagito all’ideologia della morte. Persone come noi, che volevano vivere, metter su famiglia, e invece sono state condannate a sparire. Ricordiamoci che tutto questo è ancora possibile, il terrorismo ce lo dice tutti i giorni».
Al centro del film, girato in dialetto bolognese antico, c’è lo sguardo di una bambina di 9 anni e il respiro della sua famiglia, il padre burbero (Claudio Casadio), la moglie smarrita (Maya Sansa), una sorella «frizzante, vogliosa di sfuggire dalla realtà che la circonda» (Alba Rohrwhacher), vari fratelli: «La vicenda si svolge nell’arco di 9 mesi, da quando la guerra appare ancora lontana e relativa al momento delle scelte necessarie e inevitabili». Il cast è frutto di un lavoro accurato: «Abbiamo fatto provini a 1.800 persone, sul territorio, ci volevano le facce giuste per raccontare il mondo contadino e i bambini magri che oggi non ci sono più». Ci voleva, soprattutto, la capacità di entrare in sintonia con certe atmosfere: «Spike Lee è un regista bravissimo - osserva Diritti -, ma l’unico obiettivo del suo film Miracolo a Sant’Anna era raccontare il sacrificio dei soldati neri durante l’ultima guerra. Per lui tutto il resto era puro contorno, perciò non si è preoccupato di dire stupidaggini sulla realtà italiana. Forse non bisogna girare film su cose che non si conoscono».
L’uscita dell’Uomo che verrà (il film è al montaggio, potrebbe essere pronto sia per il Festival di Cannes che per quello di Venezia) provocherà discussioni e polemiche. Anche perché Diritti non è un tipo da giri di parole: «L’unico sostegno ricevuto in area bolognese è arrivato dalla Cassa di Risparmio, nessun altro ente ci ha aiutato. Lo ha fatto invece la Film Commission della Toscana, e infatti abbiamo girato lì, due valli oltre quella dove avvennero i fatti. Nel complesso la pellicola ha avuto più attenzione dall’area della sinistra cattolica che non dalla sinistra vera e propria. D’altra parte, le medaglie sono sempre state date ai partigiani e non ai superstiti di intere famiglie sterminate». Così un film sulla strage di Marzabotto diventa un film contemporaneo. Non solo una parola contro il dilagare di un «revisionismo laido», ma soprattutto una riflessione sui valori: «Sulla scena di quell’eccidio si sono fronteggiate due culture opposte, con valori opposti, i morti avevano ben saldo quello del rispetto della famiglia. Oggi c’è il malcostume di dire che siamo tutti uguali, che in fondo tutti più o meno rubano... Ci siamo abituati alla negatività. L’ho fatto anche per questo, per non abituarci a sentir dire nel tg che un missile intelligente si è sbagliato e ha colpito un asilo».
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