LA STAMPA
16/12/2008
TEODORO CHIARELLI
TEODORO CHIARELLI
L’Alta velocità ferroviaria italiana è partita e con essa - poteva mancare? - si è messo in moto anche un convoglio carico di violentissime polemiche. Mentre in altri Paesi, la Francia capostipite, la Germania, la Spagna e persino la Cina, i super treni sono stati accolti come espressione di modernità e sviluppo, accompagnati da una buona dose di orgoglio nazionale, da noi si è riproposta la solita divisione che ci avvelena dai tempi degli Orazi e Curiazi. L’Alta velocità è di destra perché trasporta i «privilegiati», manager e professionisti, mentre gli altri convogli, quelli per i pendolari, sono di sinistra. Salvo poi invertire le categorie perché le Ferrovie sono da sempre un feudo della sinistra e allora agli amministratori locali di centrodestra non par vero di non farsi sfuggire l’occasione per cavalcare la (giusta) protesta dei pendolari sui continui disservizi, e non importa che questi ci fossero ben prima dell’entrata in servizio del Freccia Rossa.
Ma, tant’è, la demagogia è una minestra sempre calda da distribuire a piene mani a cittadini esasperati da anni di vessazioni. E cosa c’è di meglio che evocare il «treno pieno di signori» di gucciniana memoria e lanciargli contro una locomotiva-bomba «contro l’ingiustizia»? E così ecco l’assessore-Masaniello di turno che sprezzante del ridicolo si dice pronto a bloccare il Freccia Rossa nelle stazioni lombarde se continuerà a correre «passando davanti a tutti gli altri e sulle spalle dei pendolari».
Allora, forse, è il caso di stabilire alcuni punti fermi. Il supertreno è un servizio irrinunciabile per un Paese civile che voglia darsi un assetto di mobilità veloce e, perché no, ecologico. Che ci siano degli inconvenienti in fase di rodaggio è quasi inevitabile. Naturalmente le Ferrovie hanno il dovere di ridurre al minimo i disagi per i viaggiatori, superando la tradizionale tendenza a lavarsene le mani. I contrattempi, anche a causa del maltempo, capitano ovunque: domenica in Francia il tanto celebrato Tgv è andato in panne nel Sud-Est con disagi per 2 mila persone. Non ne è nato un caso nazionale. Le stesse Ferrovie, naturalmente, hanno il dovere di non abbandonare al loro destino le tratte tradizionali. Devono garantire collegamenti puntuali, carrozze dignitose e posti adeguati alle richieste. Le Regioni, come previsto, devono a loro volta contribuire economicamente al servizio. Lo Stato, che delle Ferrovie è azionista unico, deve vigilare sul servizio e, se necessario, intervenire: magari rimuovendo dirigenti incapaci o imbelli. Tutto il resto sono ideologismi d’accatto. Ognuno di noi può scegliere tra una pizzeria, una trattoria, un ristorante e un ristorante «stellato» e guai se ci venisse negata questa possibilità. Per l’offerta ferroviaria, in fondo, è lo stesso. L’importante è che i servizi abbiano pari dignità.
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