di Laura Matteucci
«Non possiamo chiuderci tutti nel Palazzo. Oggi la priorità è sociale ed economica, i temi sono l’occupazione, i redditi, la crisi.
E la crisi crea aree di disagio e solitudine, una paura che bisogna saper raccogliere, analizzare, interpretare. A cui è importante stare vicino. Ci sono soggetti sociali che lo fanno. E anche un grande partito come il Pd lo deve fare. Sennò va a finire che non si capisce quello che realmente sta succedendo nel paese. Di fronte a questo, tutto il dibattito sullo sciopero sì o no tende a sbiadire». Pierluigi Bersani, ministro ombra dell’Economia per il Pd, oggi è a Bologna, manifestazione e palco a fianco di Epifani. Il suo sostegno allo sciopero della Cgil è una partecipazione decisa fin da subito, diretta e convinta.
Il Pd deve tornare in piazza, insieme a chi esprime disagio ed è contrario alle scelte del governo: è per questo che oggi lei è a Bologna?
«Ci sono per due buoni motivi. Perchè il Pd deve tornare a parlare al mondo del lavoro, e perchè la piattaforma della Cgil ha molti punti di contatto con quella che il Pd autonomamente ha costruito. Dall’esigenza di detrazioni fiscali permanenti per i redditi medio-bassi agli ammortizzatori per i precari. Come andrei alle manifestazioni degli studenti, a maggior ragione vado in un posto dove si intende analizzare quello che sta accadendo dal punto di vista sociale ed economico».
Che cosa dirà dal palco?
«Il mio sarà comunque un messaggio di unità, continuo a sperare che il sindacato riesca a presidiare il mondo del lavoro rimanendo unito».
E il Pd? Può riuscire a presidiare il mondo del lavoro, rimanendo unito?
«Il Pd ha il problema di darsi un suo profilo autonomo, che parli a tutti i lavoratori: alle piccole imprese, ai giovani, ai precari. È con loro che dobbiamo riprendere i contatti, imbastire un dialogo non occasionale. Considerando le condizioni moderne del lavoro, che va ridefinito, riconcettualizzato. E cercando i luoghi per discuterne. Non ci manca la piattaforma, intendiamoci. Siamo per un vero decreto anticrisi, non finto, pesante un punto di pil. Ma dobbiamo conquistare l’obiettivo di dare il senso della priorità della crisi, e in generale dei temi economici e del lavoro. Imporre i temi dell’occupazione, dei redditi, della produzione».
Ma il Pd non ha una voce univoca. Prendiamo lo sciopero: la componente ex Ds lo sostiene, la componente ex Margherita è contraria.
«Io rispetto chi non c’è, e ne capisco le motivazioni. Anche se sono convinto che questo partito ha e debba avere un rapporto con chi dice che le cose così non vanno. Ma il problema non è il fatto che alcuni aderiscano e altri no. Piuttosto, è non avere un documento in cui si dica che cosa il Pd pensa di una mobilitazione o di un movimento. E non parlo solo dello sciopero di oggi».
Il sindacato non deve essere la cinghia di trasmissione del partito: allora, in che rapporti sono, oggi, il partito di centrosinistra e la più grande organizzazione sindacale?
«Mi riallaccio a prima. Il Pd deve avere una sua piattaforma, in cui assuma tutta l’area di lavoratori, imprenditori, precari come pienamente soggetti del proprio progetto politico. Una piattaforma che li interpreti. Questo è il campo che ci interessa, contiguo ma non sovrapposto a quello sindacale. Si parla di riforma della contrattazione? Noi dobbiamo dare i nostri paletti: desiderabile il decentramento, non auspicabile che si smonti il contratto nazionale. Ma non è questa l’emergenza. L’emergenza, oggi, sono l’occupazione, i redditi, la crisi».
lmatteucci@unita.it
1 commento:
Finalmente qualcuno che lo capisce che occorre tornare alla base e sulla base del connsenso elettorale.
La politica-spettacolo non fa per un politico serio.
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