domenica 14 dicembre 2008

Fincantieri, 42 vittime dell'amianto "Processate i dirigenti per omicidio"

LA REPUBBLICA
PAOLO BERIZ

TRIESTE - Gli ultimi quarantadue la bestia se li è divorati tra il 1999 e il 2007. Morti di amianto. Morti per le polveri che come proiettili silenziosi volavano nei cantieri di Monfalcone. E si ficcavano nei polmoni di chi veniva mandato al macello per costruire navi. Quarantadue croci, che si aggiungono in un "cimitero" che ne ospita già 900. Tante sono le vite spezzate, in trent'anni, in Friuli Venezia Giulia, dalle fibre killer dell'asbesto. Una pioggia cancerogena che ha investito operai e tecnici, impiegati - da dipendenti o da esterni - nello stabilimento goriziano di Fincantieri. Una scia impressionante di omicidi. Firmati dalla bestia sempre con la stessa sigla: mesotelioma maligno (pleurico, pericardico e peritoneale). Il peggiore dei tumori, quello che chiamano "sentinella" perché indica l'esposizione del malato alle polveri di amianto.

Gli ultimi quarantadue l'hanno respirato per almeno vent'anni. Nell'arco di tempo che va dal'65 all'85. Poi se ne sono andati come tutti gli altri: coi polmoni lacerati. Lavoravano tutti nello stesso colosso navale. Ma loro, i 42, e chissà poi magari altri ancora, la giustizia che non hanno avuta da vivi, l'avranno adesso. Hanno un nome e un volto le persone accusate di avere lasciato che la bestia - l'amianto che uccide - si infilasse nei bronchi delle vittime. Sono quattordici alti dirigenti (sarebbero quindici, uno è morto) di Fincantieri nel periodo in cui l'azienda pubblica si chiamava ancora Italcantieri. Il procuratore generale della corte d'appello di Trieste, Beniamino Deidda - recentemente nominato con lo stesso incarico a Firenze - è pronto a chiederne il rinvio a giudizio per omicidio colposo plurimo. Con un'inchiesta "ciclopica" e fulminea, unica in Italia, la Procura rompe il silenzio e l'immobilismo che da dodici anni si erano posati sui morti dell'amianto.

Dal '96 a oggi una sfilza di denunce di decessi sui quali "indagare" giaceva negli armadi del tribunale di Gorizia. Ma nessun processo era mai stato chiuso. Un buco nero nella storia delle stragi sul lavoro; faldoni accatastati negli uffici dei magistrati tra le proteste dei parenti delle vittime; la procura di Gorizia - fino a quest'estate titolare delle indagini - cinta d'assedio da parlamentari e associazioni in un generale clima di sfiducia nell'azione della magistratura. Finché Deidda decide di avocare a sé l'inchiesta. E' il giugno del 2008. "Bisognava invertire la tendenza, dare un segnale forte e farlo in fretta - dice il procuratore - . Tra tutti i decessi più recenti, abbiamo individuato i 42 casi che ci sembravano più eclatanti, che gridavano giustizia".
Con una squadra di consulenti medici del lavoro (Gino Barbieri, Donatella Calligaro, Umberto Laureni, Enzo Merler, Anna Muran, Stefano Silvestri), si inizia a mettere le mani nella montagna di carte accumulate negli anni. Dal primo settembre a oggi: quattro mesi di sequestri di documenti (molte carte sono risultate "introvabili" negli uffici di Fincantieri, soprattutto quelle riguardanti gli appalti con le ditte esterne), interrogatori (90 le testimonianze messe a verbale, familiari delle vittime e ex colleghi), verifiche e controlli incrociati. Alle 4mila pagine del fascicolo delle indagini preliminari, si aggiunge una corposa consulenza tecnica. Documenti di cui Repubblica - ora che le indagini si sono concluse - è venuta a conoscenza. Settecento pagine sono dedicate alla "Ricostruzione dello stato di salute dei lavoratori e delle condizioni igieniche nelle lavorazioni del cantiere navale di Monfalcone in relazione all'esposizione ad amianto".

L'ingrandimento della Procura riguarda il periodo 1965-1985, quello in cui si è fatto un uso massiccio di amianto per la coibentazione delle navi. Che avveniva soprattutto a spruzzo. Nelle fasi di allestimento, quando si rivestivano le pareti delle imbarcazioni, le fibre si sprigionavano dappertutto. Venivano inalate da saldatori, carpentieri, falegnami, tubisti, elettricisti, coibentatori e anche impiegati tecnici. La loro tomba, molti anni dopo, si rivelerà la stessa: i cantieri di Monfalcone. Dei 42 morti al centro dell'inchiesta (l'età media è di 65 anni), 21 erano dipendenti di Fincantieri, gli altri lavoravano per ditte esterne appaltate.

I dirigenti dell'azienda si sono giustificati dicendo che in quegli anni non potevano sapere che le polveri di amianto provocassero tumori. Una difesa che potrebbe avere scarsa o nessuna importanza. Stando a molte sentenze della cassazione, infatti, non è rilevante che i singoli imputati conoscessero la cancerogeneità dell'amianto. Comanda, in ogni caso, una norma in vigore dal '66 che vieta la diffusione delle polveri sul luogo di lavoro. Dalle carte dell'inchiesta emergono con forza le responsabilità da parte dei vertici di Fincantieri tra '65 e '85. La loro leggerezza in un'epoca, per di più, nella quale "più vivace si faceva il dibattito sulla pericolosità dell'amianto e sulla sua possibile sostituzione". Nelle officine di Monfalcone, secondo l'accusa, "le condizioni lavorative riguardo all'igiene degli ambienti sono state per un lungo periodo (dall'immediato dopoguerra alla metà degli anni '80) ben al di sotto degli standard richiesti per la lavorazione in presenza di sostanza cancerogena". Non solo. "Sono mancati, o sono stati utilizzati in modo carente, specifici interventi di prevenzione": estrattori d'aria e sistemi di aspirazione localizzata, protezioni individuali "non idonee e il cui uso non è stato in alcun modo imposto o regolamentato".

La più grande impresa di costruzioni navali italiana si è, in sostanza, lavata le mani di fronte a rischi che i suoi dipendenti correvano ogni giorno e che non potevano essere ignorati". Per questo - è una delle conclusioni cui giunge l'indagine - "le direzioni sono venute meno all'obbligo di informazione e formazione, così come i dirigenti e i preposti". Da qui l'accusa di omicidio colposo plurimo. La difesa dei quattordici imputati - che hanno tra i 70 e gli 80 anni - avrà ora venti giorni di tempo per chiedere nuovi interrogatori o impostare accordi per eventuali patteggiamenti. Poi il procuratore Deidda presenterà la richiesta di rinvio a giudizio. In Italia l'utilizzo di amianto è vietato per legge dal '92. I controlli oggi sono severissimi in ogni luogo. Ma in questa storia alla Erin Brockovich - che sembra solo all'inizio - pare di capire che della polvere killer si parlerà ancora a lungo. Appena qualche giorno fa, Giuseppe Bono, amministratore delegato di Fincantieri, dopo aver lanciato la proposta di creare un fondo di risarcimento per le vittime dell'amianto, ha chiesto la depenalizzazione dell'omicidio colposo e delle lesioni colpose derivante da esposizione.

(14 dicembre 2008)

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