mercoledì 10 dicembre 2008

La questione morale è politica

LA STAMPA
10/12/2008
EMANUELE MACALUSO

E’ trascorso poco più di un anno da quando quasi tutti i giornali, le tv pubbliche e private auspicavano la nascita del Pd, come un geniale progetto in grado di radunare le forze riformiste del centrosinistra e di dare un assetto al sistema politico fondato sul bipolarismo. Chi osava dubitare del fatto che nasceva un partito che avrebbe semplificato e modernizzato la politica italiana veniva bollato come un nostalgico del passato.

Come una scoria residuale del secolo scorso segnato dalle competizioni ideologiche e dalla partitocrazia. Quei partiti, in molte zone erano solo apparati, non più di funzionari con stipendi modesti, ma di «consulenti», «esperti» amministratori di società pubbliche e semipubbliche che fanno capo alle Regioni e agli Enti locali. Uno degli inventori di questo sistema fu Leoluca Orlando, a Palermo negli Anni Novanta, che pure ebbe il merito di dare all’amministrazione della città un’impronta antimafiosa.

Ho fatto questa premessa per dire che, a mio avviso, oggi nel Pd non c’è una «questione morale», anche se in qualche amministrazione la magistratura indaga (le indagini non sono certezze!) perché ci sono indizi di inquinamenti. C’è, invece, una «questione politica». E coloro che esaltavano la «geniale operazione», che metteva in campo il Pd, oggi martellano questo partito sulla «questione morale» tacendo sulla politica. E gli orfani del «grande progetto» discutono come sarebbe bello il Pd senza D’Alema o senza Rutelli, senza Veltroni o senza Parisi, senza Veronesi o senza la Binetti. Il professor Filippo Andreatta, che si è battuto per un Pd tutto nuovo, lunedì scorso sul Corriere della Sera in un articolo significativamente titolato «Il partito delle troppe ipocrisie», notava che i partiti fondatori del Pd «sono stati troppo caratterizzati da ideologie forti e professionismo politico per essere in grado di attrarre stabilmente un bacino di elettori potenzialmente maggioritario e significativamente più grande di quello Ds e Margherita». Vero, ma questa realtà non era presente ed evidente quando nacque il Pd?

Il problema è cosa fare ora. Federico Geremicca ieri nella sua nota osservava che il Pd cerca di mettere ordine nell’agenda delle sue «emergenze politiche» e fatica a trovare il bandolo della matassa. E non lo troverà se non affronta con spirito di verità gli «equivoci politici» su cui è nato: collocazione europea, temi eticamente sensibili e laicità, giustizia, rapporto tra Stato e mercato e riforma del Welfare. Nodi, sembra, che non possono essere sciolti senza sciogliere il partito. La prima scelta dovrebbe riguardare l’assetto democratico del Pd. Il quale ha un segretario eletto con le «primarie» senza regole e una direzione nominata dal segretario, come osserva l’ex ministro Parisi. Le primarie sono una cosa seria se sono regolate da una legge e se tutto il sistema, come negli Stati Uniti, si regge su quelle regole. Volete questo sistema? Presentate una legge di riforma complessiva.

Il risultato dell’equivoco è questo: false primarie a cui partecipano gli elettori (non registrati quindi di ogni colore) e gli iscritti, invece, sono tenuti fuori di ogni dibattito o scelta politica. Perché non chiamare gli iscritti, anche con referendum, a decidere se in Europa gli eletti del Pd debbono stare nel Pse o in un altro gruppo? Perché non chiamare gli iscritti a decidere sul testamento biologico o la separazione delle carriere dei magistrati? Un partito che non è impegnato nel dibattito politico, nel confronto e nelle decisioni, inevitabilmente si rinchiude nei fortilizi del potere locale e, inevitabilmente, per esercitare e mantenere quel potere allignano pratiche clientelari e anche corruttive. Veltroni ha scritto una lunga lettera al Corriere della Sera (sabato 6 dicembre) dicendo che il Pd deve «sapere selezionare i propri dirigenti e i propri rappresentanti sulla base della loro capacità politica insieme, indissolubilmente, alla loro moralità». Ma non dice una parola perché questo non è avvenuto e come fare per ottenere quel risultato. Siamo alle solite: discorsi generici e dichiarazioni di buone intenzioni. Ma se si continua così il pericolo che questo partito imploda è reale con danni non solo per la sinistra, ma per la democrazia italiana, anche perché non si intravedono alternative.

1 commento:

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

Pensate un po': dò ragione a Emanuele Macaluso !