domenica 14 dicembre 2008

Quando l'Italia scoprì il Low Cost

LA STAMPA
14/12/2008
MARIA GIULIA MINETTI


Quando è nata, ottanta anni fa, «la» Upim (o Upìm, il dibattito non si placa), femmina in quanto sorella minore e un po’ derelitta della Rinascente (invece era un fratello, ugualmente un po’ derelitto, ma maschio, di nome completo Unico Prezzo Italiano Milano), quando è nata, dicevamo, s’ispirava a uno slogan del tempo, quello del taglio piccolo, della banconota leggera capace però, grazie ai risparmi garantiti dalla grande distribuzione, di un buon potere d'acquisto.

«Five and dime» erano soprannominati gli empori più economici degli Stati Uniti (i primi, della catena Woolworths, risalgono addirittura al 1878) dove al cliente si prometteva merce tutta al prezzo di cinque o dieci cent. Prisunic fu battezzata la catena di punti vendita popolari lanciata nel 1931 in Francia dai Magasins du Printemps e dappertutto, Spagna, Germania, Inghilterra, l’idea di grandi negozi popolari per famiglie che vendessero pentolame, biancheria, detersivi, vasellame, cosmetici ecc. a cifre contenutissime era vincente, entrava nella vita e nella fantasia delle persone (ancora negli anni Settanta Robert Altman ci intitolò un film, Come Back to the Five and Dime, Jimmy Dean Jimmy Dean, ed era un gruppo di commesse del Texas che avevano visto il divo nel loro magazzino e non smettevano di sognarlo dopo vent’anni).

Comprare alla Upim non era da ricchi. I «ricchi» compravano alla Rinascente, nome inventato da Gabriele D’Annunzio, immagine alta (dalla Rinascente è venuto fuori Giorgio Armani, è lì - racconta - che s’è formato il suo gusto), prezzi non bassi. Proprio per chi quei prezzi non poteva permetterseli ma costituiva un mercato vasto e interessante la Rinascente pensò a un'azienda popolare, e la battezzò con quel magico riferimento al prezzo unico, garanzia di probità e accessibilità. Difficile ritrovare tracce di quella Upim negli spazi vendita di oggi. Sempre pensati per le famiglie medie italiane (ma la pubblicità non usa certo l’aggettivo «medio», che urterebbe la suscettibilità degli acquirenti, adesso del resto molto mescolati, data la tendenza attuale a pescare tutti dappertutto), ma vivaci, prezzi differenziati, begli ambienti, allure che non vuole ricordare a nessuno la penuria, bensì instillare l’allegra convinzione che anche senza straspendere si può essere up-to-date, concedersi belle cose.

Il nuovo corso comincia nel 2005, raccontano all’azienda. Upim e Rinascente, entrambe in cattive acque ormai da parecchio tempo, vengono scorporate (il gruppo che le acquista è lo stesso, però, costituito da: Consorzio investitori associati, 46%; Deutsche Bank, 30%; Pirelli Re, 20% e Famiglia Borletti, ovvero gli eredi del fondatore Senatore Borletti, 4%).

Sempre per citare i portavoce dell’azienda, «ha inizio un programma di riorganizzazione dei punti vendita, riqualificazione del personale, revisione dei prodotti». Funziona. Nel 2007 il bilancio torna in attivo dopo oltre quindici anni di rosso, al momento i punti vendita in tutta Italia sono oltre 350, con spazi qualificati dove - novità! - si vende arredamento. Bell’arredamento di un bel marchio, Croff, che la Upim rilancia (l’Ikea dà lezioni, a quanto pare). E della vecchia Upim che cosa è rimasto? «La filosofia del prezzo contenuto, della convenienza e della qualità», rispondono trionfanti dagli uffici. Ed è senz’altro vero, in termini di marketing. In termini di storia del costume no, invece, la «filosofia» è cambiata.

Quando la Upim è nata, era impossibile nascondersi, nel senso di nascondere il proprio status. Un uomo o una donna di ceto medio-basso - il ceto cui il magazzino a prezzo unico si rivolgeva - era vestito, accessoriato, pettinato in modo quasi segnaletico, portava in giro un invisibile cartello dove era indicato il suo gradino sulla scala sociale. Il magazzino a prezzo unico recava in sé questa tristezza, il marchio della modestia «dignitosa». Negli anni, magari a scapito della modestia (come si concia oggi, la gente!) ma per fortuna a vantaggio della dignità, il dato segnaletico è scomparso.

Allineati alla fermata del tram davanti all’Upim di via Spadari angolo via Torino a Milano, flagship (che vuol dire nave ammiraglia in inglese e dunque anche nel linguaggio del marketing) del gruppo, ristrutturata da pochi mesi proprio per innalzare al massimo la bandiera aziendale, uomini e donne di ceto indefinibile, per lo più in blue jeans e piumone, non sono immediatamente riconoscibili come clienti del «negozio per famiglie».

È gente qualunque, e il magazzino si rivolge a tutti loro con un approccio cordiale che non implica affatto l’idea del risparmio forzato. Che poi, con la crisi sempre più incalzante, il risparmio stia diventando forzato davvero, è un altro paio di maniche. Chi vivrà vedrà.

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