domenica 7 dicembre 2008

Le dichiarazioni dei magistrati in guerra. Anche atti anche la castità di un giudice

(Luigi Apicella, Procuratore della Repubblica di Salerno)
LA REPUBBLICA
di ALBERTO CUSTODERO


ROMA - Dottor Apicella, che bisogno c'era di parlare del voto di castità dell'ex presidente dell'Anm, Simone Luerti, nel decreto di perquisizione degli uffici giudiziari di Catanzaro? E che bisogno c'era di perquisire gli zainetti dei bambini che stavano per andare a scuola: i figli del pm Salvatore Curcio? Ed è vero che quel pm è stato perquisito con metodi "invasivi"?". I commissari del Csm hanno sottoposto il procuratore generale di Salerno, Luigi Apicella, a un vero fuoco di fila di domande per sapere cosa l'ha spinto a perquisire i suoi colleghi catanzaresi con modalità che lo stesso vicepresidente del Csm, Nicola Mancino, ha definito "sconcertanti".

I commissari di Palazzo dei Marescialli hanno domandato ad Apicella se fosse vero che - come denunciato dal procuratore di Catanzaro Enzo Jannelli - durante la perquisizione avvenuta nell'abitazione privata del sostituto procuratore Curcio alle sei del mattino la polizia giudiziaria di Salerno avrebbe intimato al magistrato di alzare la maglietta del pigiama. E di abbassare i pantaloni.

Ma il procuratore capo di Salerno, Luigi Apicella, ha detto di non sapere se Curcio sia stato fatto denudare. In compenso, ha spiegato il perché della perquisizione negli zainetti dei suoi figli minorenni. "Fra i libri di scuola di quei bambini - ha detto Apicella - cercavamo i telefonini del padre". "Ma come - ha obiettato un commissario - non vi bastavano i tabulati telefonici e le intercettazioni?". "No - ha replicato il pg - volevamo accertarci che non avessero altri cellulari a noi sconosciuti".

I commissari di Palazzo dei Marescialli hanno sottoposto ad un vero e proprio interrogatorio i due principali protagonisti di questa vicenda: il procuratore di Catanzaro e il pg di Salerno. Dal primo hanno voluto sapere il motivo che l'ha spinto a disporre il ri-sequestro degli atti dell'indagine Why not che erano appena stati sequestrati dall'autorità giudiziaria salernitana innestando in quel mondo la guerra fra le due procure. Con il grottesco risultato che nella procura di Catanzaro gli atti cui sono stati apposti i sigilli sono piantonati da due carabinieri: uno di Catanzaro, l'altro di Salerno. E viceversa.


"Sì, è vero - ha risposto Jannelli - ho ordinato il ri-sequestro di quelle carte perché non volevo che mi impedissero di completare l'indagine Why not che è quasi giunta al termine". La difesa di Jannelli s'è conclusa in breve tempo.

Quella di Apicella, invece, è durata di più. Al procuratore generale di Salerno - titolare di un'indagine nei confronti dei magistrati di Catanzaro scaturita dalle denunce dell'ex pm Luigi De Magistris - le contestazioni dei commissari della Prima commissione sono state incalzanti. "Perché - gli è stato chiesto - nel decreto di perquisizione di 1700 pagine sono stati inseriti voluminosi atti dell'inchiesta Why not, svelando notizie coperte dal segreto istruttorio? Perché sono stati inseriti dati che non c'entrano nulla con l'indagine sui magistrati catanzaresi, come la scheda personale del componente del Csm Anedda e notizie tutelate dalla privacy (l'allusione è alla scelta della castità-ndr) sull'ex presidente dell'Anm Luerti?".

A tutte queste domande, Apicella ha risposto sempre nello stesso modo: "Perché con tutto questo volevo motivare il sequestro degli atti. Se qualcosa non va, si può anche sbagliare". "Ma ha saputo - gli ha contestato un commissario - che le 1700 pagine del decreto di sequestro sono state pubblicate su Internet?". "No - ha risposto Apicella - ma farò qualche accertamento. E, se del caso, aprirò un fascicolo". Apicella è stato comunque invitato a disporre il "ritiro" del documento dal web.

E' stato poi il turno di Jannelli: "La banca dati del consulente Genchi contiene dati su personalità molto importanti. È per questo che non la volevo consegnare ai colleghi di Salerno senza prima sapere a che cosa gli servisse". "Ora capisco - ha aggiunto con un bisticcio di parole - che il procedimento di Salerno è nato per fare il processo al nostro modo di fare il processo Why not".

A questo proposito, il procuratore di Catanzaro s'è abbandonato ad uno sfogo, parlando anche in generale della situazione giudiziaria del suo ufficio: "Da quando lo dirigo, ho dovuto misurarmi con problemi che non esistono in nessuna parte d'Italia, un muro di omertà da Salerno verso la procura di Catanzaro. Nei nostri uffici ho trovato una realtà molto particolare, nella quale ogni magistrato si sentiva solo e isolato".

Jannelli rivela poi al Csm una "scoperta". "Durante la mia permanenza a Catanzaro - ha riferito - sono venuto a conoscenza che la procura di Paola stava svolgendo una indagine parallela alla nostra, quasi un doppione di Why not". E' stato il procuratore generale di Salerno, Lucio Di Pietro, a chiarire alcuni retroscena della lite fra la sua procura e quella di Catanzaro. "Quando i nostri uffici hanno chiesto gli atti a Catanzaro - ha spiegato il pg Di Pietro - Jannelli ci ha opposto il segreto istruttorio rivendicando la competenza ad indagare. È per questo che è poi stato iscritto nel registro degli indagati".

Quando gli è stato fatto notare che con il sequestro degli atti è stata di fatto bloccata l'indagine in corso a Catanzaro, il pg di Salerno non ha smentito il fatto. Ma ha spiegato di aver saputo della perquisizione martedì. "Mi sono trovato le 1700 pagine del decreto sulla scrivania la mattina stessa delle operazioni - ha spiegato - . Ho iniziato a studiarle allora. Ma non ho ancora finito di leggerle".


(7 dicembre 2008)

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