martedì 9 dicembre 2008

Le mani delle cosche sulle carte della Finanza

LA STAMPA
NUOVO FILONE DELL'INCHIESTA «WHY NOT»
ANTONIO MASSARI
9 DICEMBRE 2008

SALERNO. L’archivio della Guardia di Finanza - una copia, con il profilo di tutti gli appartenenti alle Fiamme Gialle – rischiava di finire in mani vicine alla ‘ndrangheta. E forse il rischio non è del tutto scongiurato. La risposta va cercata nelle perquisizioni effettuate dalla procura di Salerno. E quindi negli esiti dell’inchiesta sui magistrati di Catanzaro che, secondo i pm salernitani, conducendo l’indagine Why Not dopo l’allontanamento di De Magistris, avrebbero «disintegrato e dissolto disegni e tracce investigative».

I pm di Salerno – che oltre alle toghe calabresi hanno perquisito un imprenditore (Luigino Mazzei) e un commercialista calabrese (Francesco Indrieri) - cercano documenti che riguardano anche l’esponente dell’Udeur Giuseppe Luppino e il consorzio Tecnesud. I tre – Mazzei, Indrieri e Luppino - sono coinvolti in un affare milionario scoperto da de Magistris nell’inchiesta Why Not.

I file riservati
L’affare riguardava anche la gestione della copia dell’archivio informatico della Finanza che, su richiesta del ministero delle Attività produttive, e autorizzazione del Cipe, era stato affidato al consorzio Tecnesud. Tra le società consorziate, ce n'era una, la Forest, che vedeva tra i soci tale Luppino, il «nipote di Emilio Sorridente, ritenuto organicamente inserito nella consorteria mafiosa dei Piromalli – Molè di Gioia Tauro, nonché sottoposto a procedimento penale per associazione per delinquere di tipo mafioso».

Il via libera all’operazione fu dato nel luglio 2005 dal Cipe, su richiesta del ministero delle Attività produttive, all’epoca in cui era sottosegretario Giuseppe Galati (Udc), che fu indagato proprio da De Magistris nell’inchiesta Poseidone. Ma l’operazione fu bloccata: la società Forest, componente del consorzio, nella quale Luppino era consigliere, non ottenne dalla prefettura il certificato antimafia. Al di là dell’affare economico, il rischio era un altro, ovvero che la copia dell’archivio potesse finire in un consorzio del quale faceva parte una società – la Forest - vicina alla ndrangheta. Qualcuno avrebbe potuto utilizzare in maniera criminale informazioni riservate sui finanzieri italiani.

L’esito negativo del certificato antimafia – atteso per circa un anno - «blocca» l’operazione. Nel frattempo la compagine societaria muta: a quanto pare, da ambienti calabresi, Luppino non c’è più. E quindi la pratica che bloccava il finanziamento, rimasta bloccata fino a pochi mesi fa, può riprendere il suo corso: prima il ministero aveva frenato (per il certificato antimafia), ora il governo riparte: senza Luppino, la Forest, non è più in odor di cosche mafiose.

Torna il pericolo
Tolto il freno a mano, l’archivio della Finanza, può ora essere trattato – e secondo indiscrezioni da confermare, lo sarebbe già – dallo stesso consorzio Tecnesud. Intanto il consulente del pool calabrese, Piero Sagona, dichiara d’aver segnalato «in via d’urgenza», ai pm di Why Not, «una serie di irregolarità sulle agevolazioni finanziarie di Stato, in corso di erogazione a talune società». Tra le quali la Forest e la One Sud, quella che avrebbe dovuto digitalizzare la copia dell’archivio. Le sue segnalazioni, però, sembrano essere cadute nel vuoto: «Non sono stato compulsato in merito» dice Sagona.

Ma c’è di più. Il consorzio s’era aggiudicato finanziamenti per 60 milioni di euro e avrebbe dovuto realizzare sei «iniziative». Tra queste, appunto, il «centro in cui sarebbe stato allocato il back up del sistema informativo della GdF». Ma nel consorzio c’era qualche «scatola vuota» e «priva d’alcun merito creditizio»: era proprio la One Sud, società che avrebbe dovuto gestire l’aspetto informatico. Insomma: il ministero avrebbe affidato la gestione dei dati a un insieme di scatole vuote. E pare che il consorzio in questione sia stato costituito, tre anni prima, proprio in una stanza del ministero al quale chiederà di utilizzare, poi, i 60 milioni di euro.